Allusioni, rimandi e citazioni che in Grimus risuonano altamente familiari a un lettore inglese rischiano di non dire nulla ad un lettore italiano che affronti il testo in traduzione. Allo stesso modo, tutto quanto nel romanzo è basato sui meccanismi del pun, cioè del gioco di parole che si basa sulle possibilità della lingua in quanto sistema, perde significato una volta che il sistema linguistico, e non solo la cultura a cui tale lingua fa riferimento, diviene un’altro.
Si può pensare al pun e alla citazione come ai due estremi di un continuo entro il quale un testo sfrutta da un lato gli aspetti più sistematici di una lingua, dall’altro quelli più dipendenti dal contesto culturale. La categoria dei giochi di parole comprende tutte le figure retoriche che utilizzano i meccanismi di formazione morfologica di una lingua, le possibilità combinatorie del sistema. Secondo la classificazione operata dal Gruppo µ, rientrano nella classe dei “metaplasmi”, cioè delle figure retoriche che appartengono al livello morfologico dell’espressione (Mortara Garavelli 1988: 126-130), “molti calembour, poetici, enigmistici, o confezionati per alimentare motti di spirito, barzellette, equivoci e doppi sensi satirici ecc.” (Mortara Garavelli 1988: 128), oltre a quei "giochi di parole" definiti dalle procedure della “permutazione”, come gli anagrammi e i palindromi. Mentre i giochi di parole in senso stretto (pun, o traductio per adottare la denominazione della retorica classica, cfr. Mortara Garavelli 1988: 204, Delabastita 1997: 1) sfruttano le ambiguità sistemiche e le possibilità combinatorie riconducibili in molti casi alle caratteristiche morfo-fonologiche di una lingua, all’estremo opposto si possono situare le citazioni, cioè quei rimandi intertestuali che rinviano alla conoscenza di altri testi, e acquistano un significato che va oltre quello puramente denotativo in quanto entrano in relazione con le conoscenze culturali alle quali alludono. Così come si può distinguere tra giochi di parole paronimici o omominici, a seconda che essi siano basati su una corrispondenza formale parziale oppure completa (Crisafulli 1996: 262), anche per le citazioni si può tracciare una distinzione tra citazioni modificate oppure riportate integralmente.
Il gioco dell’intertestualità si compone non solo di citazioni e giochi di parole allusivisi, che possono essere visti come esempi estremamente marcati e solitamente consapevoli di uso creativo del linguaggio, ma anche di un territorio intermedio che riguarda l’equilibrio tra le potenzialità significative della lingua come sistema di regole e lessico e quelle legate alla sua idiomaticità. La creatività linguistica si gioca in altre parole da un lato tra la libera formazione di parole e frasi in base a delle regole di formazione grammaticale e sintattica e dall’altro tra l’adesione o la modifica di un repertorio di parole, sintagmi e frasi che fanno parte del bagaglio linguistico di una cultura. Tale repertorio si manifesta a sua volta in un arco che va dalla citazione riconoscibile (integrale o modificata da un altro testo, ad esempio un’opera letteraria, la Bibbia o un proverbio) al luogo comune, alla frase idiomatica, al composto sintattico, alla collocazione.
Il termine citazione viene usato in quanto rimanda a “tracce testuali”, che possono andare da un'unica parola (ad esempio un nome proprio) a una frase intera. Il termine citazione è spesso usato in congiunzione con il concetto di allusione (cfr. Mortara Garavelli 1988: 257-259; Beccaria 1996: 44; Leppihalme 1997: 3-11). La differenza è che mentre per citazione si intende l’inserzione in un testo di un segmento di un altro testo di provenienza riconoscibile (in forma piena o modificata), l’allusione rimanda alla riconoscibilità fornita dal contesto, ed è legata all’uso. In altre parole, una citazione è potenzialmente riconoscibile fuori dal contesto, mentre un’allusione è una funzione di una citazione in un contesto. Si può alludere senza citare, ma difficilmente si cita senza alludere.
Il carattere intertestuale delle citazioni in funzione allusiva, e il modo in cui le allusioni vengono tradotte è al centro di uno studio di Leppihalme (1997), in cui l’autrice analizza un corpus di 160 “allusioni” estratte da sette romanzi in lingua inglese (cfr. corpus-based translation studies) Leppihalme individua quattro principali fonti di allusioni: i nomi propri; le citazioni dalla bibbia e dal canone letterario inglese (in particolare Shakespeare e Lewis Carrol); le citazioni da proverbi; i luoghi comuni (cliché). Mentre le citazioni letterarie situano un testo dentro la tradizione a cui tali citazioni alludono, e sono trasparenti in tal senso solamente a coloro ai quali le fonti di tali citazioni sono familiari, proverbi e cliché rimandano a un corpus di letteratura “non scritta”, anche se codificata in raccolte fino dall’epoca rinascimentale (Leppihalme 1997: 53), e che fanno riferimento a una cultura non solo letteraria. In entrambi i casi, le citazioni possono perdere nella coscienza di un parlante della lingua il loro significato allusivo, assumendo, una volta perso il riferimento alla fonte, lo status di frase idiomatica. Per citare un esempio relativo a Grimus, la frase “And I, attempted Flapping Eagle, am the philosopher's millstone” (Grimus 126) è stata sottoposta a tre persone di madrelingua inglese,[1] a cui è stato chiesto di interpretare l'affermazione del protagonista del romanzo. Due persone hanno colto, oltre a un’allusione alla pietra filosofale[2] un richiamo, attraverso la parola “millstone” alla frase idiomatica “to be a millstone around someone’s neck”, mentre una sola ha identificato la fonte di questa “frase idiomatica” in una citazione biblica: “It were better for him that a millstone were hanged about his neck, and he cast into the sea, than that he should offend one of these little ones.” (Luca 17: 2, ma una formulazione molto simile si trova anche in Matteo 18: 6 e Marco 9: 42).
Le citazioni, se logorate dall’uso e congelate lessicalmente da una costante ripetizione possono assumere uno status di clichè, riducendosi a stereotipi e assumendo spesso una connotazione negativa. Alla morte di I. Q. Gribb, Elfrida pronuncia per lui un breve discorso commemorativo:
- Mio marito, disse Elfrida Gribb, era un uomo che ha subito più torti di quanti ne abbia commessi. Era il sale della terra, il fiore della sua generazione, la roccia che ci sosteneva. Era un uomo onesto e probo e un marito affettuoso. | - My husband … was a man more sinned against than sinning. He was the salt of the earth, the flower of his generation, the rock on which we stood. He was a good man and a loving husband. (Grimus 181) |
Queste parole sono seguite dal commento del narratore: “Era giusto che l’autore delle Citazioni filosofiche per tutte le occasioni fosse commemorato da una serie di luoghi comuni".[3]
[1] Docenti di lingua o letteratura inglese residenti in Italia.
[2] "Philosopher's stone". Questa interpretazione è inoltre rafforzata dal contesto immediatamente successivo: "- Cos'è, disse [Elfrida Gribb], una battuta? Certo che nelle sue condizioni non potrebbe far altro che tramutare il vile metallo in pirite. Ora si affretti, per favore."
[3] "It was appropriate that the
author of the All-Purpose Quotable Philosophy should be commemorated by a
string of cliché” (Grimus 181).