vai alla sezione precedente

Rushdie e le traduzioni letterarie

Vai alla sezione successiva

Fatte queste premesse, è necessario dire che l’atteggiamento di Rushdie verso le traduzioni letterarie in senso proprio è ambiguo. Il problema dell’uso della lingua inglese non è d’altra parte limitato ai soli migranti. Vintage Indian Writing 1947-1997, la raccolta di racconti di scrittori indiani contemporanei curata da Rusdhie ed Elisabeth West, contiene un solo racconto non originariamente scritto in inglese. Secondo i curatori, in altre parole, la parte più importante della produzione degli scrittori indiani è stata prodotta da quelli tra di essi che hanno scritto in inglese piuttosto che nelle altre lingue parlate nel continente indiano. Questa presa di posizione, esplicitamente dichiarata nell’introduzione di Rushdie al volume, è stata aspramente criticata, soprattutto da intellettuali indiani, in quanto “Rushdie's introduction to the Vintage volume … makes …the outrageous assertion that little written in the other languages of India post-Independence matches in literary merit the sudden glory of the `new' Indian English novel exemplified by Vikram Seth, Amitav Ghosh. Arundhati Roy et al" (Nair 1997 online).

Rushdie concede che questo possa essere il risultato di “cattive traduzioni”, e che “it is possible that good writers have been excluded by reason of their translators' inadequacies rather than their own” (Rushdie 1997c online). Come nota Nair (1997), tuttavia, quest’affermazione è subito smentita dalla contrapposizione fra i “nuovi” autori che scrivono in inglese e quelli della generazione precedente, ai quali traduzioni anche “cattive” non hanno evidentemente fatto un disservizio, dato che vengono citati come autori maggiori anche da Rushdie. Non si capirebbe d’altronde il suo commento sulle traduzioni di Omar Khayyam. Secondo Nair è possibile però che si tratti di un argomento pretestuoso usato per sostenere una posizione volutamente polemica. Non sarebbe tanto la qualità delle traduzioni a portare all’esclusione di autori indiani che scrivono in una lingua diversa dall’inglese quanto altre considerazioni, non ultima la propria “anxiety of influence”, un desiderio di paternità sulla letteratura indiana contemporanea.