L'analisi svolta sembra suggerire che le note costituiscono la strategia privilegiata (e che riscuote maggiore approvazione) attraverso la quale i traduttori affrontano quelle parti del testo che pongono difficoltà da un punto di vista linguistico e culturale. Si è visto però che esiste una certa varietà e discrezionalità nel loro uso, nonché una diversità di utilizzo da parte dei due traduttori. Più ancora che una manifestazione di diverse preferenze dei due traduttori il ricorso o meno alle note e a strategie ad esse alternative sembra creare testi tradotti appartenenti a tipologie leggermente diverse, che rispecchiano solo in parte la diversità dei testi originali.
In I figli della mezzanotte e "Chekov e Zulu" l'ampio utilizzo di note per le "parole indiane" contribuisce, insieme alle copertine, a creare dei testi "esotici" ed estremamente marcati come traduzioni, mentre questa caratterizzazione è meno visibile per gli altri romanzi tradotti. Le traduzioni italiane creano dei testi diversi da quelli inglesi: affrontando un testo che contiene delle note il lettore italiano si trova di fronte a un testo più "semplificato" rispetto al lettore del testo inglese che le note non le ha. Vi è una contrapposizione tra il lettore ideale costruito dai testi inglesi, al quale i riferimenti culturali "orientali" sono spiegati dall'autore (mentre quelli anglosassoni sono dati per scontati) e il lettore ideale della traduzione italiana, al quale viene spiegato molto di più, anche a rischio di incorrere in ripetizioni non strettamente necessarie alla comprensione.
Anche La vergogna (per la presenza del glossario), I versi satanici (per la presenza diffusa di glosse interlineari) e L’ultimo sospiro del Moro (per la presenza delle note, seppure in misura ridotta) sembrano comunque rispecchiare una tendenza generale dei testi tradotti a rendere la lettura meno difficoltosa.