Terminografia e comparazione giuridica: metodo, applicazioni e problematiche chiave
By Natascia Ralli (Accademia Europea di Bolzano)
Abstract
English:
Documentation and legal comparison are essential activities that allow the correctness of communication between subjects belonging to different legal systems. Law is a very tricky subject field, especially in consideration of the peculiar features held by its main means of expression: legal language. The present article draws from the experience of the Institute for Specialised Communication and Multilingualism at the European Academy of Bolzano with bilingual legal terminology projects (Italian and German). With the help of real examples the paper aims at sketching a picture of the peculiarities of the subject field, the difficulties faced and the methodologies applied to the systematic study of law from a terminological point of view.
Italian:
In ambito giuridico la documentazione e la comparazione costituiscono elementi fondamentali per la comunicazione e la corretta comprensione tra soggetti appartenenti a ordinamenti differenti. Il diritto è un settore pieno di insidie e trabocchetti, soprattutto a fronte delle caratteristiche del mezzo attraverso cui esso si esprime: il linguaggio giuridico. Sulla base dell’esperienza acquisita dall’Istituto di comunicazione specialistica e plurilinguismo dell’Accademia europea di Bolzano mediante progetti terminologici in lingua italiana e tedesca in ambito giuridico e sulla scorta di esempi concreti tratti dal sistema informativo per la terminologia giuridica bistro ([url=http://www.eurac.edu/bistro]http://www.eurac.edu/bistro[/url]), il presente contributo intende fornire, da un punto di vista terminologico, una panoramica sulle caratteristiche attinenti allo studio sistematico del diritto, le difficoltà riscontrate e le metodologie applicate.
Keywords: equivalence, legal comparison, terminological incongruity, legal terminology, lexicology and terminology, comparazione giuridica, equivalenza, incongurenze terminologiche, terminologia giuridica, termingrafia
©inTRAlinea & Natascia Ralli (2009).
"Terminografia e comparazione giuridica: metodo, applicazioni e problematiche chiave"
inTRAlinea Special Issue: Specialised Translation I
Edited by: Danio Maldussi & Eva Wiesmann
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1. Introduzione
In Italia alcuni Comuni prevedono una figura con età compresa, a seconda delle amministrazioni, fra i 50-60 e i 70-75 anni che, munita di pettorina colorata, berretto di riconoscimento e paletta priva di contrassegni, è chiamata a svolgere un servizio di sorveglianza di fronte agli istituti scolastici negli orari di entrata ed uscita degli alunni, teso sia a facilitare gli attraversamenti pedonali nelle vicinanze della scuola sia ad impedire eventuali molestie agli alunni stessi[1]. Tale figura è detta “nonno vigile”. Tuttavia, non è solo il nostro Paese ad attuare iniziative simili. Anche in Germania sono previste persone che svolgono lo stesso ruolo, ma con un’unica e rilevante differenza: le mansioni di cui sopra sono svolte non da persone con età superiore ai 50/60 anni, bensì da ragazzi con età compresa tra i 14 e i 20 anni, detti Schülerlotse(n). In Alto Adige, Provincia caratterizzata dalla convivenza di tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino) e da una situazione di bilinguismo parificato (DPR n. 670/1972), tale dicitura è utilizzata per rendere in lingua tedesca il concetto italiano di “nonno vigile”.
Questo semplice esempio ci introduce nel complesso mondo della terminologia giuridica, la cui correttezza e chiarezza costituiscono fondamento imprescindibile del diritto. D’altronde il linguaggio giuridico, a differenza degli altri linguaggi specialistici, non si limita solamente a descrivere la realtà, ma la modifica (Fioritto 2007:408), incidendo quindi sulla sfera della società e, conseguentemente, sulla vita di ciascun individuo. Si pensi ad un rogito, alla richiesta di cambio di residenza o al “sì” pronunciato durante un matrimonio civile. Per tale motivo gli atti normativi devono essere redatti in modo efficace, non solo dal punto di vista giuridico, ma anche dal punto di vista comunicativo (Fioritto 2007:405), affinché il messaggio venga correttamente compreso. Ancor più complessa, sebbene su livelli diversi, si presenta la redazione di atti normativi in una situazione di multilinguismo o la traduzione verso altri ordinamenti giuridici. In questo caso, oltre a possedere competenze linguistiche e culturali nella lingua di arrivo e di partenza, è necessario conoscere la “‘cultura giuridica interna’ propria dell’ambito sociale della lingua di partenza e di quella di arrivo” (Palazzolo 2006:18). Al fine di produrre un enunciato terminologicamente e giuridicamente corretto è quindi necessario essere pienamente consapevoli delle analogie e differenze esistenti fra gli ordinamenti giuridici.
Le differenze delle sistemazioni tassonomiche (Rossi 2001) dei singoli ordinamenti giuridici sono dovute anche al forte carattere nazionale del linguaggio giuridico; ogni concetto è infatti strettamente legato all’ordinamento che lo ha prodotto e, conseguentemente, interpretabile solo in riferimento allo stesso. Tradurre un testo giuridico o, più semplicemente, cercare un termine equivalente in un altro ordinamento, non consiste pertanto nella sola ricerca dell’etichetta linguistica e, dunque, nel passaggio da una lingua all’altra, ma da un intero sistema normativo all’altro (Kerby 1982, citato in De Groot 1999:18). In questo contesto l’esperienza maturata nel corso di indagini terminologiche, condotte dall’Istituto di Comunicazione Specialistica e Plurilinguismo dell’Accademia Europea di Bolzano, che ne costituiscono uno dei principali temi di ricerca, insegna come la redazione e la traduzione di testi giuridici non possa prescindere da un preventivo lavoro di comparazione giuridica e terminologica su cui “costruire un ponte non solo tra una lingua e l’altra, ma anche tra il contesto istituzionale di partenza e quello di arrivo” (Dal Pane 2001/2002:84).
Questa trattazione si propone di illustrare alcune delle principali tematiche attinenti allo studio sistematico del diritto, introducendo spunti di riflessione sulla ricerca terminologica e l’analisi comparativa. Si procederà infatti ad illustrare alcune considerazioni sulla comparazione, ponendone in evidenza ruolo, metodo e dimensione applicativa in seno alla terminologia, intesa come “lo studio dei concetti e delle loro rappresentazioni nei linguaggi specialistici” (ISO 704:2000), e della sua applicazione pratica, la terminografia. Il contributo si concentrerà quindi sui vari tipi di equivalenze riscontrabili nel diritto e sulle soluzioni da adottare nel caso in cui si presenti una lacuna terminologica. Si concluderà con una breve esposizione di alcuni strumenti di ausilio all’attività terminologica.
S’impone, infine, un’avvertenza preliminare: il presente scritto costituisce una sintesi della relazione tenuta il 5 dicembre 2007 presso il Laboratorio Permanente di Traduzione Settoriale del Dipartimento di Studi Interdisciplinari su Traduzione, Lingue e Culture di Forlì. È chiaro che gli argomenti espressi nel titolo richiederebbero una trattazione decisamente più complessa; il lettore troverà qui un sunto dei temi principali affrontati in detta sede[2].
2. Peculiarità della terminologia giuridica
Lo studio terminologico del diritto solleva innanzitutto un problema linguistico (Ralli 2006b:1) dovuto alle caratteristiche del mezzo attraverso cui esso si esprime. La lingua giuridica, sebbene appartenga alla grande categoria dei linguaggi specialistici, presenta in realtà caratteristiche particolari che sono imputabili alla sua natura e al suo aspetto performativo.
2.1. Il lessico
Secondo Belvedere (1994:405, in corsivo nell’originale),
La questione [della giuridicità di un termine] è resa più complicata dalla natura ‘aperta’ del linguaggio giuridico, non separato con rigide barriere dal linguaggio ordinario, con il quale avvengono anzi frequenti scambi di termini in entrambe le direzioni. Ne consegue che, spesso, le differenze tra linguaggio ordinario e giuridico non riguarderanno i termini, ma il loro uso, nel senso che uno stesso termine potrà ricorrere negli enunciati di entrambi i linguaggi, ma con significati (più o meno) differenti. Occorrerà quindi prendere in considerazione non solo i termini tecnici delle discipline giuridiche, ma anche gli usi tecnici di termini appartenenti (anche) al linguaggio ordinario”.
Il lessico giuridico è molto eterogeneo. Si può comporre di termini da considerarsi prettamente giuridici, come per esempio sinallagma o ex-nunc, come anche di termini mutuati dal linguaggio ordinario, che acquisiscono valore giuridico solo se collocati in un contesto normativo. In taluni casi si verifica ciò che Scarpelli (1985:65) e Mortara Garavelli (2001:11) chiamano “ridefinizione”, ovvero l’attribuzione a parole della lingua comune di un significato diverso da quello usuale. Si pensi ad esempio a capacità, intesa solitamente come l’“idoneità, l’attitudine propria di un soggetto a fare qualcosa” (Devoto & Oli 2002:335), ma che nel diritto civile suole indicare l’“idoneità del soggetto ad essere titolare e ad esercitare diritti e doveri giuridici”[3].
Troviamo inoltre neologismi, introdotti solitamente per adeguare il lessico a istituti di recente concezione, come ad esempio prescuola, e dittologie, ossia “espressioni binominali e multinominali costituite da elementi semanticamente simili” (Russo 2001/2002:151) facenti riferimento allo stesso concetto. Ne sono un esempio pesi, oneri e gravami o in nome e per conto di. Come altri linguaggi specialistici, anche la lingua del diritto si compone di tecnicismi collaterali, cioè di “particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica: un comune malato prova, avverte, sente, dice di avere un dolore ma, nel linguaggio dei medici lo accusa; e allo stesso modo un magistrato, per l’uomo della strada interroga dei testi mentre, nel linguaggio giudiziario, procede alla loro escussione”. (Serianni 1989, citato in Mortara Garavelli 2001:16, corsivo nell’originale). Sono, dunque, vocaboli, aggettivi, verbi e costrutti tipici di un dato ambito specialistico, non strettamente necessari all’esigenza comunicativa, ma che presentano un elevato registro di specializzazione e una forte taratura intellettuale. Esempi tipici sono vicenda anziché storia oppure pronunciare una sentenza al posto di emettere una sentenza.
Fungendo il linguaggio giuridico da vettore del precetto e incidendo sulla realtà e su ogni aspetto della società, lo stesso lessico giuridico può altresì comporsi di terminologie provenienti da altre discipline, come ad esempio dalla medicina; si pensi a gamete o fecondazione assistita in seno al diritto di famiglia. Oppure a termini afferenti all’ittiologia, come novellame o fauna ittica all’interno del diritto ambientale. La legislazione stradale contempla, per esempio, termini dell’ingegneria stradale, come strada, ripa o livelletta, dei trasporti, come trasporto di cose su strada, delle assicurazioni, come certificato di assicurazione obbligatoria o premio di assicurazione, ecc.. La costante interazione della materia giuridica con altri campi del sapere fa sì che a volte anche i termini mutuati da altri campi vengano nuovamente definiti a livello normativo, pur essendo già stati definiti nel settore specialistico di appartenenza. Si verifica in questo caso ciò che Soffritti (2002:60) definisce una “doppia specializzazione linguistica” (doppelte Fachsprachlichkeit) del termine.
Infine, in virtù del tradizionalismo e conservatorismo per cui si contraddistingue la lingua del diritto, il lessico giuridico presenta formule rituali più o meno fisse atte a “segmentare il procedimento in fasi più o meno lunghe e più chiaramente individuabili” e, al contempo, per “garantire il cittadino da prevaricazioni rese possibili da usi linguistici non convenzionali” (Rega 2006:411-412). Tali espressioni formulaiche sono individuabili a livello preposizionale, come per es. a pena (es. a pena di decadenza), in sede (es. in sede mandamentale), e fraseologico. Ne sono un esempio come visto e piaciuto, con la diligenza del buon padre di famiglia oppure (tutto ciò premesso tra le parti) si conviene e si stipula.
2.2. Omonimia e varianti
Dato il carattere interdisciplinare e la natura ‘aperta’ del linguaggio giuridico, si osserva nel diritto un margine di incertezza spesso dovuto alla mancanza di rigorosità (Russo 2001/2002:143) nell’uso dei termini giuridici sia da parte dell’individuo comune sia dello stesso esperto. Così, in seno alla legislazione stradale, si può parlare indistintamente di perdita o decurtazione del punteggio, di autoscuola o scuola guida, di tasso alcoolemico o tasso alcolemico. O ancora, nel diritto di famiglia, di convivenza coniugale o convivenza matrimoniale, di vincolo matrimoniale, vincolo coniugale o vincolo di coniugio. Sarebbe pertanto inesatto affermare che l’uno o l’altro termine, quale sinonimo o variante ortografica, sia più corretto rispetto al suo concorrente dal momento che sono concettualmente identici. La preferenza dell’uno piuttosto che dell’altro può essere dettata dall’abitudine linguistica “che può prendere forma a partire dall’uso comune e dunque reale della lingua da parte dei soggetti coinvolti nei processi comunicativi” (Bertaccini 2007a), dalle tendenze dottrinali o giurisprudenziali oppure dall’esistenza di diversi contesti e di diverse situazioni comunicative, come osserva Russo (2001/2002:143, corsivo nell’originale):
Immaginiamo ad esempio un contesto traduttivo in cui ci si trovi a dover tradurre le denominazioni delle parti di un contratto di leasing (arrendador financiero e arrendatario financiero) in italiano. L’uso della vecchia terminologia, ossia delle coppie locatore/locatario o conduttore/locatario costituirebbe un esempio di uso diacronico non rigoroso della terminologia giuridica. Si tratta infatti di forme ormai quasi completamente in disuso di cui non si troverà applicazione oggi nei modelli contrattuali di banche o società di leasing. Al loro posto il traduttore preferirà l’uso della terminologia più recente (Concedente/Utilizzatore).
Accanto alla variazione si affianca l’omonimia che, in senso terminologico, si verifica quando si ha a disposizione un unico referente per designare più concetti. Si tratta di un “fenomeno che investe il significante: i significanti di due parole distinte, con significati distinti, coincidono perfettamente nel suono, nella grafia o in entrambi” (Bertaccini 2007b). Nel diritto ciò comporta la necessità di fornire precise coordinate contestuali al fine di comprendere l’esatto significato ed evitare quindi erronee interpretazioni. Possono infatti esistere vari tipi di definizioni a seconda che il termine omonimo faccia riferimento all’uno o all’altro ramo del diritto. Così, a titolo esemplificativo, arresto assume tre significati distinti a seconda del settore giuridico a cui fa riferimento: nella legislazione stradale, ai sensi della lett. a., co. 1, art. 157 del Codice della strada, è l’“interruzione della marcia del veicolo dovuta ad esigenze della circolazione”; nel diritto processuale penale indica la “privazione temporanea della libertà personale di competenza esclusiva della polizia giudiziaria”[4]; infine, nel diritto penale si riferisce ad una “pena detentiva prevista per le contravvenzioni che si sconta in uno degli stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno e si estende da cinque giorni a tre anni” (Nuovo Dizionario Giuridico 1998:93).
Tale fenomeno può tuttavia ricorrere anche all’interno di uno stesso ramo del diritto. Si pensi ad esempio a presidio sanitario, con il quale nella legislazione sociale si intende sia la struttura fisica in cui vengono effettuate prestazioni e/o attività sanitarie (es. un ambulatorio o ospedale), sia i prodotti e materiali per la prevenzione e la cura di alcune malattie, come ad esempio siringhe, bende o garze.
2.3. Contesto giuridico
Come abbiamo visto, il contesto giuridico riveste un ruolo fondamentale per la corretta comprensione ed interpretazione del concetto. Ad un contesto di carattere generale si può, tuttavia, contrapporre un contesto puntuale, creato appositamente dal documento normativo (Ralli 2006a:118; Ralli 2006b:62-63) con l’attribuzione al concetto di un significato diverso dall’uso corrente. Solitamente questi tipi di contesto sono preceduti da espressioni come “ai fini del presente decreto legislativo si intende per” oppure “ai fini del presente regolamento è da considerarsi”. Prendiamo imputabilità come esempio: l’art. 85 del Codice penale la definisce nel modo seguente:
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.
Anche il decreto legislativo 207/2007 dal titolo “Attuazione della direttiva 2005/61/CE che applica la direttiva 2002/98/CE per quanto riguarda la prescrizione in tema di rintracciabilità del sangue e degli emocomponenti destinati a trasfusioni e la notifica di effetti indesiderati ed incidenti gravi” al co. 1 dell’art. 1 definisce il concetto di imputabilità:
Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: [...]e) imputabilità: la probabilità che un grave effetto indesiderato in un ricevente possa essere attribuito al sangue o all’‘emocomponente trasfuso o che un grave effetto indesiderato in un donatore possa essere attribuito al processo di donazione; [...].
Il significato è più circoscritto ed è evidente la stretta dipendenza di imputabilità dal contesto creato dal documento normativo, il cui significato risulta essere condizionato “da una convenzione interpretativa in virtù della quale i termini e le espressioni impiegate vengono usati con un significato attribuito per accordo tra le parti e quindi diverso dall’uso corrente” (Russo 2001/2002:149).
Disagi interpretativi non vengono solamente provocati da contesti creati ad hoc da un testo normativo, ma anche dall’effetto giuridico e dal livello discorsivo dello stesso contesto, ossia dalla legislazione, giurisprudenza e dottrina (Ralli 2006b:73 ss). Si pensi, ad esempio, ai termini definiti dal legislatore, ma interpretati e ridefiniti dal giudice in sede di procedimento giudiziario. Oppure ai termini definiti da studiosi di materie giuridiche per fini didattici, scientifici o altro che, attraverso un metalinguaggio, utilizzano le definizioni non in maniera isolata, ma connesse “l’una all’altra in un tessuto sistematico e unitario” (Luzzati 1990:249). Si tenga altresì presente che il contesto giuridico può variare a seconda del testo legislativo, persino di pari livello gerarchico.
In tal senso il termine giuridico non può essere considerato come un elemento extra-linguistico a sé stante, ma strettamente legato alla sua applicazione (Ralli 2006a:119). Ad esso possono corrispondere tanti significati quante sono le interpretazioni. Pertanto è proprio nell’uso che va ricercato il significato.
2.4. Sistemazioni tassonomiche
Talora un sistema utilizza nozioni e parole che, non avendo riscontro nel diritto di un paese diverso, non hanno riscontro nei concetti noti ai giuristi di questo paese, né nella terminologia presente nella loro lingua. [...]. Per affrontare i problemi che tutto ciò pone, bisognerà rendersi conto dei fenomeni che sorgono dalla duplice qualità del vocabolo giuridico, che appartiene contemporaneamente ad un sistema linguistico e ad un sistema giuridico dotato di fonti scritte e altre verbalizzazioni. (Gambaro & Sacco 1996:9)
Ogni ordinamento giuridico dispone di un proprio apparato concettuale, di proprie strutture cognitive (Sandrini 1996:138, Šar?evi? 1997:232) e, dunque, di proprie tassonomie (Rossi 2001), frutto di eventi storici. Ad esempio, i termini del tedesco federale Bundesstraße o Bundesfernstraße difficilmente potranno trovare un loro equivalente in italiano, non essendo l’Italia uno Stato federale. Il concetto giuridico si presenta quindi strettamente legato alla realtà giuridica che lo ha prodotto; è imprescindibile da essa, e, al contempo, mutevole e variabile nel tempo, soggetto e partecipe alle trasformazioni della società e agli orientamenti del sentimento etico (Ralli 2006b:85), che gli impongono, a seconda delle circostanze, di ampliare, ridurre, ridefinire il proprio significato o persino di acquisirne uno nuovo.
Vediamone due esempi, uno italiano e uno austriaco: ai sensi del RD del 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), la procedura concorsuale era intesa come una procedura giudiziale che, in caso di insolvenza di un imprenditore commerciale, sottoponeva ad esecuzione l’intero patrimonio dell’impresa per assicurare la par condicio creditorum. Erano procedure concorsuali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo, l’amministrazione controllata, l’amministrazione straordinaria (Nuovo Dizionario Giuridico 1998:948). Il decreto legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5 ha imposto una rimeditazione degli istituti in materia fallimentare. Ciò ha comportato l’abrogazione dell’amministrazione controllata con effetto dal 16 luglio 2006 e l’introduzione di due nuove procedure concorsuali: l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese e l’amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni. In un’analoga ridefinizione concettuale, in Austria la modificazione alla legge fallimentare austriaca (Konkursordnung) avvenuta mediante la Konkursordnungsnovelle del 1993, ha introdotto, a partire dal 1995, l’istituto del fallimento anche per le persone fisiche.
Si può, infine, osservare una differenza nelle tassonomie fra i diversi ordinamenti giuridici persino nei casi in cui gli oggetti extralinguistici siano gli stessi. Lo abbiamo visto con l’esempio di nonno vigile/Schülerlotse in apertura al presente contributo.
3. Terminologia e comparazione
La comparazione, intesa come metodo o scienza (Gallo 1997:12), comprende la macrocomparazione, ossia lo studio di una pluralità di sistemi giuridici attualmente operanti (Pizzorusso 1995:138), e la microcomparazione, ossia l’analisi di uno o più istituti di cui si compongono detti sistemi (Chiocchetti et al. 2009:3). Attraverso il confronto e l’analisi essa mira ad una migliore conoscenza dei sistemi giuridici e delle relazioni che intercorrono tra di loro al fine di mettere in evidenza analogie e differenze (Pizzorusso 1995:138, Chiocchetti et al. 2009:3).
In ambito terminologico la comparazione viene asservita ad una dimensione applicativa. Pertanto le indagini comparate dirette a confrontare le varie realtà terminologiche e giuridiche non consistono nella sola individuazione di un’etichetta linguistica, ma nello studio accurato dell’istituto e delle regole del settore indagato al fine di facilitare la comprensione ed agevolare la comunicazione tra soggetti appartenenti ad ordinamenti differenti. In tal senso è di fondamentale importanza prendere atto delle analogie e discrepanze con l’obiettivo di tradurre la terminologia straniera in modo corretto ed efficace sia sul piano linguistico sia giuridico e comunicativo.
3.1. Metodo e dimensione applicativa
L’elaborazione terminologica in seno al diritto può essere riassunta in alcuni punti centrali (Sandrini 1996:165 ss., Mayer 2000:299 ss., Arntz et al. 2002:219 ss.): all’interno di un determinato settore giuridico, i concetti e i termini che li denotano sono individuati sulla base di materiale di riferimento attendibile e autorevole (es. manuali, testi normativi, siti di ministeri, ecc.). Ogni concetto viene poi documentato da note bibliografiche e descritto, laddove possibile, mediante definizioni e contesti d’uso. A questo tipo di indagine fa seguito un’analisi contrastiva fra gli ordinamenti indagati (nel caso ad esempio dell’Istituto di Comunicazione Specialistica e Plurilinguismo, quello italiano da una parte e quelli dell’area tedescofona, Austria, Germania, Svizzera, dall’altra) al fine di ricercare specifiche equivalenze tra concetti o per evidenziare eventuali discrepanze.
In tal senso si effettua un’indagine a livello terminologico durante la quale vengono analizzati i termini giuridici dell’ordinamento di partenza e di arrivo, prestando al contempo particolare attenzione ai sinonimi e alle varianti ortografiche. Successivamente si procede con un’analisi a livello contenutistico, che consente di verificare se due o più istituti giuridici appartenenti a ordinamenti diversi siano o meno equivalenti sulla base delle loro proprietà e caratteristiche.
A fronte delle diverse culture e tradizioni giuridiche, gli istituti giuridici risultano tuttavia difficilmente “comparabili con quell(i) di un altro paese e ancor più difficilmente sovrapponibili tra di loro” (Riccardi 1997, citato in Dal Pane 2001/2002:84). Sono infatti rari i casi di completa sovrapponibilità. Sacco (1992:38) osserva che questa “può essere creata solo da un elemento artificiale”, intendendo con artificiale l’imposizione di un significato o di una corrispondenza fra due vocaboli da parte di specifiche autorità:
Così avviene se un legislatore è bilingue, e con ciò impone che i due testi abbiano di necessità lo stesso significato. Possiamo pensare anche ad un’autorità puramente morale: la dottrina di un paese può prescegliere la tale espressione per rendere la tale altra espressione.” (Sacco 1992:38)
È possibile riscontrare questa forma di equivalenza in ordinamenti nazionali o sovranazionali espressi in più lingue. Muoversi all’interno di un solo ordinamento giuridico (e dunque di un Paese che lo adotta) significa coincidenza degli istituti, laddove ciò implica, a sua volta, piena corrispondenza fra il concetto della lingua di partenza e il concetto della lingua di arrivo (Wiesmann 2004:117 ss., Ralli 2006a:115, 2006b:68). È il caso per esempio del Belgio o, all’interno delle nostre frontiere, dell’Alto Adige, in cui i termini in lingua tedesca documentano esclusivamente il concetto giuridico italiano e sono pertanto perfettamente equivalenti.
Senza dubbio più frequente nel diritto è l’equivalenza di tipo parziale o approssimativo che si verifica quando due concetti presentano un nucleo comune in cui condividono le caratteristiche di base. Da questo nucleo possono generarsi le due seguenti condizioni (Ralli & Stanizzi 2008:67):
- sovrapposizione, quando entrambi i concetti presentano proprietà aggiuntive. Riprendiamo l’esempio di cui alla sezione 2.4 relativo alla procedura concorsuale e operiamo un confronto con il suo equivalente tedesco federale, l’Insolvenzverfahren. Come menzionato, nel diritto fallimentare italiano con procedura concorsuale si intende una particolare procedura giudiziale che, in caso di insolvenza, sottopone all’esecuzione l’intero patrimonio dell’impresa, con lo scopo di liquidare le attività dell’imprenditore commerciale e soddisfare equamente i creditori in modo tale da assicurare la par condicio creditorum. Sono procedure concorsuali il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria delle imprese insolventi, l’amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni. In Germania l’Insolvenzverfahren, ai sensi del § 1 della InsO, consiste in una procedura che mira a giungere alla migliore soddisfazione dei creditori, secondo la par condicio creditorum, attraverso l’esecuzione dell’intero patrimonio. Il nucleo comune dei due concetti si compone quindi dei seguenti elementi: procedura giudiziale, stato di insolvenza, esecuzione dell’intero patrimonio, soddisfacimento equo dei creditori al fine di assicurare la parità di trattamento. Ma si differenziano per una serie di aspetti, quali: nell’ordinamento giuridico tedesco federale il debitore non deve essere necessariamente imprenditore commerciale; in Italia la procedura concorsuale prevede cinque istituti in materia di diritto fallimentare; infine, in Germania dal 1° gennaio 1999, con l’entrata in vigore della nuova legge fallimentare (Insolvenzordnung), è prevista un’unica procedura concorsuale (einheitliches Verfahren) che riunisce la procedura formale del fallimento (Konkurs) e del concordato (Vergleich);
- inclusione, quando uno dei due concetti presenta proprietà aggiuntive. Ad esempio in Italia con matrimonio (Ralli 2006a:121), si intende sia l’atto mediante cui viene fondata la società coniugale, sia l’unione, ovvero il rapporto che ne deriva per gli sposi a seguito della celebrazione delle nozze. In Germania e in Austria tale concetto viene espresso con due concetti differenti, ossia Eheschließung (nozze) e Ehe (vincolo giuridico).
Data la rara presenza nel diritto di equivalenze concettuali piene, Šarčević (1997:236 ss.) ha introdotto la nozione di equivalenza funzionale che è riscontrabile quando “due o più concetti [...] svolgono sostanzialmente la medesima funzione e/o [...] producono i medesimi effetti” (Ralli & Stanizzi 2008:68). Ad esempio, in seno alla legislazione universitaria sono equivalenti funzionali tutti quei concetti afferenti ad organi, professori e corsi di laurea (Ralli & Stanizzi 2008:68). Tuttavia, il ricorso a questo tipo di equivalenza deve essere attentamente valutato, essendo essa particolarmente dipendente dalla situazione comunicativa in cui si inserisce il termine dell’ordinamento giuridico di arrivo (cfr. De Groot 1991:288 ss, Dal Pane 2001/2002:84 ss, Wiesmann 2002:210).
Può anche accadere che termini di un dato ordinamento risultino a prima vista sovrapponibili sul piano concettuale a causa di una somiglianza morfologica e/o fonetica, ma in realtà presentino significati completamente diversi, risultando equivalenti nulli. Così ad esempio il dottore italiano non equivale al Doktor austriaco (Ralli & Stanizzi 2008:68). In Italia tale qualifica accademica spetta ai laureati. Si tratta di una disposizione risalente agli anni ‘30, quando la laurea costituiva il massimo titolo accademico[5]. In Austria il grado accademico di Doktor viene invece conferito solo a coloro che hanno svolto un dottorato di ricerca. L’equivalenza nulla può presentarsi persino nei casi in cui due termini, afferenti a ordinamenti giuridici diversi, siano identici a livello di denominazione. Ciò ricorre in Paesi che usano la stessa lingua. È il caso di Studienplan in Alto Adige e in Austria (Ralli et al. in corso di stampa). Nel contesto altoatesino il termine costituisce la resa in tedesco del concetto italiano di “piano di studio” con il quale si intende un “percorso formativo che lo studente deve seguire per il conseguimento di un titolo di studio” (DISAI 2007:931)[6]. Operando un confronto con la realtà universitaria austriaca, osserviamo che anche qui ricorre il termine Studienplan. Ad un’analisi più approfondita noteremo però che gli oggetti, a cui la stessa denominazione fa riferimento, sono in realtà diversi: in Austria indica un regolamento disciplinante l’organizzazione ed il funzionamento dei corsi di studio (DISAI 2007:968)[7]. In tal senso si tratterebbe di un equivalente funzionale del regolamento didattico del corso di studio proprio dell’ordinamento italiano.
3.2. Equivalenze inesistenti
Riprendendo la citazione di Gambaro & Sacco (1996:9) in apertura alla sezione 2.4., date le peculiarità, frutto di ragioni storiche, di ogni ordinamento giuridico e le differenze fra le norme previste dai diversi sistemi (Gambaro & Sacco 1996:10), non sempre è possibile individuare potenziali equivalenti. Ad esempio, il piano di studio, così come concepito in seno alla legislazione universitaria italiana, non ha un suo equivalente nel diritto austriaco. Oppure, sempre in ambito universitario, il tedesco austriaco Vertragsprofessor, che indica un professore con un contratto di insegnamento a tempo indeterminato, fa pensare al termine italiano professore a contratto. Tuttavia, in Italia un professore a contratto è sempre a tempo determinato e, pertanto, sembra non esserci altro termine italiano che corrisponda pienamente al concetto austriaco.
Posti di fronte ad un problema di intraducibilità dovuto alla presenza di un vuoto concettuale, risulta necessario trovare delle soluzioni alternative in un’ottica di comunicazione, comprensione e conoscenza tra soggetti appartenenti ad ordinamenti differenti. A tal riguardo è necessario documentarsi e studiare in maniera approfondita i sistemi indagati, evitando di decontestualizzare i vari istituti, al fine di acquisire conoscenze specifiche ed ottenere un quadro accurato delle loro caratteristiche e della loro struttura intrinseca per poter successivamente decidere se (Sacco 1992:40-41, De Groot 1999:27 ss.):
- mantenere il termine nella lingua originale anche nel testo di arrivo. Per esempio “[n]on si traduce trustee, executor, hozrasčët, sovet, kolholz, šarìʽa, etc.” (Sacco:41). Tale scelta può essere dettata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un concetto identificativo di un particolare contesto giuridico per la cui resa in un’altra lingua sembra non esserci altra alternativa. È il caso per esempio di carabinieri. Oppure il termine della lingua di partenza si riferisce ad un nuovo oggetto e referente, la cui forma originale è già stata accolta senza riserve dalla relativa comunità. Si pensi ad esempio a learning agreement in seno ai programmi di mobilità studentesca;
-
fare una parafrasi, ossia descrivere il concetto della lingua di partenza nella lingua di arrivo. Ad esempio in Alto Adige, in seno all’attività di normazione di coppie traduttive italiano-tedesco per l’apparato amministrativo da parte della Commissione paritetica di terminologia[8], il termine atto a complessità esterna, con il quale si intende un “atto complesso al quale partecipano organi di enti diversi”[9], è stato reso con mehrstufiger Verwaltungsakt unter Beteiligung verschiedener Körperschaften. Naturalmente il ricorso a questa strategia traduttiva deve essere mantenuta entro certi limiti, come osserva Dal Pane (2001/2002:87):
Se, infatti, la parafrasi fosse troppo estesa, potrebbe risultare ingombrante nell’economia del testo e provocare un allungamento del TA [testo di arrivo] rispetto al TP [testo di partenza] pregiudicando, così, uno dei parametri ritenuti fondamentali per la fedeltà al testo originale, ovvero l’assoluta corrispondenza e comparabilità dei due testi.
- calco traduzione, ossia con il materiale della lingua di partenza si forma un nuovo composto traducendo alla lettera gli elementi della lingua di arrivo (cfr. Dardano 1991:176), cercando al contempo di rispettarne la struttura sintattica. Così ad esempio, sempre in seno alle attività della Commissione paritetica di cui sopra, l’attività di supporto alla didattica è stata resa con unterstützende Tätigkeit bei Lehrveranstaltungen;
- creare un neologismo[10], ossia elaborare con procedimenti standard di formazione delle parole un nuovo termine che sia trasparente sul piano semantico e corretto su quello morfosintattico, affinché i destinatari del testo di arrivo siano in grado di cogliere immediatamente il significato del concetto di partenza anche attraverso un’associazione di idee (Newmark 1982, citato in Russo 2001/2002:105, De Groot 1999:31). Il neologismo può anche consistere in un termine che esisteva nell’ordinamento giuridico di arrivo, ma che è caduto in disuso. In taluni casi occorre però prestare molta attenzione, è cioè necessario verificare che il termine “riesumato” non costituisca una possibile fonte di errate associazioni temporali e di imbarazzi interpretativi da parte dei destinatari della lingua di arrivo. Vediamone un esempio (Ralli & Stanizzi 2008:70): come accennato in 3.1., in seguito all’entrata in vigore della nuova legge fallimentare, avvenuta il 1° gennaio 1999, l’ordinamento tedesco federale ha adottato un modello unitario di regolazione dell’insolvenza che unisce le procedure formali del fallimento, il Konkurs, e del concordato, il Vergleich. Poniamo di dover tradurre un testo dall’italiano al tedesco federale in cui si parla di fallimento. Se tale testo è relativo ad un periodo antecedente il 31 dicembre 1998, si può utilizzare senza problemi l’equivalente tedesco Konkurs, poiché fino a questa data tale procedura era contemplata dall’ordinamento federale. Se il testo si riferisce ad un periodo successivo alla data di cui sopra, sarà invece poco opportuno se non persino sconsigliabile “riesumare” il vecchio Konkurs. Essendo infatti indicativo di un dato periodo, ossia quello pre-riforma, potrebbe di fatto costituire un ostacolo alla comprensione reciproca del concetto.
Considerando le problematiche descritte, la lacuna terminologica può essere risolta solo dopo aver individuato le difficoltà che vi si celano; la formulazione di una proposta traduttiva deve pertanto essere soggetta ad attente ed accurate riflessioni al fine di costruire il ponte comunicativo a cui si è fatto cenno all’inizio della presente trattazione.
4. Strumenti al servizio della terminologia giuridica
Si è fin qui detto dell’importanza dello studio accurato dei sistemi giuridici e delle relazioni che vi intercorrono allo scopo di individuare analogie e differenze. Per fare ciò occorre essere in possesso di diverse informazioni fondamentali, quali in particolare la definizione ed il contesto. La prima è lo strumento principale per ridurre vaghezza e ambiguità giuridica. Grazie ad essa è possibile delimitare il concetto e ricevere indicazioni sul suo settore d’utilizzo: in questo modo si ottengono gli strumenti per poter prima procedere con un confronto con i concetti affini e, successivamente, con la verifica dell’equivalenza sul piano concettuale e di dominio in un’ottica contrastiva. La seconda, ossia il contesto, interviene sul piano concettuale, laddove la definizione risulta assente o non abbastanza soddisfacente, e sul piano semantico e morfosintattico per chiarire l’uso del termine, verificarne l’esattezza e, infine, disambiguare i casi di omonimia. Questo genere di informazioni lo si può trovare in:
- testi dottrinali, legislativi e giurisprudenziali[11],
- siti autorevoli monolingui (es. siti di ministeri, di documentazione giuridica, ecc.) e multilingui, come per esempio il sito dell’Unione Europea, della Confederazione Elvetica, della Provincia Autonoma di Bolzano,
- corpora monolingui e paralleli (es. BNC[12], bistro[13], LexALP[14]).
4.1. I corpora e i siti multilingui
Definiti come “a collection of pieces of language that are selected and ordered according to explicit linguistic criteria in order to be used as a sample of the language” (Sinclair 1996, EAGLES), i corpora si possono distinguere in monolingui e paralleli.
I corpora monolingui consentono di verificare la correttezza di un termine all’interno del suo contesto originale, controllandone le occorrenze; permettono di analizzarlo dal punto di vista semantico e morfosintattico, scoprendo eventuali particolarità di cui tenere conto in fase di redazione. La figura seguente illustra un caso simile, da cui emerge che una sentenza può essere dichiarata nulla, riconosciuta, emessa, notificata, pronunciata, ecc.:
Fig. 1: Concordanza di “sentenza” all’interno del corpus CATEx
È altresì possibile verificare la frequenza del termine indagato per controllarne l’esatta appartenenza ad un dominio o sub-dominio, nonché disambiguare omonimi, determinare eventuali sinonimie e reperire contesti e definizioni (Chiocchetti & Ralli 2007:261 ss). La ricerca di definizioni può avvenire attraverso l’uso di espressioni metadefinitorie (Ralli & Ties 2006:413), ossia “parole, combinazioni di parole o di elementi paralinguistici presenti all’interno di un testo” (Ralli 2006b:126, cfr. anche Marshman et al. 2002:2), indicanti la presenza di una definizione e da cui risulti una regolarità strutturale[15]. Vediamone alcuni esempi:
Ai sensi del presente regolamento si definiscono con i seguenti termini:
a) X seguito da
- pronome relativo CHE
- da verbo introduttivo (es. s’intende)
- da iperonimo (es. un insieme di)
Esempio:
Ai sensi del presente regolamento si definiscono con i seguenti termini: a) zona di fermata - o sito di fermata, s’intende la porzione di strada, anche fuori dalla sede stradale, destinata allo stazionamento dei veicoli del T.P.L. (trasporto pubblico locale); qualora la zona di fermata presenti più di uno stazionamento, la stessa sarà considerata oggetto di contributo per il numero di stalli di fermata utili. b) area di fermata - località identificabile (frazione, via, ecc.) che presenti una o due zone di fermata prossime e funzionali al servizio del t.p.l. nei due sensi di marcia; [...]. (Regolamento per l’erogazione di contributi per l’ammodernamento delle zone di fermata ad uso T.P.L, approvato con delibera del Consiglio Provinciale n. 41 del 22/09/2008, Provincia di Udine).
Oppure
Si definisc* X + SOSTANTIVO (di norma IPERONIMO)
Esempio:
Si definiscono scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, in particolare per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia di cui ai commi 4, 5 e 6. (legge 10 marzo 2000, n. 62, art. 1, c. 2)
Passiamo ora ai siti multilingui e ai corpora paralleli, con i quali si intendono testi disponibili in più lingue in cui i paragrafi di ogni versione sono allineati per meglio confrontarli. Questi strumenti sono particolarmente utili per individuare equivalenti già pronti per l’uso, come anche per analizzare e comparare determinate scelte traduttive. La figura seguente mostra la ricerca di sentenza e di un suo possibile traducente nel corpus parallelo italiano-tedesco, CATEx:
Fig. 2: Ricerca di sentenza e di un suo possibile traducente nel corpus CATEx
S’impone tuttavia un’osservazione: la ricerca di traducenti all’interno di simili strumenti può costituire un punto di partenza per la ricerca di equivalenti, ma non necessariamente la soluzione. In altre parole, non bisogna mai perdere di vista l’ordinamento giuridico di arrivo. Poniamo di dover tradurre un testo dall’italiano al tedesco federale sulla patente a punti (Chiocchetti & Ralli 2007:267). Non sapendo come possa essere la resa in tedesco, ma sapendo che il documento ha origini comunitarie, la cosa più ovvia da fare è quella di consultare il sito dell’Unione Europea per cercare il documento di riferimento. Nel nostro specifico caso si tratta della risoluzione dell’11 marzo 1994 (G.U.C. 89 10/04/1995, pag. 69) sull’introduzione di un sistema europeo di patente di guida a punti. Dopo aver trovato l’italiano si può passare al testo equivalente in lingua tedesca, da cui risulta che patente a punti è stato tradotto con Punkteführerschein. A questo punto è d’obbligo valutare a chi è rivolta la traduzione dell’ipotetico testo che stiamo traducendo: si tratta di un pubblico europeo e dunque è fondamentale applicare la terminologia ufficiale dell’ordinamento comunitario? Oppure si sta utilizzando il sito dell’Unione Europea solo come riferimento linguistico e il testo è in realtà diretto ad un pubblico tedesco federale? Il termine italiano è stato introdotto al livello nazionale a partire dal diritto comunitario, con l’introduzione del sistema a punti. Lo stesso non vale però per il tedesco federale. Passando ad analizzare la legislazione stradale tedesca emerge che in Germania il sistema dei punti è stato introdotto nel 1974 come disposizione amministrativa all’interno della “Straßenverkehrszulassungsordnung” (StVZO) al comma 15b. Ciò significa che, in realtà, al concetto tedesco federale di Fahrerlaubnis (e Führerschein nella lingua parlata), con la quale si intende il “permesso rilasciato dalle relative autorità competenti attestante che il titolare è in possesso dei requisiti fisici e psichici prescritti ed ha superato gli esami, teorici e pratici, per essere abilitato alla guida di un veicolo”[16], è già associata la caratteristica dei punti. Oppure, per citare un altro esempio, Führerausweis viene tradotto all’interno dei siti svizzeri con licenza di condurre. Il che è corretto, se il testo che dobbiamo tradurre è destinato ad un pubblico svizzero italiano. Lo stesso non vale però per il nostro Paese dove, in realtà, si parla di patente di guida.
È quindi consigliabile la massima cautela quando si ha a che fare con strumenti in cui è possibile usufruire di traducenti già pronti. È d’obbligo verificare sempre l’attendibilità e la correttezza del termine trovato, nonché l’uso effettivo dello stesso nel caso di ordinamenti che usano la stessa lingua.
5. Conclusioni
In questa breve trattazione sono state presentate alcune problematiche dell’attività terminologica in ambito giuridico. Come abbiamo visto, la terminologia riveste un ruolo fondamentale nel trasferimento della conoscenza, non solo in un ambito specialistico come quello del diritto, ma anche nella vita di tutti i giorni. Si pensi ad esempio alla sottoscrizione di un contratto per l’acquisto di un telefonino o alla compilazione del modulo per un cambio di residenza. Da un suo appropriato impiego può dipendere il successo di un prodotto o la corretta applicazione di una disposizione. Parallelamente, un impiego erroneo o incoerente può decretarne il fallimento oppure può risultare in un’errata interpretazione con possibili pesanti conseguenze (es. cause legali).
È quindi fondamentale svolgere attività di documentazione per familiarizzare a fondo con la materia indagata ed ottenere una visione di insieme. Solamente attraverso la conoscenza e lo studio si può poi procedere ad un confronto fra settori e ordinamenti al fine di evidenziarne analogie e incongruenze. Da un punto di vista traduttivo e terminologico è consigliabile la massima attenzione nei casi dei falsi amici, come abbiamo visto in 3.2. con dottore - Doktor. Si sottolinea la necessità di riflettere attentamente sulle proposte traduttive, come anche di verificare la correttezza di eventuali traducenti “pronti per l’uso” onde evitare rese che possano stonare all’orecchio del destinatario. Ma, infine, quello che in assoluto è imprescindibile è la costante attenzione alla lingua e al sistema giuridico di arrivo, anche quando si tratta di Paesi che utilizzano la stessa lingua ufficiale per esprimere i propri ordinamenti. È infatti specialmente in questi casi che è più facile lasciarsi trarre in inganno.
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Note
[1] Cfr. delibera n. 132/96 del Comune di Bolzano e il Sistema informativo della terminologia giuridica bistro, alla voce “nonno vigile”.
[2] Per approfondimenti si rimanda alla bibliografia in calce.
[3] Definizione tratta dal Sistema informativo della terminologia giuridica bistro.
[4] Definizione tratta dal Sistema informativo della terminologia giuridica bistro.
[5] L’art. 48 del RD 1269/1938 introduce il titolo di “dottore” per coloro che hanno terminato un corso di laurea. Con la legge 341/1990 tale titolo viene attribuito a coloro che hanno conseguito il diploma di laurea, rilasciato al termine di un corso di laurea di durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sei, e applicato retroattivamente a tutti i laureati dei previgenti ordinamenti. Con il DM 270/2004 viene ora rilasciato a coloro che hanno conseguito la laurea triennale.
[6] Dizionario terminologico dell’istruzione superiore Austria-Italia (Ralli et al. 2007).
[7] Dizionario terminologico dell’istruzione superiore Austria-Italia (Ralli et al. 2007).
[8] Per approfondimenti, vedi Palermo & Pföstl (1997), Chiocchetti et al. (2006), Ralli (2007), Ralli & Stanizzi (2008), Chiocchetti & Stanizzi (2009).
[9] Definizione tratta dal Sistema informativo della terminologia bistro.
[10] Anche il calco traduzione e la parafrasi possono essere considerate come una forma di neologismo.
[11] Per approfondimenti, vedi Mortara Garavelli 2001:26 ss.
[12] [url=http://www.natcorp.ox.ac.uk]http://www.natcorp.ox.ac.uk[/url]
[13] [url=http://www.eurac.edu/bistro]http://www.eurac.edu/bistro[/url]
[14] [url=http://www.eurac.edu/lexalp]http://www.eurac.edu/lexalp[/url]
[15] Solitamente le espressioni metadefinitorie ricorrono all’interno di definizioni esplicite e stipulative.
[16] Definizione tratta dal Sistema informativo della terminologia bistro.
©inTRAlinea & Natascia Ralli (2009).
"Terminografia e comparazione giuridica: metodo, applicazioni e problematiche chiave"
inTRAlinea Special Issue: Specialised Translation I
Edited by: Danio Maldussi & Eva Wiesmann
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
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