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Fino al 1991 vi è un unico traduttore responsabile delle traduzioni italiane delle opere di Rusdhie, Ettore Capriolo, mentre a partire da L’ultimo sospiro del Moro Vincenzo Mantovani diventa il "traduttore ufficiale" dello scrittore. Inoltre, dal 1989, anno di pubblicazione de I versi satanici, Mondadori subentra a Rizzoli come casa editrice (con l’eccezione de Il mago di Oz). Il cambiamento di traduttore è una diretta conseguenza della pubblicazione de I versi satanici, e della fatwa emessa dall’ayatollah Khomeini, che riguardava, come si è visto, “tutte le persone coinvolte nella pubblicazione e a conoscenza dei contenuti” del libro, e quindi anche traduttori e editori stranieri dell’opera. L'Italia è il primo paese dell'Europa continentale a pubblicare una traduzione del romanzo di Rushdie (nel febbraio 1989, quasi contemporaneamente all'emissione della fatwa), e Mondadori, oltre a dover moltiplicare la tiratura dei Versi Satanici, inizialmente prevista in ventimila copie ed esaurita nella prima settimana, deve affrontare spese impreviste, quali l'aumento della copertura assicurativa. L'editore francese Christian Bourgois sospende inizialmente la traduzione e la pubblicazione, mentre la casa editrice di Monaco Kiepenheuer & Witsch cede i diritti a un consorzio di cinquanta editori tedeschi, austriaci e svizzeri, "un'impresa senza fine di lucro che si pone il solo compito di pubblicare I versi satanici in lingua tedesca" (Neri 1989). Il 3 luglio del 1991 Ettore Capriolo viene pugnalato nella sua abitazione milanese, ma fortunatamente le ferite non sono mortali. Una sorte peggiore tocca al traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, ucciso a Tokio 9 giorni dopo, mentre l’editore norvegese, William Nygaard viene ferito a colpi d’arma da fuoco nell’ottobre del 1993. In seguito all’attentato Ettore Capriolo decide di estranearsi totalmente da qualsiasi rapporto con l’autore de I versi satanici.
Il caso di Ettore Capriolo, che ha rischiato la vita per aver tradotto The Satanic Verses in italiano, è particolarmente emblematico e sottolinea come le scelte che i traduttori compiono siano in primo luogo scelte di carattere etico. Se spesso il traduttore è considerato un semplice canale di trasmissione tra l'Autore e i lettori del testo tradotto è però sempre il traduttore, nel bene e nel male, ad avere la responsabilità oggettiva delle parole sulla carta.
Mentre il primo romanzo pubblicato in traduzione, I figli della mezzanotte (1984), esce a tre anni di distanza dal bestseller in lingua inglese, lo scarto temporale diminuisce sempre di più per le opere successive: La vergogna (aprile 1985) esce con due anni di ritardo rispetto all’originale (1983), così come Il sorriso del giaguaro (1987-1989), mentre pochi mesi separano il testo inglese da quello italiano per quanto riguarda I versi satanici (1988-1989), Patrie Immaginarie (1991-1991), Harun e il mar delle storie (1990-1991) e Il mago di Oz (1992-1993). Tre anni separano invece la pubblicazione di East, West (1994), volume che raccoglie nove racconti per la maggior parte precedentemente pubblicati su riviste, e la sua traduzione italiana Est, Ovest (1997). Una traduzione italiana di un racconto compreso nella raccolta, “Chekov and Zulu”, è nel frattempo stata pubblicata dalla rivista Liberal con il titolo di “I misteri di Nuova Delhi” (Liberal n. 10, gennaio 1996). I tempi si fanno invece molto stretti per L'ultimo sospiro del Moro, pubblicato a brevissima distanza dall'originale inglese (1995), e per La terra sotto i suoi piedi pubblicato contemporaneamente in tutto il mondo nell'aprile del 1999.
Quattro diversi traduttori hanno dunque lavorato alle edizioni italiane delle opere di Rushdie: Capriolo, De Carlo, Bertinetti e Mantovani. Capriolo e Mantovani, che hanno tradotto le opere di fiction, possono senz’altro essere definiti traduttori professionisti a tutti gli effetti. Entrambi hanno iniziato il lavoro di traduttori nei primi anni ’60 e entrambi hanno all’attivo un cospicuo numero di traduzioni. Da una ricerca effettuata nei cataloghi OPAC presso l’Università di Bologna, Capriolo risulta aver tradotto almeno 83 testi tra il 1963 e il 1998, nella quasi totalità testi letterari e dall’inglese. Una simile ricerca ha evidenziato come, tra il 1961 e il 1998, Mantovani abbia tradotto almeno 65 opere, anche in queste caso nella stragrande maggioranza testi letterari e dall’inglese. In entrambi i casi le traduzioni riguardano le opere di autori molto noti: oltre a Rushdie, Capriolo ha tradotto opere di Martin Amis, Saul Bellow, Albert Camus, Joseph Conrad, Michael Crichton, John Fowles, Nadine Gordimer, Ernest Hemingway, John Le Carrè, Norman Mailer, Vladimir Nabokov, Susan Sontag e John Updike. Mantovani annovera tra le sue traduzioni testi di Saul Bellow, Truman Capote, Michael Crichton, William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Amitav Gosh, Ernest Hemingway, Jack Kerouak, Doris Lessing, Henry Miller, Vidiadhar Naipaul, Philip Roth e John Updike, per citare solo alcuni tra gli scrittori più famosi. Si può quindi affermare che si tratta in entrambi i casi di traduttori di riconosciuta competenza, le cui traduzioni costituiscono un importante esempio della pratica traduttiva letteraria in Italia, e le cui opere occupano un posto centrale nel panorama della letteratura tradotta dall’inglese, in rappresentanza soprattutto di autori americani.
Non è stato purtroppo possibile entrare in contatto con Ettore Capriolo,[1] mentre Vincenzo Mantovani si è dimostrato disponibile a fornire dei chiarimenti per quanto riguarda le traduzioni da lui effettuate delle opere narrative di Rushdie e in generale la sua professione di traduttore. Rispondendo ad un questionario inviatogli, Mantovani ha chiarito alcuni particolari riguardanti il processo traduttivo relativo a L’ultimo sospiro del Moro e La terra sotto i suoi piedi , che si possono riassumere come segue: dopo essere stato contattato dalla casa editrice, ha acconsentito a portare a termine le traduzioni, effettuate a tempo pieno e a stretti termini di consegna. Per entrambi i romanzi la traduzione è avvenuta sulla base di “una stampata di computer con qualche notazione autografa dell’autore”, seguita, quando la traduzione era arrivata circa a metà (dopo circa due mesi) da bozze di stampa non corrette con “sparse annotazioni".[2] La traduzione de L’ultimo sospiro del Moro ha richiesto complessivamente quattro mesi di lavoro, seguiti da un quinto per una rilettura. La traduzione non è stata preceduta dalla lettura dei testi nella loro interezza, con la seguente motivazione: "personalmente, preferisco non leggere i romanzi che traduco, perché così quando lavoro mi diverto di più".[3] Questa prassi è forse discutibile da un punto di vista teorico, in quanto una lettura integrale di un'opera permette senza dubbio una comprensione più approfondita e una maggiore contestualizzazione di eventuali problemi traduttivi a livello locale, ma si può senz'altro ritenere che essa rappresenti non solo una scelta ma anche una necessità in considerazione delle condizioni e dei tempi di lavoro abituali di un traduttore. Entrambe le traduzioni sono state lette da un revisore della casa editrice che ha “proposto qualche piccolo cambiamento e tenuto i contatti con un esperto di cose indiane per risolvere questioni linguistiche particolari”.[4] In particolare, precisa Mantovani, si trattava di verificare la concordanza di genere e numero delle parole "straniere" con il testo italiano circostante. Durante la traduzione, inoltre, sono intercorsi dei contatti con l’autore, che ha progressivamente inoltrato al traduttore delle modifiche al testo inglese (rettifiche di citazioni inesatte, elisione di alcune citazion per problemi di diritti d'autore) e ha chiarito dei dubbi rimasti inevasi da parte dell'indianista.
In risposta ad una domanda riguardo alla decisione di inserire delle note nei testi letterari tradotti, Mantovani sostiene che il loro utilizzo "dipende dalla difficoltà del testo"[5] e che l’atteggiamento nei confronti di esse varia a seconda degli editori i quali, presumibilmente in base a convenzioni editoriali interne, decidono se inserirle o meno nel testo e, nel caso in cui sia il traduttore a proporle, se sottoporle a revisione. Anche la decisione di fornire un glossario rientra, secondo Mantovani, nella discrezionalità dell'editore. Per quanto riguarda il caso particolare delle traduzioni dei romanzi di Rushdie, le note sono state però proposte dal traduttore, e ad esse si è attenuto l’editore nella stragrande maggioranza dei casi: “le note sono per il 99 per cento farina del mio sacco”.[6] Naturalmente la decisione di ricorrere a delle note è una strategia del traduttore che comporta delle conseguenze relativamente al tipo di equivalenza istituita tra segmenti testuali. Ad esempio, il sintagma "lime water" è tradotto da Capriolo in I figli della mezzanotte con "lime water" e una nota che spiega che si tratta di una "bevanda a base di succo di lime, o limetto", ne L’ultimo sospiro del Moro Mantovani opta per "limonata", senza alcuna nota esplicativa.
Mantovani scrive di ritenersi “un artigiano che ama il suo mestiere”, con uno scarso interesse per “le teorie” ma animato nel proprio lavoro dal desiderio di “rendere un buon servizio all’autore, al lettore e all’editore”,[7] esplicitando in questo modo l'aderenza ad una norma professionale di responsabilità. Per Mantovani il massimo a cui può aspirare una traduzione è "una discreta approssimazione al testo originale".[8]
[1] Per contattare i due traduttori ci si è rivolti al dott. Sponzilli, responsabile della Collana Autori Stranieri della casa editrice Mondadori, il quale ha comunicato che Ettore Capriolo "dopo quel che gli è successo, di Salman Rushdie e della sua attività legata a questo autore preferisce non parlare. Me l'ha chiesto e ribadito più volte, e credo che sia giusto rispettare tale volontà." (messaggio di posta elettronica del 15 maggio 1999).
[2] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 1 settembre 1999).
[3] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 11 agosto 1999).
[4] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani. (lettera del 11 agosto 1999). Per quanto riguarda L’ultimo sospiro del Moro, una volta ultimata la traduzione "è stata inviata non so se a Cambridge o in India da una gentile signora indianista che si occupò di controllare i termini in quella lingua" (lettera del 1 settembre 1999).
[5] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 11 agosto 1999).
[6] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 1 settembre 1999).
[7] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 11 agosto 1999).
[8] Comunicazione personale di Vincenzo Mantovani (lettera del 1 settembre 1999).