![]() |
![]() |
Oltre che al poema persiano vi sono anche diversi altri riferimenti mitologici e letterari, sia occidentali che orientali.
Numerosi sono, ad esempio, i riferimenti alla mitologia nordica: quando Flapping Eagle incontra Deggle per la seconda volta, costui si fa chiamare Lokki, e Loki è il dio del male di Asgard, sede degli dei nordici; K, la città degli immortali, è chiamata da Virgilio Jones “Valhalla”, e così come nella dimora di Odino le ferite degli eroi morti in battaglia guariscono dopo i combattimenti per permettere loro di ripetere quotidianamente le loro gesta, gli abitanti di K sopravvivono coltivando ciascuno la propria ossessione: "Obsessive. That's the word. Obsessions close the mind to dimensions. That's what K's like. Obsessive. You can probably understand why. Petrified with fear. It's a fearful thing to be a stranger within oneself. People don't like their own complexities. Tragic, really" (Grimus 81). Vi sono riferimenti successivi al Grande Frassino, l'albero di Odino, dapprima come albero che regge l’altalena su cui si dondolano Elfrida, Irina e lo stesso Flapping Eagle, poi come albero la cui ombra copre la dimora di Grimus. Virgil Jones dice inoltre che “ When the ash falls, so does Valhalla” (Grimus 100), e nel finale è il rogo dell’albero a segnare la fine della città degli immortali; Grimus menziona poi Ragnarok e Ragnarak, il crepuscolo e la caduta degli dei.
Non mancano i riferimenti alla Bibbia e alle mitologie indù, amerindia e islamica. Per quanto riguarda la Bibbia, ad esempio, Nicholas Deggle prefigura il diavolo, l’angelo caduto esiliato dal dio-Grimus:[1] al demonio alludono sia il nome proprio, Old Nick è il soprannome comunemente attribuito al diavolo in ambito angolosassone, sia il cognome, come si evince dall’assonanza esplicitata da Livia Cramm “Ain't that the Deggle himself talkin' to you” (Grimus 27);[2] in riferimento alla mitologia indù, Virgil Jones dice di aver sempre pensato a Calf Mountain come a un “ giant lingan weltering in the yoni that is the Sea” (Grimus 55-56);[3] Flapping Eagle viene descritto come il Distruttore, caratteristica del dio Shiva, così come l’Aquila è il simbolo del Distruttore nella mitologia amerindia (Grimus 46).[4]
Infine i riferimenti alla mitologia islamica e al Corano, mediati attraverso The parliament of the birds o direttamente espressi in forma di citazione dal libro sacro della religione musulmana. Del Mantiq Ut-Tayr, il "linguaggio o verbo degli uccelli" che nelle lettere arabe e persiane è la lingua esoterica per eccellenza, sono rintracciabili le fonti coraniche nella sura XXVII in cui Salomone, alla testa di un'armata di uomini, jinn e uccelli, recita: "O gente, ci fu insegnato il linguaggio degli uccelli …", parole che secondo la critica persiana ispirarono ad 'Attar il titolo dell'opera. (Saccone 1999a: 15). La lettera Qâf,[5] o Kâf, a cui Grimus dedica una stanza nella propria dimora e su cui è basato il gioco di parole che dà il nome all'isola degli immortali, è la ventunesima lettera dell’alfabeto arabo e il titolo della Sura 50 del Corano, in cui si parla di "man's lack of responsibility, God's care for him (II), and what will happen on Doomsday (II)",[6] e che da alcuni è interpretato come riferimento alla montagna del mito di Simurg.[7] In Grimus è presente l'“important subtext of the Prophet’s miraj, his flight with Gabriel to Heaven and his meeting with God” (Sayed 1994: 136),[8] cioè l'ascensione notturna di Maometto al cielo, di cui si parla nella Sura 17 e nella Sura 53[9] e che nell'interpretazione prediletta dei sufi è modello di esperienza mistica (Saccone 1999a: 13). A Grimus è inoltre attribuita una citazione dalla Sura 55, “Which of Your Lord's blessings would you deny?” (Grimus 233). Tale citazione, che sarà poi ripresa sia in Midnight's Children (340) che in Shame (84), è utilizzata per caratterizzare in modo parodico la figura del "dio-Grimus" e il suo "Grand Design".[10]
Se da un lato i riferimenti mitologici in Grimus possono sembrare un mero sfoggio di erudizione, un catalogo di oscuri e più o meno casuali richiami alle più disparate tradizioni culturali, dall’altro è possibile invece scorgere un disegno unitario complessivo, tanto più se si tiene conto che, come ebbe a dichiarare Rushdie, Grimus fu scritto con “all kinds of high and serious intentions”.[11] Tale disegno è da ricercare nella radice comune delle diverse mitologie,[12] ovvero nella cosmologia indo-iraniana che sta alla base del mito esposto dal poeta sufi Farid Ud-Din ‘Attar nel Mantiq ut-Tair. Il mito della montagna di Kâf è, nelle sue varianti, comune a tutte le grandi religioni, e viene fatto risalire in ultima analisi alla cosmologia babilonese.[13] La montagna di Kâf è la “madre di tutte le montagne”, inaccessibile agli uomini, che delimita i confini della terra; una simile concezione è presenta nella cosmologia indù (la montagna circolare di Manusottara), e se ne ritrovano tracce nella religione ebraica e musulmana. Essa ricorda inoltre la montagna dell’Olimpo che per i greci è posta a nord a marcare i confini del mondo. Nella concezione islamica, la montagna di Kâf è stata creata da Dio allo scopo di sostenere la terra; l’esistenza di Kâf si collega così con altri miti riguardanti il sostegno della terra, dal mito greco di Atlante (Grimus 233) a quello indù della Grande Tartaruga (Grimus 50). Oltre che nella storia narrata, tra gli altri, da Attar di Nishapur, la montagna di Kâf compare anche nei racconti delle Mille e una notte, anch’essi evocati in Grimus e che ricorrono come sottotesto in tutte le opere di Rushdie (cfr. il contesto letterario)
In effetti l’intera voce dell’Enciclopedia islamica riguardante il mito cosmologico di Kâf è sovrapponibile al romanzo di Rushdie.[14] Il poema di Attar costituisce quindi la base di Grimus, ma è possibile leggere tutti i riferimenti mitologici introdotti da Rushdie come collegati alla narrazione cosmologica della montagna di Kâf.
Una diversa lettura è proposta da Petersson (1996), la quale sostiene che “alchemy and the alchemical tradition provides a crucial context for Rushdie's novels” e che i romanzi dello scrittore anglo-indiano contengono
a multiplicity of motifs that depend upon
alchemy. The explicit motifs, however, are not always of a thematic or
configurative kind. They are scattered about the fictional level of the novels,
can easily escape attention, and may not always be consciously always intended.
Many of the central themes of the novels, however, such as death and rebirth,
gravity and lightness, purity and hybridity, are elucidated by such motifs. (Petersson 1996)[15]
L’importanza dei motivi alchemici sarebbe particolarmente
evidente proprio in Grimus, in cui
troviamo il tema della morte e rinascita della fenice e in cui il protagonista
è un ermafrodita che viene reso immortale dopo aver bevuto l’elisir della vita
eterna, intraprende un viaggio in cui "the elements are transmuted and
merge into one another” a alla fine di esso trova ad attenderlo una rosa
mistica. Secondo l’autrice
“[a]ll these motifs are highly representative of alchemy. Grimus draws so importantly upon alchemy that the totality which
the motifs build up is incomprehensible if the alchemical structure is not
apprehended -- as the critical reception of the novel shows”.
Pur essendo una simile lettura suggestiva e per certi
aspetti legittima, si può ritenere che i motivi alchemici, così come altri
spunti esotorici, siano suburdinati alla costruzione da parte di Rushdie di una
struttura portante costituita dal mito della montagna di Qâf che sta alla base
del poema di Attar di Nishapur. Il mancato riconoscimento della supposta
struttura alchemica del romanzo da parte della critica non sembra peraltro
motivo sufficiente a giustificare la ricezione negativa ricevuta dal romanzo.
[1] “ Nicholas Deggle was expelled from Calf Island by myself and Grimus, said Virgil Jones, because he believed that the power in Grimus' possession should be destroyed” (Grimus 158). L’edizione a cui si fa riferimento in questo lavoro, e a cui rimandano tutti i numeri di pagina citati, è quella pubblicata dalla casa editrice Vintage nel 1996.
[2] Il gioco di parole è con Ain't that the devil himself talkin' to you, frase proverbiale.
[3] Il lingan è il simbolo fallico che rappresenta il dio Shiva; la yoni è il principio femminile che rappresenta la dea Parvati.
[4] Per un'interpretazione dei riferimenti ai temi indiani della Creazione e Dissoluzione in Grimus, cfr. Parameswaran 1994: 42-43.
[5] La ventesima lettera dell'alfabeto arabo è rappresentata graficamente nel testo, oltre che sulla copertina del romanzo. La lettera è anche il prototipo della città Q in Shame.
[6]
Cfr. Il Corano. Traduzione e commento
di Federico Peirone, Milano, Mondadori, 1984. The Quran, first
American Version, a
cura di T. B. Irving, [online] http://www.islam-usa.com/quran.htm.
[9] Su una particolare lettura di questa Sura si baserà l'episodio riguardante la vita di Maometto presente nei Versi Satanici, episodio che (assieme all'attribuzione alle prostitute di un bordello dei nomi delle mogli del profeta e a un ritratto notevolmente irriverente di un ayatollah in esilio) costerà a Rushdie la condanna a morte da parte del clero iraniano.
[10] Cfr. Ahmedi 1997: 74-77. Secondo Ahmedi, che critica aspramente l'atteggiamento dissacrante di Rushdie nei confronti dell'Islam, vi sono in Grimus ulteriori allusioni al Corano: la lettera K (nome della città degli immortali, generalmente interpreta come riferimento a Kafta) "can certainly be ascribed to the Ka'aba, or even, indeed, the Koran" (Ahmedi 1997: 75), e il personaggio di Stone, presentato come "decrepit as his clothes, stained as the houses, dusty as the streets, on all fours, crawling the length of this majestic thoroughfare, a pilgrim on the road to Rome, engaged for all appearances in an act of worship" (Grimus 105) rappresenterebbe il profeta Maometto.
[14] Secondo
Brennan (1989) tutto l’atteggiamento di Rushdie nei confronti dell’Islam passa
attraverso il misticismo sufi, basato su una forma di trascendenza
intellettuale che “tended to undermine Islamic Law by [the] conviction that
faith was a personal responsibility and that … [t]he truth was more important than the rules set up to
approach it”; per questo motivo i sufi “dispised the formalism and intellectual
dogmatism of the Islamic glergy, who despised them in turn” (Brennan 1989: 73).