I romanzi di Rushdie rendono particolarmente visibile quanto la traduzione sia un'istanza di trasformazione testuale situata all'interno di una catena di relazioni di trasformazioni, proprio in quanto gli "originali" stessi possono essere visti come "traduzioni". Una traduzione è in questo senso un "testo di scalo" piuttosto che un testo di arrivo contrapposto a un testo di partenza ( Nadiani 1999).
Nell'ambito della traduzione editoriale (o traduzione di libri), e più precisamente la traduzione di opere narrative, il tipo di relazione che lega una "traduzione" a un "originale" sembra essere meglio descrivibile in termini di "ipertestualità", così come definita da Genette (1997 [1982]). Una "traduzione" è contraddistinta dalla presenza di un "ipotesto", un testo precedente che è alla base del processo di riscrittura creativa chiamata traduzione, mentre un testo "originale", se pur risultato di processi di "riscrittura creativa", non necessariamente è caratterizzato da una relazione di ipertestualità. Il rapporto di ipertestualità non riguarda d'altra parte solo le traduzioni ma anche altri tipi di trasformazione testuale, ad esempio parodie o rifacimenti, sia interlinguisticamente che endolinguisticamente.
Genette distingue tra cinque diversi tipi di "transtestualità", definita come "trascendenza testuale del testo", "tutto ciò che lo mette in relazione, manifesta o segreta, con altri testi" (Genette 1997: 5).
Un primo tipo di relazione è quella esistente tra il testo e quelle pratiche discorsive, iconiche e materiali che non sono il testo in senso stretto, ma che lo accompagnano (prefazioni, postfazioni, copertina, note, ecc.) definite come relazioni paratestuali ed esplorate dallo stesso Genette in un'opera successiva (Genette 1989). Le relazioni tra testo e paratesto nelle traduzioni delle opere di Rusdhie vengono discusse in tra testo e paratesto
Un secondo tipo di relazione è chiamata da Genette "architestualità", ovvero un rapporto di appartenenza gerarchica a generi e tipi testuali, mentre il terzo tipo di relazione è quello che Genette utilizza, in negativo, per definire l'ipertestualità: si tratta del commento, che esplicita una relazione metatestuale. Un commento è un testo che parla di un altro testo.
Il quarto tipo di relazione transtestuali è rappresentato, per Genette, dalle relazioni intertestuali. Il termine "intertestualità", introdotto concettualmente da Bachtin (1975 [1934-35]) e diffuso in ambito culturale europeo da Kristeva (1978 [1969]),[1] alle cui analisi rimanda Genette, si riferisce a relazioni come la citazione, il plagio o l'allusione. Il significato di un testo è il risultato delle relazioni intertestuali che vengono stabilite durante ciascuna lettura tra la singola istanza testuale e l'universo testuale in cui viene inserito dal lettore. Per Barthes (1999 [1973]) il significato di un testo è il risultato delle relazioni intertestuali attivate dai lettori nell'atto della fruizione, e il lettore non è più colui che deve scoprire nel testo le intenzioni e il significato immessovi dall'autore, ma gli viene concesso il piacere di aprire il testo a una molteplicità di letture, ciascuna delle quali ne è, in ultima analisi, una riscrittura.
Il concetto di intertestualità è stato in realtà interpretato in diversi modi, da un'accezione più ristretta che annovera tra le relazioni intertestuali solamente citazioni e altre tracce visibili della presenza di un testo in un altro, a una sua caratterizzazione come termine generale per comprendere qualsiasi tipo di relazione tra testi e a criterio per l'interpretazione dei testi. Oltre che in ambito letterario il termine intertestualità è di uso corrente anche in linguistica. Per intertestualità si intende infatti il rapporto che un testo (letterario) stabilisce con un altro testo (letterario), scritto o orale, e in senso più ampio questo termine è stato utilizzato anche nell'ambito della linguistica testuale. Secondo De Beaugrande e Dressler (1984), l'intertestualità è una delle sette condizioni a cui deve sottostare un testo definito come evento comunicativo, "the ways in which the production and reception of a given text depend upon the participants' knowledge of other texts" (De Beaugrande e Dressler 1984: 182): l'utilizzazione di un testo dipende da uno o più testi accettati in precedenza (De Beaugrande e Dressler 1984: 27). L'accezione più generale di intertestualità come relazione tra prodotti testuali (nel senso quindi dato da Genette al termine "transtestualità") è stata applicata a studi sulla traduzione basati su approcci linguistici. Ad esempio, in una prospettiva cognitiva da Bell (1991: 170-171), secondo cui l'intertestualità è "the relationship between a particular text and other texts which share characteristics with it; the factors which allow text-processors to recognise, in a new text, features of other texts they have encountered" o, in una prospettiva testuale da Neubert e Shreve (1992: 120), che vedono l'intertestualità come relativa al concetto di tipo testuale, e le distinzioni intertestuali come "first-order text-typological distinctions".
In questa tesi il termine intestualità viene usato nella sua accezione più ristretta, differenziando però tra diversi livelli di relazioni possibili: le relazioni intertestuali che un testo come un romanzo di Rushdie o una sua traduzione possono intrattenere con altri testi possono riguardare l'intertesto costituito dall'intera produzione narrativa dello scrittore, il "mondo dei libri", cioè altri testi narrativi o, in cerchi concentrici sempre più ampi, l'intero "mondo dei testi", cioè l'insieme delle produzioni linguistiche. In questo senso si può vedere l'utilizzo di corpora elettronici, raccolte ordinate di testi, come uno strumento che permette di indagare alcuni tipi di relazioni intertestuali, quelle relative ai corpora utilizzati per l'indagine (cfr. i corpora di riferimento)
L'ultimo tipo di relazione transtestuale è infine per Genette la relazione ipertestuale, definita come "ogni relazione che unisce un testo B (ipertesto) a un testo anteriore A (ipotesto), sul quale si innesta in maniera che non è quella del commento" (Genette 1997: 8).[2] Come per il metatesto si ha una derivazione da un testo anteriore, in cui B "non potrebbe esistere così com'è senza A, dal quale risulta al termine di un'operazione che chiamerò, provvisoriamente ancora, di trasformazione, e che di conseguenza esso evoca manifestamente, senza necessariamente parlarne o citarlo" (Genette 1997: 8, enfasi nell'originale). Le relazioni ipertestuali sono relazioni di trasformazione di un testo in un altro e possono essere "scherzose" (parodia, satira, pastiche, ecc.) o "serie". In quest'ultima categoria rientra ad esempio la relazione che unisce due ipertesti come l'Ulysses di Joyce e l'Eneide di Virgilio al loro ipotesto, che in questo caso è per entrambi il medesimo, ovvero l'Odissea. Anche Grimus di Salman Rushdie può essere interpretato in questo senso come ipertesto del poema sufi persiano Mantiq at-Tair (Il verbo degli uccelli), che lo stesso Rushdie ha dichiarato essere alla base del suo romanzo (cfr. struttura e rimandi intertestuali in Grimus e traduzione come ipertesto) Genette, inoltre, asserisce che la traduzione, a sua volta definita come la forma di transposizione che "consiste nel volgere un testo da una lingua a un'altra" (Genette 1997: 247) è senz'altro la manifestazione più vistosa e più diffusa di relazione ipertestuale. Il concetto di ipertestualità sembra particolarmente appropriato per caratterizzare la relazione che lega un testo tradotto a quello di cui esso è la traduzione (in particolare per quanto riguarda i "testi letterari", ambito in cui Genette sviluppa la sua ricerca) come prodotto di un'operazione di trasformazione testuale piuttosto che in termini di equivalenza.
Anche Salines (1999) riprende il concetto di ipertesto come sviluppato da Genette e lo applica alla traduzione di testi letterari. Salines contrappone la traduzione "ipertestuale" a quella "diretta". Mentre quest'ultima sarebbe caratterizzata dalla "fedeltà all'originale", la seconda è meglio descritta come consistente in "adaptations and transformations - texts in which the second text is appropriated, sometimes even hijacked" e in cui il prodotto finale "is a text which exists in its own right" (Salines 1999: 19). In questo lavoro si preferisce invece parlare di traduzione come di un particolare tipo di trasformazione ipertestuale, in cui il maggiore o minore grado di "somiglianza" tra ipotesto (l'"originale") e ipertesto (la traduzione) è determinato da norme e convenzioni. I testi italiani operano una trasformazione delle relazioni transtestuali, da quelle tra testo e paratesto (cfr. tra testo e paratesto) a quelle intertestuali: allusioni e citazioni presenti nei romanzi in traduzione acquistano per il pubblico di lettori italiani una rilevanza e un significato diverso da quelli ricoperti per i lettori dei testi inglesi. Le "traduzioni" sono prima di tutto dei testi, che acquistano significato in relazione ad altri testi, così come gli "originali".
Una traduzione è quindi un ipertesto dell’ipotesto che è il “testo originale”, il quale a sua volta può essere l’ipertesto di un testo precedente. Alla base di un “testo originale” vi è un non meglio identificato complesso di relazioni culturali, letterarie, ecc., ovvero, nel caso di un’opera letteraria, l’intero mondo immaginativo da cui uno scrittore attinge per crearne uno proprio. In alcuni casi, questo “mondo immaginativo” può essere fatto coincidere in maggiore misura con una o più opere in particolare, e può essere addirittura possibile identificare un antecedente cronologico nella forma di un testo ben preciso, e in tali casi si può definire il rapporto tra i due testi come rapporto di ipertestualità. Il caso di una traduzione è solamente l’esempio più evidente di una tale relazione di tipo ipertestuale, in cui il rapporto di trasformazione rispetto a un altro testo diventa istitutivo, e può venire denominato rapporto di equivalenza, ma solamente a posteriori. Si tratta cioè più di una differenza di tipo più che di genere, quantitativa più che qualitativa.
Il concetto di ipertesto applicato allo studio e alla pratica della traduzione sembra uno strumento teorico particolarmente utile ai fini di questo lavoro, che ha come oggetto la traduzione in italiano dell’opera di Salman Rushdie. Le traduzioni italiane di Rushdie sono degli ipertesti dei romanzi in lingua inglese, e in quanto tali il risultato di una trasformazione dei loro ipotesti. Sia "ipertesti" che "ipotesti" manifestano altri tipi di relazioni transtestuali (relazione con il paratesto, relazioni di appartenenza di genere, relazioni intertestuali di diverso tipo). Inoltre, se è vero che gli "originali" di Rushdie possono essere interpretati come prodotto di operazioni di "traduzione" (nel senso esteso della parola indicato da Rushdie), è però anche vero che i due termini sono comunemente usati per indicare due tipi di prodotti testuali distinti: agli uni ci si riferisce comunemente come, appunto, "originali", mentre agli altri come "traduzioni". Una traduzione è un determinato tipo di ipertesto, e le traduzioni italiane (e in altre lingue) dei libri dell'autore britannico sono delle traduzioni (e, nel caso di Grimus, degli ipertesti) in un modo diverso dai testi inglesi.
[1] Cfr. Beccaria 1996: 394-395.
[2] È necessario a questo punto operare una distinzione tra la definizione del concetto di ipertestualità e quello di ipertesto elettronico. Con il termine “ipertestualità” ci si riferisce a un tipo di relazione che si instaura tra testi o a una modalità di fruizione che non presuppone necessariamente l’esistenza del sopporto elettronico. Con il termine “ipertesto elettronico” si fa riferimento invece a un determinato prodotto costituito dalla somma complessiva di testi digitali collegati tra di loro. Un esempio ovvio in questo senso è la rete Internet, pensabile come un unico grande ipertesto (cfr. introduzione).