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Strategie locali: la traduzione di allusioni e giochi di parole

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L’idiomaticità, sia essa il sistema di aspettative messo in atto da ciascuna parola a livello di restrizioni collocazionali, sia essa il rimando allusivo di una citazione o di un gioco di parole, costringe il traduttore a confrontarsi con la necessità di una forte mediazione tra il testo e i suoi lettori e a porre in atto una scelta tra una gerarchia di priorità comunicative.

I giochi di parole sono caratterizzati da particolare densità semantica e pongono spesso il traduttore di fronte alla necessità di compiere scelte particolarmente marcate (in un senso o nell’altro), in quanto “so many different and usually such conflicting constraints (formal ones as well as semantic and pragmatic ones) crowd in on the translator in the narrow textual space of a few words that the need to prioritize becomes much more acute than in ‘ordinary’ translation. […] In this way translators of wordplay can be pushed to extremes and forced to show their cards.” (Delabastita 1997: 11, enfasi nell’originale).

Anche le citazioni (compresi i nomi propri) pongono al traduttore il problema di scegliere come presentare ai lettori del testo tradotto, il cui repertorio linguistico e culturale è, almeno in parte, divergente da quello dei lettori da cui il testo originale è stato fruito, parole e frasi tratte da un repertorio culturalmente idiomatico. Giochi di parole e citazioni allusive sono infatti i punti in cui maggiore diventa l’autoreferenzialità di un testo nei confronti della lingua e cultura in cui ha avuto origine. Essi sono spesso portati come esempi di “intraducibilità” e in molti casi sono fatti oggetto di un aperto intervento del traduttore, che rende esplicita la propria presenza per mezzo di note a piè di pagina o glosse interlineari (cfr. le note e i glossari e le glosse interlineari), usando una tecnica che può essere vista come un sintomo di difficoltà di comunicazione interculturale.

Leppihalme (1997: 4, passim) utilizza il termine “culture bumps”, per descrivere quelle rotture nella comunicazione tra culture che rappresentano un grado minore dello shock culturale. Nei testi tradotti le allusioni sono spesso una fonte di tali difficoltà comunicative. Lappihalme constata infatti come nel suo corpus di romanzi tradotti (dall’inglese verso il finlandese, tra il 1981 e il 1990) la soluzione adottata più di frequente (circa due terzi dei casi presi in esame) per la traduzione delle “allusioni”, termine che per Lappihalme comprende le categorie dei nomi propri e delle “frasi chiave” (cioè citazioni più o meno modificate), consiste nel “cambiamento minimo". Nel caso dei nomi propri questo significa che, nei testi finlandesi, nella maggior parte dei casi, se i nomi fanno riferimento a personaggi reali o fittizi comuni alle due culture essi vengono adattati alla convenzioni finlandesi (se esiste una pratica standard, ad esempio per quanto riguarda la grafia dei nomi di origine greca o latina) o una traduzione consolidata, mentre vengono lasciati invariati quando un nome proprio fa riferimento esclusivamente alla cultura del testo di origine. Per quanto riguarda citazioni di frasi allusive la soluzione adottata più di frequente dai traduttori è invece la traduzione letterale. Nel corpus di Lappihalme non si registrano esempi di interventi dei traduttori apertamente segnalati (note o spiegazioni), e pochi sono i casi di omissione (eventuali “allusioni compensatorie non sono presenti o non sono segnalate). Nei rimanenti casi il confronto tra testo inglese e testo finlandese mette in luce dei cambiamenti più marcati rispetto a una traduzione letterale: alcuni nomi propri, ad esempio, sono sostituiti con altri nomi (sia appartenenti alla cultura finlandese che trasnazionali), oppure ad essi è aggiunta un’espansione esplicativa. Allo stesso modo le citazioni, quando non tradotte letteralmente o sostituite da una traduzione canonica (solo in una piccola minoranza di casi), sono sostituite da una riformulazione che esplicita il significato allusivo (svuotandole però del valore di citazione), oppure che introduce degli elementi marcati che segnalano la presenza di un uso allusivo (attraverso mezzo tipografici o linguistici), oppure ancora attraverso l’aggiunta di informazioni assenti nel testo di partenza e che ricontestualizzano la citazione (ad esempio, esplicitando che si tratta di un proverbio).

Lappihalme cerca di verificare fino a che punto e in quali casi l'interpretazione che viene data delle citazioni presenti nel testo originale coincide con l'interpretazione che viene data di quelle citazioni tradotte. A questo scopo la studiosa mette a confronto le reazioni di un gruppo di lettori di madrelingua inglese,[1] ai quali è stato chiesto di identificare la funzione e il significato di determinati segmenti testuali nei testi inglesi di origine nei quali l'autrice dell'esperimento identifica un uso allusivo, con quelle di due gruppi di controllo di lettori di madrelingua finlandese,[2] ai quali è stato chiesto di identificare la funzione e il significato dei corrispondenti segmenti nelle traduzioni finlandesi. Né i lettori inglesi né i lettori finlandesi hanno naturalmente fornito risposte omogenee tra loro. È infatti problematico verificare empiricamente un concetto sfuggente come quello di allusione, definito come interpretazione contestuale di una citazione, cioè oggetto di un'interpretazione che, a partire dal riconoscimento di un segmento testuale come citazione, ne ricostruisce il significato in funzione del co-testo immediato e del contesto più ampio determinato dal piano narrativo, a partire da conoscenze linguistiche e culturali. Un lettore americano e un lettore inglese, ad esempio, coglieranno o non coglieranno allusioni diverse nello stesso testo.[3]

Lappihalme tuttavia individua per i lettori inglesi una “response norm” costituita dai casi in cui l'interpretazione di una data allusione coincide sufficientemente. L’interpretazione fornita dai lettori finlandesi rispecchia maggiormente la “norma” desunta dalle risposte dei lettori inglesi nei casi in cui la tecnica usata per la traduzione è quella (minoritaria) costituita da un cambiamento marcato. Nella maggioranza dei casi i segmenti testuali con valore allusivo sono stati tradotti con un cambiamento minimo (ad esempio la traduzione letterale di una citazione), e hanno dato luogo nella maggioranza dei lettori finlandesi a interpretazioni divergenti tra loro e rispetto alla "norma interpretativa" relativa al testo originale. Nel caso di allusioni che fanno riferimento a testi culturalmente connotati le interpretazioni dei lettori finlandesi sono cioè risultate divergenti dalla norma interpretativa dei corrispondenti segmenti nel testo inglese da parte di lettori inglesi, e generalmente non è stata colta la funzione allusiva delle citazioni o dei nomi propri. Interpretazioni simili alla norma interpretativa dei lettori di madrelingua inglese si sono avute solamente nel caso di allusioni “transculturali”, comuni cioè alle due culture. I risultati dell’esperimento portano Lappihalme a ipotizzare che “cultural mediation through more interventional strategies has a better chance of enabling TT readers to grasp the point of an allusive passage” (Lappihalme 1997: 170).

Le citazioni intertestuali, i nomi propri e i giochi di parole sono gli aspetti più marcati di idiomaticità, e la traduzione italiana di Grimus cerca da una parte di rendere conto delle “equivalenze” stabilite dalla traduzione e dall’altra di esplicitare la “coerenza designativa”[4] stabilita dal testo italiano in quanto tale. 



[1] Un gruppo di docenti universitari che insegnano letteratura inglese presso università finlandesi.

[2] I dati sono stati ricavati dalle risposte ottenute da circa 130 questionari somministrati a due diversi gruppi: il primo composto da 80 “general readers”, adulti senza una conoscenza della lingua e della letteratura inglese a livello universitario; l’altro da circa 50 tra studenti e docenti di traduzione.

[3] Un esempio a questo proposito, ancora una volta tratto da Grimus, è un piccolo esperimento compiuto riguardo al riconoscimento di tre allusioni presenti nel testo da parte di due gruppi di madrelingua inglese, docenti di lingua e/o letteratura inglese in università italiane. Al primo gruppo, composto da tre cittadini inglesi e il secondo, composto da tre cittadini americani è stato chiesto se conoscevano il significato e/o erano in grado di identificare la fonte delle seguenti citazioni: Florence Nightingale (nome di un personaggio del romanzo), Father William e Puffing Billy (entrambi riferimenti pronunciati di Virgilio Jones). Agli americani era familiare il nome di Florence Nightingale, mentre erano sconosciuti gli altri due. Agli inglesi erano familiari il nome di Florence Nightingale e di Father William, mentre per quanto riguarda il nome Puffing Billy, a uno di essi era assolutamente oscuro, un secondo lo associava vagamente con i treni e uno solo sapeva esattamente a cosa si riferisce il nome (cfr. le citazioni).

[4] George Steiner definisce la traduzione come “the transfer from one designative coherence to another” (1975: 205)