Haroun and the Sea of Stories può essere
letto, oltre che come libro per ragazzi, anche come un vero e proprio manifesto
poetico, nel quale viene espressa in modo compiuto attraverso gli artifici
metaforici della narrazione la concezione che Rushdie ha della scrittura, o
perlomeno della narrativa letteraria:
[Haroun] looked into the water and saw that it was made up of a thousand thousand thousand and one different currents, each one a different colour, weaving in and out of one another like a liquid tapestry of breathtaking complexity; and Iff explained that these were the Streams of Story, that each coloured strand represented and contained a single tale. Different parts of the Ocean contained different sorts of stories, and as all the stories that had ever been told and many that were still in the process of being invented could be found here, the Ocean of the Streams of Story was in fact the biggest library in the universe. And because the stories were held here in fluid form, they retained the ability to change, to become new versions of themselves, to join up with other stories and so become yet other stories; so that unlike a library of books, the Ocean of the Streams of Story was much more than a storeroom of yams. It was not dead but alive. (Haroun and the sea of stories 72)[1]
Raccontare
storie non significa per Rushdie creare dal nulla ma rielaborare del materiale
esistente rendendolo nuovo, intrecciando flussi narrativi di diversa
provenienza:
Nothing comes from nothing, no story comes from nowhere; new stories are born from old - it is the new combination that makes them new. (Haroun and the Sea of Stories 86)
Rushdie
si rifà alla tradizione dei narratori indiani e orientali, alle mille e una
notte, dove diversi fili narrativi si intrecciano e si modificano a vicenda in
sempre nuove formulazioni. In effetti i diversi romanzi di Rushdie possono
essere visti come un'unica grande narrazione, in cui diverse vicende si intrecciano
in sempre nuove combinazioni, sia all'interno di un romanzo che tra un romanzo
e l'altro. Alcuni personaggi compaiono in più di un'opera: ad esempio, in The Moor's Last Sigh vi sono riferimenti
a personaggi apparsi in Midnight's
Children (non solo Aadam Sinai ma anche personaggi secondari come Cyrus
Dubash, Lord Khushro Khusrovani Bhagwam e l'ammiraglio Sabarmati) e in The Satanic Verses (Neeny Vakil);
Methwold compare sia in Midnight's
Children che in The Ground Beneath
her Feet. Alcuni motivi e temi narrativi si riaffacciano costantemente in
tutti i romanzi, ad esempio l'aura di eccezionalità che circonda la nascita di
molti dei personaggi principali e la loro caratterizzazione attraverso un
qualche tipo di deformità fisica o psicologica, l'atteggiamento ambivalente
dell'autore nei confronti dei personaggi femminili,[2]
l'uso di simboli alfabetici per designare dei luoghi, oltre naturalmente a temi
quali identità, storia e memoria.[3]
Aurora Zogoiby è affetta da insonnia come Omar Khayyam Shakil e Gibreel
Farishta. Vi sono allusioni al poema sufi Mantiq
at-Tair, che costituisce l'ipotesto di Grimus
(vedi intertesti e ipertesti per una definizione di questo termine e traduzione come ipertesto per un
suo utilizzo in relazione a Grimus), e al mito del Simurg sia in Shame, dove un dipinto conservato nella casa di Omar Khayyam
riproduce la montagna di Kâf, sia in
Haroun and the Sea of Stories, dove, come nel poema persiano, un'upupa
svolge funzioni di guida, sia infine in The
Ground Beneath Her Feet (1999). Brennan (1989: 121) nota l'allusione al
sufismo nel nome Sufiya Zinobia in Shame,
mentre Goonetilleke (1998: 80) traccia dei paralleli tra la personalità di
Muhammad Sufyan in The Satanic Verses e
la filosofia esposta nel Mantiq at-Tair.
K è il nome della città degli immortali in Grimus
e il nome della valle che contiene il lago Dull in Haroun and the Sea of Stories, quest'ultimo un gioco di parole sul
lago Dal in Kashmir che compare nel capitolo iniziale di Midnight's Children. La "Morispania", luogo da cui
Flapping Eagle parte alla ricerca dell'isola di Kâf (cfr. la trama di Grimus)
fornisce l'ambientazione finale e la metafora centrale di The Moor's Last Sigh.
La prima cosa che Rushdie ricorda di aver scritto, all'età di dieci anni, è un breve racconto ispirato a Il Mago di Oz, film visto in un cinematografo di Bombay, che diventerà un costante rimando intertestuale nelle opere successive, e su cui Rushdie scriverà nel 1992 un volumetto per il British Film Institute. Una vena fantastica percorre tutti i romanzi dello scrittore, spesso associati alle opere di, tra gli altri, scrittori contemporanei "postmoderni" come Günter Grass, Thomas Pynchon e Italo Calvino, e "postcoloniali" come V. S. Naipaul e Gabriel Garcia Marquez.[4] Lo stesso Rushdie, elenca in diversi scritti le influenze letterarie che gli hanno permesso di diventare lo scrittore che desiderava essere e che hanno costituito i suoi "passaporti" per il mondo letterario: Rushdie nomina, tra gli altri, i grandi romanzieri russi dell'Ottocento, la poesia di Ted Hughes, le opere di Borges, Sterne e Ionesco, oltre naturalmente a Grass e Marquez.
In particolare, Rushdie è stato definito come appartenente al cosiddetto filone letterario del "realismo magico", avente come capostipite Gabriel Garcia Marquez.[5] L'influenza esercitata dallo scrittore colombiano è certamente indubbia e allo stesso Rushdie non dispiace essere considerato, con Marquez, esponente di una cosiddetta "letteratura tropicale". Il "realismo magico" di Rushdie è però di un tipo particolare, in quanto la commistione di elementi realistici e fantastici rimanda in Rushdie al topos degli universi paralleli. Il tema delle "dimensioni parallele" contraddistingue tutte le opere di Rushdie, da Grimus (in cui è adottato dalle convenzioni di genere della fantascienza, cfr. commistione di generi e sperimentazione linguistica in Grimus) a The Ground Beneath Her Feet (che si svolge in un mondo in cui John Lennon canta Satisfaction e John Kennedy non viene ucciso a Dallas perché la pistola di Lee Oswald si inceppa). I mondi immaginari in cui si svolgono i romanzi dello scrittore ricalcano il mondo reale senza sovrapporvisi completamente: "not-quite-Meditarraneum" (Grimus 14), "not-quite-Pakistan" (Shame 29), "The same, only different" (The Ground Beneath Her Feet 350).
The Satanic Verses è
stato chiamato uno dei testi definitori del postmodernismo,[6]
inteso come "incredulità verso le metanarrative" e lo stesso Rushdie
fa riferimento al testo La Condition
Postmoderne di Lyotard, in cui si trova questa definizione, per descrivere
quella che secondo lui è la funzione della letteratura narrativa: "The
elevation of the quest for the Grail over the Grail himself, the acceptance
that all that is solid has melted into air, that reality and morality are not
givens but imperfect human constructs, is the point from which fiction begins. This is what J-F Lyotard called, in
1979, La Condition Postmoderne"
(Imaginary
Homelands 422). Secondo
lo scrittore tuttavia si tratta di una condizione non identificabile unicamente
con l'etichetta di "postmodernismo": "nothing comes from nothing.
This is, to my surprise,
called "postmodernism". It is impossible to believe that anything in
history comes from no roots" (Sara Rance, interview with Salman Rushdie. The Observer, 3 May 1992: 54. Citato
in Cundy 1996: 90).
[1] Le edizioni dei romanzi di Rushdie a cui si fa riferimento sono quelle citate in bibliografia.
[2] Cfr. in particolare Cundy (1996 44: 64, passim) e Grewal (1994).
[3] Cfr. ad esempio Aravamudan (1994), Jones (1994) e Dingwaney Needham (1994).
[4] Si vedano, ad esempio, i due brani che seguono, tratti da recensioni relative a,
rispettivamente, Midnight's Children e The Satanic Verses: "As a
growing-up novel with allegorical dimensions, it will remind readers of ''Augie
March'' and maybe of Gunter Grass's ''The Tin Drum,'' Laurence Sterne's
''Tristram Shandy,'' and Celine's ''Death on the Installment Plan'' as well as
the less-portentous portions of V.S. Naipaul. … The extravagance of Mr.
Rushdie's inventions will call to mind the hovering presence of Gabriel Garcia
Marquez; call it a tropical synchronicity" (Blaise 1981). "For the
Western reader unfamiliar with Mr. Rushdie's work, to what can this latest
novel be compared? In its entirety, it resembles only itself, but there are, in
its parts, strands and shades of resemblance: to Sterne, for one, in the joys
of digression; to Swift in scathingness of political satire; to the fairy and
folktales of the Brothers Grimm, to Ovid's ''Metamorphoses,'' ''The ''Arabian
Nights,'' Thomas Mann's ''Transposed Heads'' and the work of Gabriel Garcia
Marquez, Gunter Grass, Thomas Pynchon, John Barth, Italo Calvino, ''Saturday
Night Live'' and Douglas Adams's ''Hitchhiker's Guide to the Galaxy'' - to name
a few! (Mojtabai 1989).
[5] Cfr. ad esempio l'edizione 1985 del Oxford Companion to English Literature, curata da Margaret Drabble. Altri scrittori in lingua inglese accomunati da questa etichetta sono Peter Carey, Angela Carter, E.L. Doctorow, John Fowles, Mark Helprin e Emma Tennant. Cfr. anche "Salman Rushdie", Kuusankosken kaupunginkirjasto, 1997 [online] http://www.kirjasto.sci.fi/rushdie.htm.
[6] Goonetilleke 1998: 105. Lo studioso nota come nel mondo islamico la parola "postmodernismo" sia interpretata solitamente non, come in Occidente, in riferimento alla "fine della metanarrativa" ma nel senso letterale di "periodo che segue il modernismo" e come tale periodo sia nel mondo islamico contraddistinto da un fervore militante noto in occidente come Fondamentalismo. In questo senso la disputa su The Satanic Verses è una disputa tra la concezione del postmoderno dell'Occidente e quella dell'Islam.