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Tassonomie di procedure

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Le relazioni tra originali e traduzioni sono state variamente denominate "metodi" o "tecniche" (Vinay e Dalbernet 1958), "spostamenti" (Caftord 1965, Leuven-Zwart 1989/1990), o "strategie" (Malone 1988, Chesterman 1997), per citare solo alcuni autori. Vinay e Dalbernet distinguono tra metodi di traduzione diretti quali prestiti, calchi e traduzione letterale (che si applicano principalmente a livello lessicale) e metodi obliqui quali la trasposizione (che si applica principalmente a livello sintattico), la modulazione, l’equivalenza[1] e l’adattamento. Queste ultime tre tecniche, in ordine crescente di difficoltà, presuppongono un’analisi del testo di partenza al livello del messaggio, non della struttura linguistica formale. Secondo Catford, per cui la traduzione può essere definita come la sostituzione di materiale testuale nella lingua di partenza con materiale equivalente nella lingua di arrivo,[2] il processo di sostituzione si applica tra testi o porzioni di testo. L'unità di analisi individuata da Catford è, in accordo con la linguistica del tempo, la frase, e Catford propone una tassonomia di "spostamenti" (shifts) obbligatori, definiti come "departures from formal correspondance in the process of going from S[ource] L[anguage] to T[arget] L[anguage]" (1965: 73) e classificabili a seconda del livello (fonologia, morfologia, sintassi, lessico) e della categoria (classe, struttura, sistema, unità).[3] Diversamente da Catford, che classifica i cambiamenti obbligatoriamente indotti da due sistemi linguistici utilizzando un approccio "top-down", Leuven-Zwart parte da un approccio "bottom-up" e propone una tassonomia basata sull'analisi delle relazioni esistenti tra originali e traduzioni in alcuni testi paralleli.[4] Dopo avere individuato in originali e traduzioni i rispettivi "transemi", definiti come "comprehensible textual units" (Leuven-Zwart 1989: 155), la studiosa esamina la relazione tra originali e traduzioni in termini di similarità rispetto a un "architransema", cioè un comune denominatore semantico o pragmatico. Una prima possibilità è quella che si verifichi un rapporto di "sinonimia", cioè che entrambi i transemi siano "sinonimi" dell'architransema.[5] In caso invece di un relazioni non sinonimiche le relazioni possono, secondo Leuven-Zwart, rientrare in tre principali categorie: modulazione (uno dei due transemi è in rapporto di "iponimia" con l'architransema), modificazione (entrambi i transemi sono in rapporto di "iponimia" con l'architransema) o mutazione (non c'è nessun rapporto tra i due transemi). Queste tre principali categorie sono suddividibili in numerose sottoclassi a seconda che interessino il livello semantico, sintattico o stilistico (o una combinazione di questi livelli), con un'articolazione finale in 37 diverse categorie. Malone infine individua nove diversi tipi di "strategie": equation, substitution, divergence, convengence, amplification, reduction, diffusion, condensation e reordering. Si tratta di relazioni a livello strutturale e lessico-grammaticale presentate in coppie di procedure contrapposte, tranne l'ultima che riflette la diversa costruzione sintattica delle lingue (Malone 1988: 15).

Chesterman tenta di unificare le diverse proposte precedentemente avanzate da questi e altri studiosi e propone di suddividere le "strategie locali", cioè quelle relazioni tra coppie di segmenti testuali di entità ristretta, in due categorie: la prima comprende strategie che riguardono il livello sintattico-grammaticale, la seconda strategie che riguardano il livello semantico. Chesterman non propone una lista esaustiva, ma elenca per ciascuna categorie le dieci "strategie" più significative:

 

Strategie sintattiche e grammaticali

 

1.      traduzione letterale (Newmark 1980, Vinay e Dalbernet 1958)

2.      prestito/calco, (Vinay e Darbernet 1958), "doppia presentazione" (Pym 1992), neologismo basato su un prestito

3.      transposizione (cambiamento di classe di parola) (Vinay e Dalbernet 1958)

4.      cambiamento di unità (morfema, parola, sintagma, frase, paragrafo) (Catford 1965)

5.      cambiamento di struttura del sintagma (ad esempio cambiamento di tempo e modo del verbo, modifica di una struttura nominale)

6.      cambiamento di struttura della frase (ad esempio, voce attiva contrapposta a voce passiva, strutture transitive contrapposte a strutture intransitive)

7.      cambiamento di struttura del periodo (diverse relazioni tra le frasi)

8.      cambiamento di coesione (riferimenti intra-testuali, ellissi, sostituzione, ecc.)

9.      cambiamento di livello (Catford 1965)

10.  cambiamento di schema retorico (parallelismo, ripetizione, alliterazione, ecc.)

 

 

Strategie semantiche

 

1.      sinonimia

2.      antonomia

3.      iponimia

4.      "conversi" (ad esempio, “comprare” in contrapposizione a “vendere”)

5.      cambiamento di astrazione (ad esempio, astratto in contrapposizione a concreto)

6.      cambiamento di distribuzione (ad esempio, diluzione in contrapposizione a espansione)

7.      cambiamento d'enfasi

8.      parafrasi

9.      cambio di "tropo"[6]

10.  altri cambiamenti semantici di vario tipo (ad esempio, cambiamento di senso fisico)

 

Si tratta di categorie, idealmente non specifiche a coppie di lingue, che in parte si sovrappongono, dato che diverse strategie possono co-occorrere.

A queste due categorie Chesterman contrappone un gruppo di strategie "globali". Mentre le strategie locali consistono in una manipolazione della forma (strategie sintattiche e grammaticali) o del significato (strategie semantiche), le strategie globali riguardano il livello pragmatico e consistono in una manipolazione del messaggio. Si parla di strategie globali in quanto esse sarebbero il risultato di decisioni globali riguardo al modo più appropriato per tradurre il testo nel suo insieme, che implicano cambiamenti di portata generale e comprendono cambiamenti sintattici e semantici.

Secondo Chesterman le strategie globali hanno a che fare con la selezione delle informazioni nel testo di arrivo, e dipendono da "the translator's knowledge of the prospective readership of the translation" ( 1997: 107). Anche per questa categoria Chesterman propone un elenco di "strategie" più frequenti, attinte in questo caso principalmente da studi su testi letterari. Vengono recuperate come strategie pragmatiche globali tutti quei cambiamenti di cui si è occupata la ricerca sulla traduzione non aventi carattere principalmente linguistico, oltre a cambiamenti relativi a concetti della linguistica testuale e della pragmatica.

 

Strategie globali o pragmatiche

 

1.      Filtro culturale, (i.e. naturalizzazione / domesticazione / adattamento vs. esotizzazione / stranierificazione, / estraneamento) (House 1981, Venuti 1995)

2.      Cambiamento di esplicitazione (più o meno esplicitazione)

3.      Cambiamento di informazione, addizione o omissione di informazioni. Quello che distingue l'omissione dall'implicitazione è il fatto che le informazioni omesse non possono essere inferite

4.      Cambiamento nella relazione tra il testo, l'autore e il lettore (ad esempio, livello di formalità)

5.      Cambiamento illocutorio, ad esempio un'affermazione diventa una domanda

6.      Cambiamento a livello ideazionale riguardante la corenza, la disposizione logica di un testo

7.      Traduzione parziale, ad esempio un riassunto

8.      Cambiamento di visibilità del traduttore, della sua presenza autoriale (Venuti 1995, Schiavi 1996, Hermans 1996)

9.      Cambiamenti radicali a livello editoriale, riscrittura

10.  Altri cambiamenti pragmatici, ad esempio il layout, la scelta della varietà linguistica (American vs. British English)[7]

 

Venuti (1995) identifica due principali strategie di traduzione (che assomigliano molto a quello che Toury chiama “norma iniziale”), cioè da una parte una strategia di "domesticazione" e dall'altra una strategia di "stranierificazione". In una strategia di domesticazione si opera adottando tutte quelle operazioni/tecniche che riportano il testo straniero all'interno di una dimensione conosciuta, che nell'operazione di trasferimento da una lingua a un'altra tolgono al testo tutte quelle caratteristiche di deviazione linguistica e culturale che lo rendono difficile da inquadrare per un lettore che, appartenendo a una cultura diversa da quella entro/per la quale il testo è stato scritto, trova incomprensibili le allusioni e i riferimenti. Lo scopo di questa strategia sarebbe quella di confortare il lettore all'interno di un quadro di riferimento conosciuto, di assecondare al massimo le operazioni di riconoscimento. Le tecniche traduttive (strategie locali) utilizzate in questo caso possono essere generalmente descritte come tecniche tendenti alla scorrevolezza del testo, che ne eliminano qualsiasi accenno di diversità e rendono il traduttore invisibile. Il traduttore deve essere invisibile appunto perchè il testo tradotto non deve sembrare una traduzione. La seconda strategia, la "stranierificazione" va in senso opposto, introduce nel testo tradotto degli elementi estraneanti, poco conosciuti, culturalmente altri rispetto al lettore. Il traduttore diventa visibile perchè la traduzione ribadisce il proprio carattere di traduzione, introducendo nella cultura in cui il testo viene tradotto degli elementi poco conosciuti. Lo scopo non è quello di avere un testo fluido, scorrevole, ma quello di confrontarsi con qualcosa di diverso per poterne uscire arricchiti piuttosto che rassicurati nel confronto.


[1] È interessante notare come nell'opera dei due autori francesi, tra i primi a parlare di "equivalenza" in traduzione, l’equivalenza sia una procedura di sostituzione di particolari unità traduttive, quali costrutti idiomatici, proverbi, collocazioni e fraseologie fisse.

[2] Per l’autore inglese il significato è una funzione del contesto linguistico. L’equivalenza si ricava dalle caratteristiche contestuali delle unità di traduzione e ha quindi un carattere probabilistico. Compito fondamentale della teoria della traduzione è per Catford quello di definire la natura e le condizioni dell’equivalenza traduttiva.

[3] Il modello di analisi utilizzato da Catford è la grammatica categoriale di M.A.K. Halliday (Halliday 1961).

[4] I dati su cui si basa Leuven-Zwart sono campioni tratti dall'analisi del testo spagnolo del Don Chisciotte e da una sua traduzione in olandese. Le categorie individuate sono state poi utilizzate in uno studio che ha coinvolto 70 studenti dell'Università di Amsterdam e un corpus parallelo di più ampie dimensioni (cfr. corpus-based translation studies)

[5] Questo presuppone naturalmente l'esistenza di un "tertium comparationis" cioè di un nucleo di significato essenziale e identificabile. Leuven-Zwart ammette che non sempre è facile identificare un comune denominatore esprimibile in termini di architransema, ma sostiene che "practice shows that in most cases an ATR [Architranseme] can be identified with the help of a good descriptive dictionary in the two languages involved" (Leuven-Zwart 1989: 158). La studiosa sostiene anche che in caso di "sinonimia" non si verifica nessun spostamento: "no shift occurs in translation" (1989: 159). Si potrebbe obiettare che anche la più "letterale" delle traduzioni costituisce uno spostamento, seppur minimo se rapportato ad altre "strategie" di traduzione in quanto anche i transemi del testo di arrivo per cui sia identificabile un rapporto di "sinonimia" entrano a far parte di un diverso contesto interpretativo. Cfr. Eco 1995: 134-139, Hermans 1999: 62-63).

[6] Ad esempio espressioni figurative, metafore, cfr. Newmark 1981, van der Broeck 1981, Toury 1995: 81.

[7] La cosiddetta "strategia di compensazione" (cfr. Harvey 1995) non è secondo Chesterman un strategie in senso proprio ma un concetto sottostante a molte strategie traduttive, che rende conto del fatto che si traducono testi completi.