Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)
By Maria Isabella Mininni (University of Turin, Italy)
Abstract
English:
This paper is about the early friulan translations of Pier Paolo Pasolini from spanish modern poets, which were published for the first time in the 2003 edition of his complete poems. The italian poet in his youth had the ambition to give literary dignity to his mother tongue, the friulano, so he developed a cultural project centred on the translation in this dialect of the most important modern European poets in order to realize his neo-félibriste design: among the authors he selected we find Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Jorge Guillén and Pedro Salinas. The article studies the spanish influence in the young poet Pasolini and the sources, translated in Italy, that Pasolini used for his own versions during the years 1945-47.
Italian:
Questo lavoro è volto a illustrare l’attività di Pasolini traduttore neofelibrista attraverso la ricognizione delle sue versioni friulane di alcuni testi della lirica spagnola novecentesca, pubblicate per la prima volta nel 2003 nell’edizione completa della sua opera in versi. L’ancor giovane poeta, durante gli anni casarsesi di formazione poetica, si impegnò strenuamente per attribuire dignità letteraria alla parlata friulana occidentale che considerava atta a far poesia. A tal fine tradusse in quel dialetto-lingua alcuni componimenti dei poeti più noti della letteratura europea di tutti i tempi. Tra i lirici spagnoli scelse Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Jorge Guillén e Pedro Salinas. Nell’articolo si prendono in considerazione gli echi ispanici nella creazione poetica giovanile del poeta e si offrono alcune annotazioni sulle fonti alle quali attinse nel biennio 1945-7 per le traduzioni degli iberici.
Keywords: Pier Paolo Pasolini, 1900 Spanish poetry, literary translation, Italian hispanism, félibrisme, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Jorge Guillén, Carlo Bo, poesia spagnola del Novecento, traduzione letteraria, ispanismo italiano, felibrismo
©inTRAlinea & Maria Isabella Mininni (2013).
"Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)"
inTRAlinea Special Issue: Palabras con aroma a mujer. Scritti in onore di Alessandra Melloni
Edited by: Maria Isabel Fernández García & Mariachiara Russo
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1. Pasolini e i lirici spagnoli
Le lettere che Pier Paolo Pasolini scrisse ad amici e studiosi italiani negli anni Quaranta (Pasolini 1976, 1986, 1994), i suoi primi saggi di critica letteraria (Pasolini 1999, I) e i dati raccolti da alcuni biografi (Schwartz 1995, Bazzocchi 1998, Siciliano 2005, Martellini 2006) mostrano con evidenza l’attenzione che il poeta friulano rivolse in gioventù alla lirica spagnola del primo Novecento; ne sono conferma altresì le riflessioni contenute in un articolo che egli stesso scrisse dopo il viaggio a Weimar compiuto nell’autunno del 1942 per partecipare al raduno della gioventù fascista, un’occasione che gli permise di confrontarsi con la coeva cultura europea e di porsi in relazione con i giovani spagnoli:
Così passeggiando con ansia quasi tremante, come chi senta di respirare un’aria non più regionale, ma europea, e quasi sommerso e sconfortato in essa, lungo le favolose vie di Weimar insieme con i giovani camerati spagnoli, io potevo, conversando con essi, risalire a Calderón e a Cervantes o a Velasquez [sic], attraverso García Lorca o Picasso; soffermarci quindi, ciò che mi stava più a cuore, sull’ultima generazione di scrittori, i cui nomi a me erano nuovi, e, con tremore, li udivo scandire dalle voci di quei camerati: e quei nomi erano Dionisio Ridruejo, Gerardo Diego, Augustin de Foxa [sic], Adriano del Valle (che dovrebbero corrispondere, in Spagna, ai nostri Betocchi, Gatto, Sinisgalli, Penna etc.) (Pasolini 1976a: 70).
Conoscitore ed estimatore della poesia iberica, il giovane Pasolini apprezzava in particolare gli andalusi Juan Ramón Jiménez e Antonio Machado, poeti il cui accento riecheggia chiaro nelle raccolte degli esordi (Siciliano 2005: 73) e la cui influenza, fondamentale negli anni casarsesi della sua formazione, venne ancora ricordata e ribadita in una intervista rilasciata a Luis Pancorbo per la Revista de Occidente nel maggio del 1975, pochi mesi prima della sua tragica scomparsa:
La poesía española ha tenido una gran importancia en mi periodo de formación, es decir, un poeta como Antonio Machado, o Juan Ramón Jiménez, ha tenido probablemente más influencia sobre mí que Ungaretti o Montale. [...] Porque los leí en aquellos años, 1938, 1939, estaban traducidos, y los leí, y me quedé impresionado. Por ejemplo, Machado junto con Kavafis, y quizá Apollinaire ha sido el mayor representante de la poesía europea de este siglo. Yo me quedé casi traumatizado al leer a estos poetas. García Lorca, en cambio, me impresionó mucho menos, por ejemplo, pero Juan Ramón Jiménez y Antonio Machado han tenido una gran influencia sobre mí. En aquella época yo escribía en friulano (Pasolini 1976b: 42-43).
Di fatto nella sua prima raccolta, Poesie a Casarsa (1941-53), si avvertono le risonanze di quelle letture non soltanto nel ‘risolvimento di analogie’ ma anche e soprattutto nell’omaggio reso ai lirici andalusi nella Suite furlana (1944-49) dove il palese richiamo alle Suites lorchiane del titolo si accompagna all’epigrafe che reca invece un verso del celebre Retrato machadiano: «Mi juventud veinte años en tierra de Castilla»; del resto la raccolta intitolata La meglio gioventù (1941-1953), sintesi dell’esperienza friulana in cui confluiscono il già citato Poesie a Casarsa e il Romancero (1947-1953), prevedeva come titolo unificatore, almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, proprio quello più sintetico ed evocativo di Romancero (Pasolini 1986: 663), innegabile riferimento alla forma epica spagnola e, ancora una volta, al ben noto Romancero di García Lorca. Gli echi iberici tuttavia non si esauriscono nelle pur abbondanti suggestioni liriche delle sue raccolte giovanili e anzi si estendono alla creazione di alcuni brevi componimenti risalenti al 1945, scritti in una lingua inventata d’ispirazione spagnola (cfr. Vatteroni 2001) e successivamente riuniti in una raccolta minore pubblicata postuma con il titolo Hosas de lenguas romanas (Pasolini 2003, II: 657-70): «una sorta di romancero in uno spagnolo orecchiato e approssimativo, all’inseguimento di un’altra lingua celeste: quella che gli sembrava risonare nei versi di Lorca, Jiménez, Machado e altri iberici» (Bandini 2003: XVI). Per Pasolini i lirici del Novecento spagnolo introdotti in Italia dagli ermetici tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, auspici Carlo Bo e Oreste Macrì, oltre ad essere fonte di ispirazione per il suo giovanile estro poetico rappresentano anche le letture che confortano lo spirito, come testimonia una lettera scritta all’amica Novella Cantarutti nel 1947: «[...] Parli della tua solitudine, perché non la popoli di letture? Hai Verlaine, Rimbaud e Mallarmé. Poi magari gli spagnoli: Machado, Jiménez, García Lorca» (Pasolini 1994: 332).
2. Il neofelibrismo friulano dell’Academiuta
Ma c’è ancora un altro interessante aspetto che riguarda la relazione di Pasolini con la letteratura e la lingua spagnola, una risonanza che si manifesta con originalità andando al di là delle pure evocazioni e degli stimoli largamente diffusi nelle sue prime opere poetiche: si tratta degli esperimenti linguistici di traduzione che realizzò nella lingua dell’affettività, ovvero nel suo dialetto friulano ‘di cà da l’aga’, quello della riva destra del Tagliamento:
L’interesse per la cultura dialettale nasce in Pasolini con l’immersione nelle terre del Friuli con cui ebbe un rapporto intimo: è il luogo d’origine della madre casarsese, il luogo dell’adolescenza, delle amicizie, delle scoperte amorose, della scoperta di sé (Haller 1997: 31).
Le traduzioni friulane (o meglio, casarsesi)[1] dei poeti spagnoli risalgono anch’esse alla metà degli anni Quaranta e si collocano nell’ambito di un progetto di politica culturale dapprima ingenuo e quasi mistico ma ben presto sorretto da più rigorose riflessioni maturate durante gli studi nell’Ateneo bolognese quando, sotto la guida di Gino Bottiglioni e Amos Parducci, il giovane Pasolini ebbe modo di preparare la sua opera di filologo-antologizzatore di poesia regionale (Schwartz 1995: 208). In quello stesso periodo, grazie anche ai proficui contatti con il mentore Gianfranco Contini[2] che lo incoraggiò nel progetto felibrista[3] suggerendogli tra l’altro il concetto di «interna traducibilità di una lingua» (Pasolini 1947b: 256), egli sviluppò e difese con fermezza l’idea secondo cui il friulano necessitava di traduzioni, «il passo più probatorio per una sua promozione a lingua» (Pasolini 1947a: 282).
L’apertura alle culture europee e la volontà di proporre testi stranieri nella ‘sua’ lingua friulana aveva lo scopo di superare il passatismo provinciale della poesia vernacolare in un progressivo ampliamento dell’orizzonte culturale; la lingua ‘nuova’, quella che Pasolini produsse e creò, piegava metro e sintassi alle sue esigenze, gli offriva possibilità che la lingua nazionale gli negava e gli consentiva di esprimere l’ineffabile anche in traduzione:
premettiamo che della parola ‘tradurre’ non ci sfuggono i significati più difficoltosi, e che è entro i termini del ‘traducibile’ e dell’‘intraducibile’ che si muovono le più acute suggestioni della nostra poetica friulana; vogliamo dire che l’ossature delicate del nostro dialetto-linguaggio pur nell’ambito della lingua, ossia della traducibilità, non si nega affatto ai rischi dell’indefinitezza estetica, ossia dell’intraducibile... (Pasolini, 1947a).
Alla base di questa scelta linguistica vi sarebbe da parte di Pasolini anche un altro elemento, nient’affatto trascurabile, messo in luce da Lorenzo Renzi:
Pasolini fa il suo apprendistato in un contesto culturale dominato in Italia dagli Ermetici. Da questi ha recepito l’idea fondamentale della creazione della parola poetica. Valéry o Ungaretti, o gli amati spagnoli (Machado [...], García Lorca, Jiménez), gli suggerivano solidarmente di creare la sua lingua. [...] E Pasolini era, in clima ermetico, già uno sperimentale che s’ignorava ancora (Renzi 1991: 137).
Al fine di promuovere l’uso letterario della parlata casarsese, il friulano ‘di cà da l’aga’, Pasolini istituì nella sua Piccola Patria – il Friuli occidentale che associò alla Castiglia machadiana (Pasolini 1970: 8) – un duraturo sodalizio culturale, riunendo attorno a sé un gruppo di amici, poeti e artisti, disposti a lavorare in vista della costruzione di una nuova poetica in senso antivernacolare e l’8 febbraio del 1945 fondò a Versuta, frazione di Casarsa, l’Academiuta de Lenga furlana. I fondamenti della nuova scuola erano: «friulanità assoluta, tradizione romanza, influenza delle lettere contemporanee, libertà, fantasia» (Pasolini 1945: II). L’Academiuta intendeva da un lato recuperare la tradizione romanza da cui discendeva quella friulana e dall’altro mirava a rinvigorire le moderne letterature le cui lingue di espressione secondo Pasolini erano ormai giunte «ad un punto di estrema consumazione» mentre a suo parere il friulano poteva «ancora contare su tutta la sua rustica purezza» (Siciliano 2005: 110). I neofelibristi si impegnarono nella ricerca e nell’affermazione di una lingua acerba e più duttile senza peraltro escludere «una punta di polemica politica rispetto al centralismo culturale del regime fascista che, in omaggio alla retorica nazionalistica, preferiva soffocare i particolarismi regionali e locali» (Carnero 2010: 15).
Come precedentemente accennato, Pasolini e i membri dell’Academiuta si cimentarono nella traduzione di testi poetici italiani e stranieri per confermare il valore espressivo del friulano-lingua, cominciando col presentare sulle pagine della rivista Il Stroligut[4] – organo ufficiale della neonata scuola felibrista – le versioni di «alcuni dei poeti più difficili delle moderne lingue romanze» (Pasolini 1946: 163) e non soltanto di quelle, così che nell’attività culturale dell’Academiuta «a un movimento di allontanamento linguistico dai centri corrisponde [...] un movimento di avvicinamento culturale ad essi. Il dialetto di una remota comunità rurale viene investito della più aggiornata cultura letteraria» (Brevini 1990: 75).
La scelta di tradurre in friulano i grandi poeti moderni, stava, lo si è visto, nella volontà di dimostrare l’efficacia sonora e formale di una lingua a parer loro viva e integra, adatta a far poesia: «del friulano ho fatto un’esperienza tutta poetica (e niente affatto vernacola)», affermava Pasolini in una lettera del 1945 al poeta udinese Mario Argante (Pasolini 1986: 217) mentre Nico Naldini nel saggio introduttivo al volume sulle vicende dell’Academiuta, spiega che le loro traduzioni – o meglio ‘imitazioni’ – si proponevano di «cercare attraverso il meccanismo delle analogie, una ineffabile corrispondenza tra parola e parola» (Naldini 1994: 24); si trattava insomma di un gioco di sostituzioni foniche e melodiche nel quale i testi consacrati di celebri voci venivano subordinati a quella specie di ‘linguaggio assoluto’ (Martellini 2006: 7) fino ad allora mai esistito.
Pasolini, pur consapevole dell’inevitabile perdita che deriva da ogni traduzione riteneva tuttavia che il friulano fosse una lingua di creazione e di poesia e come tale efficace di per sé, indipendentemente dal risultato ottenuto in relazione all’originale:
[...] non si tratterebbe di trasferire la materia da un piano superiore (la lingua) a un piano inferiore (il friulano), ma di trasporla da un piano all’altro a parità di livello. Può darsi che anche in questo secondo caso il testo italiano, francese o spagnolo risulti menomato: ma ciò è fatale per qualsiasi umana traduzione [...] ad ogni modo la dignità del friulano sarebbe egualmente dimostrata anche da una mediocre riuscita di una simile operazione (Pasolini. 1947a: 283).
Pasolini si impegnò dunque in quell’intento di sperimentalismo linguistico neofelibrista proponendo, per il primo fascicolo de Il Stroligut uscito nell’agosto del 1945, la traduzione di due liriche di Juan Ramón Jiménez (Tristeza dulce del campo e Viene una música lánguida) che affidò al cugino e poeta Domenico Naldini, cimentandosi egli stesso nell’esercizio della traduzione dagli spagnoli con il proposito di realizzare una ‘piccola antologia iberica’.
3. Pasolini traduttore dialettale
L’attività di Pasolini traduttore di poesia è documentata nell’ultima edizione completa delle sue opere in versi (Pasolini 2003, II) dove vengono raccolte oltre alle poche versioni finora pubblicate[5] molte traduzioni inedite, complessivamente settanta, in italiano e in friulano. L’abbondante numero di testi tradotti in friulano anche da lingue esotiche, dimostra sia il suo vivace interesse per la poesia d’ogni tempo sia quella bulimia intellettuale (Siti 2003a: 1899) che lo spinse a misurarsi con idiomi e culture che conosceva appena o ignorava del tutto: di fatto per tradurre nel friulano casarsese si affidò verosimilmente alle traduzioni italiane allora esistenti di poeti tedeschi, giapponesi, inglesi e, in larga misura, anche spagnoli.
Le versioni riunite nell’edizione appena citata rivelano la sua predilezione per i francesi di fine Ottocento – Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Laforgue – che traduce in italiano. Ma dall’insieme dei testi emerge anche uno spiccato interesse verso gli spagnoli: Jiménez, Salinas, Guillén e García Lorca sono poeti che tra i moderni apprezza in modo particolare (Pasolini 1947a: 282) e la cui proposta di traduzione in friulano, in assenza di precisi riferimenti cronologici, ne indica approssimativamente il periodo di realizzazione tra il 1945 e il 1947.
Walter Siti nelle Note e notizie sui testi, riguardanti le traduzioni dai lirici spagnoli, commenta: «Particolarmente importante è un fascicolo manoscritto composto da una cinquantina di fogli, che reca sul frontespizio l’intestazione autografa “Traduzioni. Piccola antologia ibèrica” [...] ancora presso gli eredi» (Siti 2003b: 1784). Questa breve annotazione è di grande rilevanza perché da un lato conferma l’intenzione di Pasolini di realizzare un’antologia di poeti spagnoli in traduzione e dall’altra informa sull’esistenza di versioni ancora inedite. Delle traduzioni friulane raccolte da Siti (Pasolini 2003, II: 1424-61), sei sono i componimenti di García Lorca (Romance sonámbulo, El cazador, Canción de la muerte pequeña, La balada del agua del mar, Preciosa y el aire, Llanto por Ignacio Sánchez Mejías di cui tradusse soltanto La cogida y la muerte, La sangre derramada fino al verso 24 e Alma ausente), uno di Pedro Salinas (Far West), cinque di Jorge Guillén (Arroyo claro, Río, Los jardines, Advenimiento, Vocación de ser) e quattro di Juan Ramón Jiménez (Doraba la luna el río, Mi agua, El firmamento, Viene una música lánguida); del poeta onubense tradusse anche due versi in italiano da ¡Granados en cielo azul! posti in epigrafe al primo capitolo del giovanile romanzo breve Amado mio e, ancora in friulano, in un tentativo poi cassato, solo il primo verso della lirica Epitafio ideal.
Nel suo encomiabile lavoro di curatore dell’opera completa pasoliniana Siti non dà tuttavia notizia delle fonti alle quali attinse il poeta per la realizzazione delle sue traduzioni[6] e sebbene disponga sempre a fronte il testo di riferimento, l’originale non risulta essere in tutti i casi quello di cui si servì il friulano: come avviene di fatto nel caso delle liriche juanramoniane Mi agua e El firmamento.[7] Le versioni dialettali dei lirici spagnoli presenti nell’edizione curata da Siti sono sporadicamente accompagnate e mediate[8] da una traduzione italiana attribuibile a Pasolini; in generale è lecito supporre che il poeta si sia servito delle traduzioni che allora circolavano nel nostro Paese. Le sue traduzioni italiane al piede del testo in friulano si rivelano nel caso di Mi agua e El firmamento di Jiménez tentativi poco riusciti che mostrano in modo lampante la difficoltà di Pasolini nell’affrontare una lingua che conosce poco (o non conosce affatto?) e dalla cui fallace familiarità si lascia ingannare. Si è visto (cfr. Mininni 2011) che l’esigenza da parte sua di procedere a una traduzione italiana per Mi agua e El firmamento di Juan Ramón, deriverebbe dall’assenza di quelle traduzioni in italiano nei testi di riferimento che aveva a disposizione, testi a cui invece rinviano tutte le liriche degli spagnoli da lui tradotti ad eccezione della poesia Río di Jorge Guillén.
4. Le fonti italiane per le traduzioni nel friulano ‘di ca da l’aga’
Negli anni in cui Pasolini si cimentò nelle traduzioni in friulano, Jiménez, García Lorca, Guillén e in misura minore Salinas, erano noti in Italia soprattutto grazie alle opere di Carlo Bo (1940, 1941a, 1941b), Giacomo Prampolini (1934), Giovanni Maria Bertini (1943), Francesco Tentori (1946) e di altri critici come Angiolo Marcori (1937) che scrisse sulle pagine delle più prestigiose riviste di letteratura italiane di cui Pasolini fu lettore e recensore. Sfogliando quei preziosi materiali – saggi e riviste – è stato possibile risalire ai testi che Pasolini utilizzò per selezionare le liriche da tradurre nel cangiante linguaggio poetico casarsese.
Nel romitorio di Versuta poté leggere le opere degli spagnoli in traduzione o in versione originale con testo a fronte nelle edizioni allora pubblicate in Italia e, in qualche caso, anche le edizioni originali spagnole[9] perché il giovane Pasolini «comprava tutti i libri che desiderava, fino a possedere a vent’anni una biblioteca molto consistente di letteratura classica e moderna, di grandi monografie d’arte e di intere collezioni delle principali riviste del tempo» (Naldini 1993: 17). A Bologna durante gli anni di Università era riuscito ad appagare largamente la sua passione per i libri al Portico della Morte dove trovava allineati sulle bancarelle i volumi delle opere di poeti, drammaturghi, narratori e saggisti.[10] È indubbio dunque che l’avido lettore Pasolini possedesse l’edizione delle Poesie di García Lorca, pubblicata nel 1940 da Carlo Bo, scopritore e primo traduttore del granadino (cfr. Tabanelli 2011: 90-1). Infatti nel volume, edito da Guanda, sono raccolte 38 liriche tradotte in italiano e prive del testo a fronte (che verrà aggiunto nell’edizione successiva del 1942), tra le quali si trovano quattro delle sei tradotte da Pasolini: Bella e il vento (Preciosa y el aire), Romanza sonnambula (Romance sonámbulo), Lamento per Ignacio Sánchez Mejías (Llanto para Ignacio Sánchez Mejías) e Il cacciatore (El cazador) la cui versione però non coincide con quella posta al piede della traduzione dialettale pasoliniana; Ballata dell’acqua di mare (La balada del agua del mar) e Canzone della morte piccina (Canción de la muerte pequeña) si trovano invece nel quinto numero della rivista letteraria Poesia. Quaderni internazionali (1946) diretta da Enrico Falqui. Due delle poesie di Lorca tradotte in friulano da Pasolini, El cazador e Romance sonámbulo, sono presenti anche nel volume Lirici spagnoli, antologia curata ancora da Carlo Bo e pubblicata con testi a fronte nel 1941. In questa stessa antologia si trovano anche Far West di Pedro Salinas così come Advenimiento, Arroyo claro e Vocación de ser di Jorge Guillén; due delle poesie di Guillén incluse nella selezione friulana di Pasolini – Los jardines e Advenimiento – erano state allora tradotte anche da Eugenio Montale e pubblicate sulla rivista “Circoli”[11] nel 1933 ma queste preziose versioni non sembrano aver guidato la realizzazione della traduzione pasoliniana.
I componimenti di Juan Ramón Viene una música lánguida e Doraba la luna el río, tradotti con testo a fronte, sono reperibili anch’essi in Lirici spagnoli ma Viene una música lánguida era già presente, soltanto in originale, anche nell’esteso saggio di Bo (1941a) interamente dedicato a Jiménez, mentre Doraba la luna el río venne pubblicata in versione originale ancora da Bo nel florilegio di “Letteratura” (1938) e tradotta con testo a fronte da Tentori nel 1946. Tuttavia le liriche El firmamento e Mi agua, appartenenti all’antologia Canción (1936), non sono reperibili in alcuna delle pubblicazioni italiane del tempo né in versione originale né tradotte.
Concludendo si può affermare che il giovane poeta Pasolini, traduttore dei lirici spagnoli del Novecento in nome della strenua difesa di una lingua «così acremente estranea ai dialetti italiani, ma così piena di dolcezza italiana» (Pasolini 1992: 847), abbia attinto principalmente alle antologie e ai saggi del ‘frontespiziano’ ed ermetico Carlo Bo e che la sua scelta di rendere alle acerbità del friulano le voci a lui care negli anni di formazione poetica risulta ben lontana dal culto del primitivismo, configurandosi invece come un tentativo di ricerca dell’‘altro’, un «regresso lungo i gradi dell’essere» (Pasolini 1952: 856); la genuinità della koiné friulana rispondeva a un «bisogno profondo di diversità» (Pasolini 1947b: 116) che si esplica in un’accorata e languida nostalgia. Lo sperimentalismo linguistico neofelibrista esercitato nelle versioni dei lirici spagnoli si esaurisce di fatto prima degli anni ’50, con l’allontanamento dal Friuli; da allora gli interpreti della cultura iberica sopravvivono soltanto in qualche rapido rinvio spesso polemico e i vibranti echi lorchiani e juanramoniani delle opere giovanili, dai versi de La meglio gioventù alle prose di Un paese di temporali e di primule, si affievoliscono fino a tacere del tutto.
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Note
[1] Occorre infatti precisare che «il friulano in cui Pasolini scriveva era un ibrido, né la versione già codificata della tradizione letteraria del capoluogo regionale, né il canone stabilito dal dizionario Italiano-Friulano di Pirona. Pier Paolo si basava su quello che sentiva, trascrivendo una mescolanza di friulano, di veneto e delle idiosincrasie personali in cui si imbatteva» (Schwartz 1995: 215).
[2] Gianfranco Contini, destinatario di una delle prime copie del libretto di poesie friulane stampato a Bologna nel luglio del 1942 [Poesie a Casarsa], ha mandato questo biglietto all’autore: «Caro Pasolini, ho ricevuto ieri il vostro Poesie a Casarsa, è piaciuto tanto che ho inviato una recensione a Primato, se la vogliono». [...] La recensione, che comparirà quasi un anno dopo, non in Primato perché lodava un libro in dialetto, scritto cioè in uno di quei linguaggi particolaristici che il fascismo voleva proibire, ma in un quotidiano svizzero, al di là delle lodi inebrianti, apre per il giovane poeta il registro delle lingue romanze minori e delle loro sublimazioni estetiche, e di colpo lo rende consapevole di una poetica che aveva solo confusamente intuito. Caso di maieutica splendidamente riuscito, Contini stesso lo ricorderà con affetto: «Fu quella in sostanza la mia unica scoperta [...] Cominciò allora una lunga amicizia» (Naldini 1993: 44-5).
[3] Nel 1946, ormai avviato il progetto del felibrismo friulano, Pasolini così scriveva a Contini: «Come sarebbe utile il suo aiuto al nostro minuscolo félibrige, anzi, guardi, Le getto qui un’idea che col tempo, chissà, potrebbe rivelarsi non tanto gratuita e infeconda: che ne direbbe che lo Stroligut (magari mutando nome) divenisse una piccola rivista, ma più poetica che filologica, di tutte le parlate ladine?» (Pasolini 1986: 241-2). Lo studioso rispose offrendogli la possibilità di scrivere al poeta catalano Carlos Cardó, grazie al quale poté essere pubblicato il florilegio di poesie catalane nell’ultimo fascicolo della rivista dell’Academiuta, dal significativo titolo di Quaderno romanzo (giugno 1947).
[4] Il titolo adottato per i primi due fascicoli della piccola rivista, usciti nell’aprile e nell’agosto del 1944, era stato Stroligut di ca da l’aga ma a partire dalla fondazione dell’Academiuta il titolo si ridusse al semplice Stroligut (Piccolo almanacco).
[5] Alcune delle sue traduzioni sono state pubblicate su riviste friulane degli anni Quaranta, due sono incluse nella raccolta Poesia straniera del Novecento a cura di Attilio Bertolucci (1958), una è apparsa su L’Europa letteraria nel dicembre 1960 e pochissime altre sono uscite postume (Pasolini 1993a; Fusillo 1996; Todini 1997).
[6] «Quando ci è stato possibile, abbiamo indicato da dove Pasolini ha preso il testo da tradurre: sia nel caso degli originali di lingue che conosceva, sia nel caso delle traduzioni italiane di riferimento, per le lingue che gli erano meno familiari o del tutto sconosciute» (Siti 2003b: 1784).
[7] A questo proposito si veda il mio lavoro Il giovane Pasolini traduttore di Juan Ramón Jiménez (Mininni 2011).
[8] Si tratta ancora di El firmamento e Mi agua di Jiménez e di El cazador di García Lorca.
[9] È questo il caso delle due liriche di Jiménez a cui si è fatto riferimento nella nota precedente.
[10] I ricordi evocati dalla viva voce del poeta si possono leggere in Pier Paolo Pasolini (1988), Il Portico della Morte, Roma, Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, 213.
[11] Sei liriche del “Cántico” di Jorge Guillén (1931) “Circoli”, n. 1, gennaio-febbraio, 55-9. Le liriche vennero successivamente pubblicate nel volume Jorge Guillén tradotto da Montale, Milano, Scheiwiller, 1958.
©inTRAlinea & Maria Isabella Mininni (2013).
"Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)"
inTRAlinea Special Issue: Palabras con aroma a mujer. Scritti in onore di Alessandra Melloni
Edited by: Maria Isabel Fernández García & Mariachiara Russo
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