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La voce del traduttore

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Una traduzione è diversa dall'originale proprio perché contiene la voce del traduttore, una voce che rappresenta in parte l'autore del testo originale e in parte il traduttore (Hermans 1996, Schiavi 1996). Un testo narrativo tradotto presuppone la presenza di un traduttore ideale, che fornisce la voce al narratore ideale, la controparte del lettore ideale del testo tradotto. Il lettore ideale del testo tradotto è costruito dalla traduzione, in cui la voce del traduttore si unisce a quella dell'autore del testo originale. È la mediazione del traduttore che permette la creazione di un lettore ideale. 

La domanda che si pone è: come e fino a che punto il traduttore può far sentire la sua voce nel testo tradotto? In generale, una trasformazione marcata è considerata ammissibile quando il traduttore è anche l'autore del testo originale, perché solo l'autore può prendersi certe libertà. Bollettieri Bosinelli (1996) analizza, ad esempio, diverse traduzioni di Finnegans Wake (e in particolare del frammento "Anna Livia Plurabelle") in italiano, a cominciare da quella che lo stesso Joyce ha portato a termine in collaborazione con Nino Frank (1940), fino a quella più recente di Luigi Schenoni (1982, in corso di lavorazione), passando per quelle di Rodolfo Wilcock (1961), Mario Diacono (1961), Anthony Burgess (1966), Gianni Celati (1972) e Roberto Sanesi (1982). Mettendo a confronto le traduzioni (o "versioni") di Joyce/Frank e Schenoni appare evidente come il ruolo del traduttore e lo scopo per cui viene portata a termine la traduzione siano determinanti per le scelte strategiche che hanno presieduto alla creazione di un determinato testo "italiano".[1] La traduzione Joyce/Frank, descritta come "una pagina di letteratura straordinaria nella sua creatività" (Bollettieri Bosinelli 1996: 63) è caratterizzata come una "trasposizione culturale … dove le lavandaie parlano con accenti regionali italiani, i nomi di fiumi o scompaiono o vengono sostituiti da nomi di fiumi italiani, Dante, D'Annunzio e detti popolari si sovrappongono" (Bollettieri Bosinelli 1996: 75). Schenoni, definito "traduttore professionista" si propone invece come "canale di comunicazione fra il testo di partenza e quello di arrivo", cercando di "'mimare' le manipolazioni linguistiche operate sull'inglese, trasferendole al vocabolario italiano". Questa operazione "mimetica" è contrassegnata da alcuni criteri irrinunciabili di "lealtà al testo di partenza", la cui "matrice irlandese non autorizza una italianizzazione spinta; tale operazione poteva farla l'autore travestito da traduttore, non un professionista" (Bollettieri Bosinelli 1996: 72-79). Il traduttore "professionista" di testi letterari sembra essere prima di tutto un "non autore", in quanto proprio in contrapposizione all'"autore" definisce la propria attività. Schenoni si propone essenzialmente di mantenere l'intenzione autoriale, e come dichiara in un'intervista, "se è vero che Joyce con Finnegans Wake voleva tenere i critici impegnati per i prossimi trecento anni, Schenoni non intende semplificare loro il compito" (Bollettieri Bosinelli 1996: 74).[2]

Queste considerazioni portano a identificare un determinato tipo di norma corrente per la traduzione di testi letterari relativamente al grado di "libertà di manipolazione" permessa al traduttore di un testo letterario. Il grado di trasformazione operato dalla riscrittura ipertestuale sarà proporzionale allo "status autoriale" che il traduttore si riconosce, e quindi anche della sua teoria più o meno implicita della traduzione. Se l'autore dell'ipertesto (della traduzione) è anche l'autore dell'ipotesto (dell'originale) gli sarà concessa la libertà di interpretare liberamente, fino a modificare l'intenzione autoriale presente nel testo di partenza (cfr. anche Hofstadter 1997). Se il traduttore è un'altra persona, la libertà "creativa" sarà tanto maggiore quanto più l'autore della traduzione potrà accreditarsi come "autore" in proprio, o perché scrittore già riconosciuto (si pensi alla collana in cui compaiono le traduzioni di Joyce citate, "scrittori tradotti da scrittori" della casa editrice Einaudi), o in seguito a qualche tipo di riconoscimento autoriale successivo alla traduzione. Le traduzioni in cui si manifesta una forte impronta autoriale del traduttore contravvengono però in questo modo alla norma che definisce una "traduzione" in contrapposizione a una "versione", fattore che contribuisce all'oscillazione di significato di questi due termini nell'uso corrente.[3]

 


[1] L'uso delle virgolette attorno al termine "italiano" vuole rispecchiare l'uso delle virgolette relativamente al testo "inglese" di Joyce, dato che difficilmente la "lingua inventata" in cui è scritto Finnegans Wake si può definire utilizzando un aggettivo che designa una qualsiasi parlata nazionale (cfr. Eco 1996).

[2] Rushdie non nasconde di aspirare a svolgere una simile funzione nel mondo letterario, come si evince dall'ascolto di un'intervista radiofonica rilasciata a Melinda Pankava sul suo ultimo romanzo,  The Ground Beneath Her Feet, trasmessa il 3 maggio 1999 durante la trasmissione "Talk of the Nation" dall'emittente americana National Public Radio (l'intervista è reperibile all'indirizzo Internet http://www.npr.org/ramfiles/totn/19990503.totn.01.ram). Alla domanda se non avrebbe preso in considerazione la possibilità di fornire un'"edizione annotata" ("Cliff's Notes") delle sue opere, Rushdie ha risposto che, pur non aspettandosi che i suoi lettori avrebbero colto tutte le allusioni di cui sono disseminate, pensava che questo non li avrebbe scoraggiati dal leggerle: "James Joyce once said after he had published Ulysses that he had given the professors work for many years to come; and I'm always looking for ways of employing professors, so I hope to have given them some work too."

[3] Altro elemento da considerare nel “gioco” delle voci nelle traduzioni è il ruolo giocato dalla censura: vi sono casi in cui il "testo originale" è pubblicato dopo essere stato editato attraverso un processo di censura, come nel caso, mentre la traduzione va a recuperare il testo precedente alla censura (cfr. Boase-Beier e Holman (1999: 10-11) che portano ad esempio scrittori della Russia sia zarista che sovietica). Abbiamo allora delle traduzioni che sono più originali degli originali: un esempio di questo tipo è la censura operata su Midnight’s Children, per cui la traduzione italiana è più “originale” dell’edizione inglese in commercio, espurgata di una frase (cfr. i traduttori italiani)