2.2 Le licenze del SL
Come detto in precedenza, tutto il software per cui si danno le quattro libertà in tabella tab:liberta può essere definito ‘libero’. Equivale questo ad affermare che il SL non ha proprietario non è protetto da copyright? In realtà le cose non stanno così o, meglio, ciò è vero solo per una parte del SL, vale a dire il software di pubblico dominio.
Se la totalità del SL fosse di pubblico dominio, i programmi potrebbero essere modificati e le versioni modificate redistribuite informa non libera arrecando danno agli utenti che vedrebbero così interrotto lo sviluppo dello strumento a loro disposizione. Paradossalmente, una simile pratica andrebbe a detrimento anche dell'eventuale sviluppatore iniziale, che andrebbe a perdere l'accesso alle modifiche e ai miglioramenti apportati da terzi.16
Per proteggere gli utenti e gli sviluppatori quindi anche il software libero è nella maggior parte dei casi coperto da licenza, al pari del software proprietario. E, come nel caso del software proprietario, è quest'ultima a stabilire i termini e le condizioni di utilizzo (esecuzione, modifica, redistribuzione) del software.
2.2.1 Licenze copyleft e non copyleft
Nell'ambito del SL, la licenza più largamente utilizzata è la GNU General Public License nata nel 1989 e la cui ultima versione (GPLv3) risale al 2007.
Nel tentativo di ostacolare pratiche potenzialmente dannose per la comunità che allora gravitava attorno al progetto GNU, la GPL si è configurata come una licenza ‘persistente’, nel senso che impone come vincolo il fatto che un programma ricevuto sotto licenza GPL debba essere redistribuito, anche una volta apportate eventuali modifiche o miglioramenti, sotto i termini della GPL stessa garantendo che il software rimanga libero nel tempo e salvaguardando, in tal modo, la libertà degli utenti.
Questo genere di protezione è quel che, con un gioco di parole, viene definito ‘permesso d'autore’ (in inglese copyleft): una particolare forma di esercizio del diritto d'autore volta non tanto a controllare (in modo restrittivo) la circolazione dell'opera quanto piuttosto a favorire la libera circolazione della stessa, da qui l'impiego del tradizionale simbolo del copyright ribaltato per rappresentare tale modalità.
L'altra caratteristica fondamentale della GPL è il suo essere una licenza 'propagativa' nel senso che rende impossibile utilizzare tutto o in parte il codice rilasciato sotto GPL per software derivato17 a meno che anche quest'ultimo non sia distribuito nei termini della GPL.
Questa protezione aggiuntiva è quel che viene definito in inglese strong copyleft. Sono disponibili altre licenze che non pongono tale restrizione (o tale dubbio interpretativo) ma che garantiscono le quattro libertà per il software che accompagnano e per le sue versioni successive. È il caso, ad esempio, della LGPL (GNU Lesser General Public License)18 e della MPL (Mozilla Public License) resa celebre dal browser Mozilla Firefox e dal client di posta elettronica Mozilla Thunderbird. Tali licenze ricadono sotto la definizione di weak copyleft perché presentano la limitazione della persistenza ma non si estendono alle ‘opere derivate’.
D'altra parte, esistono delle importanti e diffuse forme di SL non protette da copyleft come, ad esempio, il software coperto dalla licenza Apache, dalla licenza MIT o dalla famiglia di licenze BSD.19
Queste ultime si discostano dalla GPL per il fatto di essersi sviluppate in ambiti (storicamente o ideologicamente) diversi dal progetto GNU: le licenze della famiglia BSD (Berkeley Software Distribution), ad esempio, nacquero per accompagnare la variante di Unix sviluppata presso l'Università di Berkeley alla fine degli anni '70, la licenza MIT venne creata dal MIT X Consortium nel 1988 per il secondo rilascio di X11, la versione del protocollo ancora oggi implementata in Xorg.
Si tratta di licenze più permissive perché non impongono in maniera esplicita restrizioni sulle future versioni del software che, una volta modificato il codice sorgente, può essere distribuito con una qualsiasi licenza (anche proprietaria) senza violazione alcuna di quella iniziale. Viene pertanto adottato un atteggiamento meno restrittivo nei confronti di chi riceve il programma (è questa la libertà ad occupare il primo posto secondo questo approccio) ma potrebbe avere conseguenze ‘in negativo’ tanto per il primo sviluppatore quanto per i futuri utenti finali.
2.2.2 Classificazione del software in base alla licenza
Riassumendo, si definisce SL il software per cui sono valide le quattro libertà formulate da Stallman attraverso la Free Software Foundation. Nella maggior parte dei casi il SL può essere anche considerato open source secondo i termini della OSI (e viceversa).
All'interno di questa categoria, è possibile distinguere il software di pubblico dominio, liberamente disponibile senza essere disciplinato da alcuna licenza d'uso. All'interno del SL protetto da licenza, invece, è possibile distinguere un primo gruppo di licenze ‘permissive’ che non presentano alcuna disposizione in merito al copyleft ma che garantiscono comunque le libertà fondamentali e contengono eventualmente disposizioni relative all'attribuzione della paternità dell'opera. Esiste poi il software rilasciato sotto licenze che prevedono il ‘permesso d'autore’, ma in forma debole (limitato alla persistenza). Solo una parte più ristretta del software protetto da copyleft lo implementa anche in forma ‘forte’, estendendo cioè le limitazioni anche alle opere derivate, com'è il tipico caso della GPL (cfr. figura 3).
Osservazione
Nei due capitoli successivi, verrà considerato il caso di un traduttore che intenda svolgere la propria attività su un sistema GNU/Linux. Dal punto di vista puramente ideologico, questo può rappresentare un problema in termini di valutazione della ‘libertà’.
Infatti il kernel Linux così come rilasciato dal team di sviluppo coordinato da Linus Torvalds e adottato dalla maggior parte delle distribuzioni contiene anche delle parti di codice oscurate o rilasciate sotto licenze proprietarie, conosciute in gergo come binary blob.
Tale pratica è stata motivo di pesanti critiche da parte della FSF che, di fatto, riconosce come ‘completamente libere’ solo un numero molto esiguo di distribuzioni, basate di fatto su un kernel alternativo (‘Linux libre’).20
Debian GNU/Linux, la distribuzione di riferimento utilizzata in questo lavoro, pur non facendo parte di questo elenco ha una rigida politica per l'inclusione del software nei propri archivi, codificata nelle già citate DFSG e può essere considerata un buon compromesso fra sicurezza/stabilità, facilità di amministrazione nel lungo periodo e supporto hardware.21
Inoltre in Debian 6.0 ‘Squeeze’, rilasciata il 6 febbraio 2011, sono stati rimossi i binary blob non liberi dal kernel ufficiale: tutte le componenti non libere22 sono state spostate in una sezione rigidamente separata degli archivi (il ‘pool’ chiamato appunto non-free) non accessibile se non previo esplicito consenso dell'utente e non parte ufficiale del progetto.
Invece, gli strumenti specifici per la traduzione che verranno presi in esame nei capitoli 3 e 4 possono essere considerati tutti SL e open source, in gran parte GNU GPL versione 2 o versione 3 (ai fini di questo lavoro la differenza fra le due è trascurabile). La licenza di ciascun programma, in ogni caso, è riportata inseme all'autore e alla pagina di riferimento del progetto all'inizio di ogni descrizione, in modo da rendere quanto più facile l'orientamento.
Alcuni programmi fra quelli presentati in questo lavoro sono cross-platform, mentre altri sono disponibili in versioni separate per distribuzioni GNU/Linux e per altri sistemi operativi proprietari. Dal momento che i capitoli 3 e 4 intendono ripercorrere il workflow di un traduttore che intenda servirsi esclusivamente si SL, questo fatto è del tutto irrilevante e le versioni per Windows o Mac OSX, anche se disponibili, non saranno menzionate.
©inTRAlinea & Diego Beraldin (2013).
Una panoramica sugli strumenti di traduzione assistita
disponibili come software libero, inTRAlinea Monographs
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