Lingue e interpretazione
Riflessioni sull'insegnamento/apprendimento linguistico nella formazione degli interpreti di conferenza
By Alessandro Messina (Università di Bologna, Italy)
Abstract & Keywords
English:
Linguistic competence is one of the competencies that an interpreter must possess. Linguistic competence, wich includes the knwoledge of the formal system of a language as well as of pragmatic, sociolinguistic and cultural aspects, must however be complemented by public speaking skills, which include fluency and precision, voice training and ethical concerns. Translator play a communicative as well as a social role, in a specific interrpreting setting which is by default that of conference interpreting. Against this background, this article discusses language teaching for interpreters.
Italian:
Fra le varie competenze che un interprete deve possedere la competenza essenziale è indubbiamente quella linguistica. La competenza linguistica va ovviamente intesa in senso lato: non si tratta soltanto della conoscenza degli aspetti formali del codice linguistico, ma anche degli aspetti pragmatici, sociolinguistici, culturali. Tale competenza linguistica, comunque, non è sufficiente: all’interprete si richiedono anche capacità di public speaking, il che implica fluenza, precisione e chiarezza di esposizione, impostazione della voce, correttezza deontologica. Non bisogna poi trascurare il fatto che l’interprete ha un ruolo comunicativo ma anche un ruolo sociale. E poiché il setting interpretativo è un contesto sociale diverso da quello che caratterizza una comune conversazione, l’interprete deve essere pienamente consapevole del proprio ruolo. Il setting interpretativo per eccellenza è quello della conferenza ed è pertanto quello cui faremo riferimento. E’ proprio in un’ottica ‘allargata’ come quella appena descritta che dovrebbe operare, a nostro parere, la glottodidattica nella formazione degli interpreti di conferenza. Oggetto del presente lavoro sarà infatti la formazione linguistica degli interpreti.
Keywords: formazione degli interpreti, interpreter training, formazione interpreti e traduttori, translator and interpreter training, language teaching, conference interpreting, interpretazione di conferenza, glottodidattica
©inTRAlinea & Alessandro Messina (2001).
"Lingue e interpretazione Riflessioni sull'insegnamento/apprendimento linguistico nella formazione degli interpreti di conferenza", inTRAlinea Vol. 4.
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1. Lingue, didattica e interpretazione
Di norma, in tutti gli istituti in cui avviene la formazione degli interpreti viene effettuato un test di ammissione, che ha come scopo fondamentale quello di comprovare la competenza linguistica dei candidati. Tuttavia non è raro che gli studenti ammessi a frequentare i corsi non abbiano sufficiente padronanza delle proprie lingue di lavoro (Gile 1995, p. 211), anche attive (Carrol 1978) o che addirittura i candidati degli esami finali non riescano a superare tali esami proprio per scarsa padronanza delle lingue di lavoro (Keiser 1978). D’altronde, va ricordato che in talune istituzioni, come le Scuole Superiori di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori (SSLMIT) di Forlì e Trieste, viene saggiata in ingresso, per quanto riguarda le lingue straniere, soltanto la conoscenza della prima o, secondo la definizione [1] dell’AIIC (Association Internationale des Interprètes de Conférence), lingua B. Ciò significa - auspicabilmente solo teoricamente - che uno studente che si accinge a frequentare i corsi può non avere alcuna conoscenza della seconda (ed eventualmente terza) lingua straniera o, secondo l’AIIC, lingua C.
Constatata quindi la necessità di fornire comunque un insegnamento linguistico durante la formazione all’interpretazione, bisogna chiedersi qual è l’obiettivo da raggiungere. Al di fuori della portata dell’intervento pedagogico sono le capacità individuali, la personale attitudine all’apprendimento e le preconoscenze (l’interlingua) dell’apprendente. Modificabili sono invece i dati resi accessibili all’apprendente, in termini di qualità e quantità dell’input e di occasioni di comunicazione.
Che caratteristiche avrà tale input? Innanzitutto, come indicano Krashen e Terrell (1983) nell’affrontare il problema dell’apprendimento di una L2, il materiale proposto deve essere autentico e non graduato, in quanto l’interlingua del discente passa attraverso stadi naturali di sviluppo.
E’ poi fondamentale che il curricolo sia centrato sul discente e sull’analisi dei suoi bisogni (Nunan 1988). Tarone e Yule (1989: 36 ss.) individuano essenzialmente un livello globale di analisi, che indaga sulle situazioni in cui i discenti necessiteranno della lingua e sulle attività linguistiche che hanno luogo in tali situazioni, e un livello grammaticale-retorico, che studia l’organizzazione dell’informazione e la frequenza delle forme linguistiche utilizzate nei tipi di testi e discorsi tipici delle situazioni identificate a livello globale. A quest’ultimo scopo può essere di aiuto l’analisi di specifici corpora linguistici. Nunan (1988, p. 29) sottolinea inoltre l’importanza di tenere conto, durante la pianificazione curricolare, delle esigenze manifestate dagli studenti stessi. Non bisogna poi trascurare il fatto che il discente di interpretazione studia al fine di svolgere un’attività socioeconomica che costituisce sostanzialmente un servizio. E quindi l’interpretazione, in quanto tale, sarà volta a soddisfare i bisogni di determinati utenti, che nel caso specifico saranno gli ascoltatori dell’interpretazione e gli oratori.
Ora, per quanto attiene alla situazione in cui i discenti necessiteranno della lingua, è indubbio che ci si dovrà concentrare soprattutto sull’ambito della conferenza. Ciò implicherà che la competenza linguistica di chomskiana memoria dovrà essere integrata con una competenza comunicativa, un concetto ‘allargato’ in cui entra in gioco non soltanto la conoscenza delle caratteristiche formali della lingua, ma anche quella delle “norme sociali che governano il comportamento in situazioni specifiche” (Hymes 1972: 270). Si tratterà quindi, per l’interprete, di acquisire anche una specifica competenza pragmatica e sociolinguistica. Pertanto l’interprete dovrà essere consapevole della forza pragmatica degli enunciati in contrapposizione al senso astratto delle frasi, in funzione del contesto socio-situazionale, ossia delle proprietà fisiche e sociali in cui l’evento interazionale ha luogo (quello che Halliday e Hasan 1985 chiamano “immediate environment”) e del relativo contesto culturale.
E qual è il contesto in cui si troverà ad operare l’interprete di conferenza? La conferenza, per l’appunto. Quindi l’input linguistico al quale si dovrà esporre lo studente di interpretazione dovrà essere riferito soprattutto a tale contesto. Ciò non significa che si debba soltanto proporre “parlato-parlato” (Nencioni 1983: 126-179 passim), in quanto, ad esempio, l’interprete dovrà abituarsi anche alle caratteristiche della lingua scritta nel caso in cui debba interpretare discorsi letti, oppure per documentarsi prima delle conferenze stesse. Si tratterà piuttosto di dare priorità a materiale che possa avere una qualche rilevanza in vista del contesto professionale in cui opereranno i futuri interpreti. In questo senso, lo ribadiamo, l’analisi effettuata su corpora linguistici autentici può indubbiamente dimostrarsi utile, se non addirittura necessaria.
Ma come dicevamo, non va trascurata la valenza dell’interpretazione in quanto servizio. Il futuro interprete di conferenza di lingua madre italiana si troverà a fornire tale servizio essenzialmente in base a due modalità: in modalità allo stesso tempo attiva e passiva sul mercato nazionale e in modalità esclusivamente passiva nel caso operi all’interno di un’organizzazione internazionale come le istituzioni dell’UE. In quest’ultimo caso, quindi, l’abilità richiesta all’interprete nella/e lingua/e straniera/e è essenzialmente quella di comprensione orale, mentre l’abilità produttiva (o attiva) sarà necessaria soltanto sul mercato nazionale. Inoltre, l’esperienza di molti è che nelle conferenze che si svolgono sul territorio nazionale la maggior parte degli ascoltatori sono italiani e gli unici fruitori dell’interpretazione attiva sono i delegati stranieri (generalmente una minoranza rispetto alla maggioranza italofona)[2]. Senza voler sottovalutare l’importanza dell’interpretazione attiva, ci pare quindi di primaria importanza quella passiva. Lo ribadiamo: non si vuole qui negare l’importanza della resa dell’interpretazione attiva e quindi l’importanza del perfezionamento della competenza produttiva in lingua straniera, tuttavia, a nostro parere, non bisogna neanche correre il rischio che, soffermandosi eccessivamente sulla produzione si trascuri la prima abilità richiesta all’interprete: la comprensione. Perché se è vero che il fine ultimo dell’interpretazione è che questa sia comprensibile alle orecchie del suo fruitore, tale obiettivo non sarà mai pienamente raggiunto se l’interprete non ha una perfetta comprensione della lingua di partenza (LP)[3].
2. Comprendere (per fare comprendere)
Nonostante vi siano stati negli ultimi decenni, soprattutto grazie allo sviluppo della psicologia cognitiva, numerosi studi sul processo della comprensione orale, non esiste ancora una definizione scientifica completa di tale processo e purtroppo tale abilità è ancora spesso relegata al ruolo di ‘Cenerentola’ dell’insegnamento delle lingue straniere (Mendelsohn 1994). Ciò che comunque tali studi hanno messo in particolare evidenza sono le ‘strategie’ di ascolto, sia in lingua materna che in L2. Già Krashen e Terrell (1983) mettono al primo posto la comprensione orale nell’apprendimento di una L2 in quanto tale abilità ricettiva è quella che si apprende naturalmente per prima in L1.
Un ‘buon ascoltatore’ sfrutta le pause così come i momenti di ridondanza e di prevedibilità del messaggio per processare il significato e compiere inferenze (non attuando quindi soltanto quello che potremmo definire un mot-à-mot ‘mentale’) soprattutto a favore dei punti in cui la strutturazione del messaggio è più complessa. Inoltre compie un’attività di anticipazione del significato, che molto dipende dalla conoscenza e dall’interesse del soggetto interessato rispetto all’argomento. E’ inoltre in grado di mantenere l’attenzione anche quando la complessità della strutturazione tematica o la velocità dell’eloquio rendono più difficile l’elaborazione dell’informazione.
La comprensione orale costituisce dunque un processo attivo (ed è per questo che la si può definire un’abilità ‘ricettiva’ piuttosto che ‘passiva’) di ricostruzione del significato. Tale processo sarà tanto più efficace quanto più adatto sarà l’approccio cognitivo adottato dall’ascoltatore rispetto alla situazione contingente.
Ci pare che questa idea della ricostruzione del significato si adatti perfettamente al processo di interpretazione, durante il quale, ovviamente, il significato non viene soltanto ricostruito mentalmente ma dovrà poi essere ‘concretamente realizzato’ nella lingua di arrivo (LA). Nel campo dell’interpretazione è stata Danica Seleskovitch (1968), che fu direttrice dell’Ecole Supérieure d’Interprètes et de Traducteurs (ESIT) dell’Università di Parigi III a dare vita alla cosiddetta théorie du sens, in base alla quale il momento fondamentale del processo interpretativo consiste nella ‘déverbalisation’, ossia nella separazione che l’interprete opera mentalmente del significato dal significante con cui si presenta il messaggio in LP.
Tale teoria non rende però conto delle operazioni interlinguistiche che l’interprete si troverà inevitabilmente a compiere a livello di segmenti morfosintattici. Infatti, il messaggio che arriva all’interprete è fatto di parole ed è impensabile che la fase di ricostruzione semantica non passi anche da un’analisi delle singole parole e della loro concatenazione, vale a dire da un’analisi morfosintattica. Tra l’altro, va sottolineato che spesso, soprattutto nell’interpretazione simultanea [4], la resa in LA inizia prima che l’unità di senso si sia completata.
Quali strategie di ascolto andranno quindi sviluppate nell’apprendente interprete e in che modo? Innanzitutto ci pare che sia di primaria importanza che lo studente conosca perfettamente i suoni della lingua straniera da cui traduce, in particolare laddove si differenziano notevolmente da quelli della lingua materna. Quindi gli esercizi di fonetica, utili anche per la produzione, non dovranno mancare nel nostro curricolo. Tali esercizi non dovranno trascurare quei tratti prosodici come l’intonazione e il ritmo che sono sovente carichi di significato [5]. Riteniamo inoltre fondamentale che l’apprendente venga esposto ai suoni di tutte le varietà della L2, sia che esse dipendano dalla provenienza geografica o dall’estrazione sociale dei parlanti.
Se la fonetica consentirà allo studente di avere un sicuro dominio dei suoni e di conseguenza di afferrare tutte le parole della L2, ovviamente sarà necessario che conosca anche i modi in cui vengono messe assieme le parole in tale lingua. In tale fase riteniamo molto utile l’analisi contrastiva fra L2 e L1 (per un primo avvicinamento alla linguistica contrastiva si veda Bersani Berselli/Soffritti/Zanettin 1999: 370-383), e siamo convinti che una profonda conoscenza della sintassi della L2 ma anche della L1 sia molto utile sia in fase ricettiva che produttiva [6]. In fase ricettiva, ad esempio, contribuisce a sviluppare nel futuro interprete la capacità di anticipazione. Sentendo una frase del tipo I wouldn’t have done it if l’interprete che ben conosce la sintassi sa già che l’inglese completerà la subordinata con un indicativo, che in italiano andrà opportunamente reso con un congiuntivo. In fase produttiva, invece, una profonda conoscenza morfosintattica potenzierà le capacità di riformulazione e riparerà maggiormente l’interprete dai temutissimi calchi lessico-sintattici. Un interessante trattato di stilistica contrastava (fra francese e italiano) è Scavée e Intravaia 1979, un testo che, nonostante risalga ormai a due decenni fa, risulta ancora degno di nota.. Per potenziare la capacità di anticipazione degli apprendenti interpreti ci sembrano piuttosto interessanti i cloze test cognitivi proposti da Viaggio (1992).
Lo studente dovrà poi essere in grado di distinguere un registro formale da un registro informale, affinché non vi sia uno scarto fra LP e LA. Bisognerà inoltre che lo studente diventi consapevole delle differenze esistenti tra lingua scritta e lingua parlata (si veda ad esempio, per l’inglese, Halliday 1989): l’abitudine all’ascolto di un testo letto ci pare fondamentale per un interprete (si veda a questo proposito Messina 1998).
Per quanto riguarda il contatto visivo fra interprete e oratore, secondo uno studio di Balzani (1989) la performance dell’interprete non subisce, almeno in certe condizioni, una caduta qualitativa nel caso in cui l’interprete non possa vedere l’oratore. Tuttavia, sebbene la situazione della conferenza sia una situazione interazionale molto particolare, è pur vero che il linguaggio non-verbale (gestualità, mimica) spesso facilita la comprensione. Quindi l’esposizione degli studenti a materiale audio-visivo ci pare opportuna [7], anche se non deve per questo essere esclusiva: può capitare, infatti che l’interprete non riesca a vedere o veda da molto lontano l’oratore.
Dato poi il ruolo fondamentale della memoria e dell’attenzione nella comprensione orale, gli esercizi volti a potenziare tali facoltà ci sembrano anch’essi molto utili (es. riassunti orali, parafrasi, restituzione delle parole-chiave, ecc.). Per promuovere il partage de l’attention tra ascolto e produzione, necessario per l’interpretazione simultanea, ci sembrano utili non solo gli esercizi di shadowing, che comunque verranno proposti anche dagli insegnanti di interpretazione, ma anche esercizi in cui lo studente, durante l’ascolto di un discorso in L2, deve eseguire ad alta voce un conto alla rovescia in L1 e alla fine riassume quanto ascoltato. Ovviamente, nella somministrazione di tali esercizi bisogna tenere conto di un fattore ben noto agli interpreti, ossia quello dell’affaticamento, con conseguente calo dell’attenzione.
Una proposta che ad alcuni potrà sembrare bizzarra è quella di invitare gli studenti a utilizzare le cuffie in modo da ascoltare con un solo auricolare, tenendo, cioè, un orecchio scoperto: si tratta in effetti della reale situazione professionale di ascolto in simultanea, in cui l’orecchio scoperto viene utilizzato dall’interprete per il controllo del proprio output. Per la preferenza di un orecchio piuttosto che l’altro nell’interpretazione simultanea, si veda Fabbro e Gran 1994.
Per quanto riguarda lo studio del lessico, la terminologia e di tutte le componenti legate al contesto situazionale, si rimanda alla sezione successiva.
3. Il contesto della conferenza
Come abbiamo già avuto modo di spiegare, l’insegnante di lingua nella formazione degli interpreti di conferenza deve innanzitutto porsi l’obiettivo di soddisfare i bisogni del futuro professionista e dei suoi potenziali utenti. E’ quindi fondamentale, a nostro parere, che focalizzi il proprio curricolo intorno a un contesto situazionale ben preciso, che nel caso specifico sarà, per l’appunto, quello della conferenza.
Secondo Goffman (1987, p. 222) “una conferenza è una istituzionalizzata e prolungata presa del diritto di parola in cui un parlante comunica le sue idee su un tema, idee che costituiscono quello che si può chiamare il suo ‘testo’. Lo stile è tipicamente serio e leggermente impersonale, poiché l’intento principale è quello di produrre una comprensione tranquillamente meditata, piuttosto che un semplice divertimento, un impatto emotivo o un’azione immediata”. La conferenza rappresenta quindi una tipologia ben precisa di “evento comunicativo” in quanto interazione umana caratterizzata da intenzionalità e agentività fra i partecipanti (Levinson 1985: 37), “un’attività sociale culturalmente riconosciuta in cui la lingua svolge un ruolo specifico e spesso piuttosto specializzato” (Levinson 1985: 351).
L’apprendente interprete deve quindi tenere ben presente il setting della conferenza sia da un punto di vista pragmatico e sociolinguistico, ma anche da un punto di vista linguistico-terminologico. Di conseguenza, così come dovrà documentarsi - possibilmente con un certo anticipo - sulla terminologia specifica relativa al tema della conferenza, dovrà essere consapevole, ad esempio, del fatto che in un tale contesto “Mike, please” non avrà soltanto il valore semantico piuttosto astratto di una richiesta rivolta a un certo signore di nome Mike ma più probabilmente rappresenterà la richiesta di utilizzare un microfono [8]. Avendo ben presente il contesto, quindi, l’interprete potrà compiere inferenze e anticipazioni molto più rapidamente e tra l’altro, restringendo il più possibile le incognite, ridurrà il potenziale ansiogeno che è insito nella propria attività professionale e che può a volte compromettere il pieno funzionamento delle facoltà cognitive (Kurz 1997).
Come già accennato nella sezione precedente, l’interprete deve saper riconoscere, anche in funzione della resa interpretativa, la natura del parlato (spontaneo, recitato, letto), ma allo stesso modo deve conoscere le varie tipologie testuali (testi descrittivi, argomentativi, retorici [9]). Nel caso in cui l’oratore non legga un testo ad alta voce, la ‘spontaneità’ del parlato sarà maggiore nello spazio dedicato al dibattito o anche nell’introduzione e nel momento conclusivo della conferenza. Per quanto riguarda le digressioni, se da una parte si tratta di elementi che possono esplicitare maggiormente il vouloir dire dell’oratore (Taylor 1990), dall’altra possono far perdere il filo del ragionamento all’interprete, soprattutto nel caso in cui l’oratore legga il proprio testo e l’interprete sia in possesso di una copia del testo stesso (Messina 1998). In una tale situazione, infatti, se da una parte il compito dell’interprete può essere facilitato dalla possibilità di ‘leggere il testo insieme all’oratore’, dall’altra, se l’oratore effettua digressioni troppo lunghe o troppo numerose rispetto al testo scritto, può risultare estremamente difficile seguire contemporaneamente anche il testo scritto e la presenza del testo stesso in cabina o nelle mani del consecutivista può trasformarsi da quello che rappresentava un prezioso ausilio in un ulteriore ostacolo. Sull’importanza del riconoscimento dell’intonazione, dell’accento e del linguaggio non verbale, si è accennato nella sezione precedente.
L’apprendente interprete deve acquisire familiarità con tali variabili del contesto autentico e sarà quindi opportuno che le lezioni di lingua straniera da lui seguite lo espongano a ciascuna di esse. Il materiale autentico a cui andranno esposti gli studenti comprenderà ovviamente parlato tratto da contesti professionali reali. Tuttavia, data l’importanza che riveste per i professionisti la fase di preparazione ai convegni (soprattutto terminologica) e vista la frequenza con cui gli oratori scelgono di ‘oralizzare’ testi scritti (il che spesso corrisponde alla lettura tout court di tali testi), potrà senz’altro includere anche articoli, saggi, pubblicazioni scientifiche, ecc. (materiale che è sempre più di facile reperimento grazie alle nuove tecnologie: per l’utilizzo didattico di Internet cfr., ad esempio, Zanettin 1998). Un’interessante e innovativa applicazione tecnologica per la formazione tecnologica degli interpreti è rappresentata dall’IRIS (Interpreters’ Resource Information System) (Carabelli 1996 e Carabelli 1999), che consiste in una banca dati in formato audio, video e testo in più lingue corredata di informazioni relative all’oratore e al contenuto del discorso. La possibilità di esaminare la trascrizione del discorso consente all’insegnante di farne un’analisi dettagliata. Ci pare che potersi dotare di uno strumento aggiuntivo come questo potrebbe integrare quelli già in funzione presso numerosi istituti di formazione, come le nastroteche o, laddove esistano, le videoteche.
Per quanto riguarda lo studio del lessico e della terminologia, condividiamo pienamente l’approccio di Ilg (1989), il quale propone agli studenti lo studio delle forme linguistiche tipiche delle conferenze (quella che all’ETI di Ginevra viene insegnata come terminologie des conférences) a prescindere dalla terminologia specifica dei singoli settori. Al di là dei singoli termini che descrivono la situazione fisica della conferenza (‘lavagna luminosa’, ‘lucido’, ecc.) pensiamo ad esempio alle formule di apertura, di chiusura, di saluto, di ringraziamento, agli scambi linguistici che si realizzano nell’alternarsi dei turni di parola, ma anche, come ricorda Ilg (ib.), alle formule proverbiali (cui abbiamo già accennato) e letterarie.
Last but not least va sottolineata un’importantissima competenza che l’interprete deve dimostrare di possedere, ossia quella cross-culturale. Non bisogna infatti dimenticare che l’interprete è anche e forse in primo luogo un mediatore culturale [10]. Ciò significa non soltanto che deve conoscere la cultura altrui , ma deve anche essere altamente consapevole della propria. Una profonda conoscenza delle differenze (e anche delle affinità) fra la cultura in L1 e la cultura in L2 consente all’interprete di fungere da ‘ponte’ fra le due: ad esempio, interpretando dall’inglese in italiano, l’interprete renderà 10, Downing Street con “la residenza del Primo Ministro”, e non con “la residenza del Presidente del Consiglio” perché nella cultura italiana è già entrata l’associazione fra i due profili politici. La competenza cross-culturale ci dimostra quanto sia importante che un interprete possegga un vasto bagaglio di world knowledge. Per questo motivo riteniamo che la formazione degli interpreti debba necessariamente comprendere lo studio di discipline volte ad ampliare la cosiddetta ‘cultura generale’. Ciò potrà essere realizzato, come già si fa, inserendo nel piano di studi materie non strettamente linguistiche. Si potrebbe pensare anche di prevedere lo svolgimento delle lezioni di tali materie nelle lingue straniere studiate dai discenti (realizzando così un ‘apprendimento linguistico integrato’ o CLIL, ‘Content and Language Integrated Learning’). Va infine sottolineata l’importanza che lo studente impari ad allargare le proprie conoscenze in modo autonomo, non soltanto nell’ampliamento del proprio sapere enciclopedico, ma anche nel perfezionamento di tutte le competenze che abbiamo descritto come necessarie per poter essere in grado di raggiungere una maturità professionale.
4. Conclusioni
Alla luce di quanto abbiamo detto ci pare che ci sia quindi veramente molto da fare in un corso di lingua destinato ai futuri interpreti di conferenza.
Come abbiamo visto, lo sviluppo della capacità di comprensione rappresenta indubbiamente uno dei compiti più impegnativi per il docente (e soprattutto per lo studente!). Nella prima sezione abbiamo accennato al fatto che spesso, nonostante l’obbligo del superamento di un test per l’accesso ai corsi di interpretazione, il livello di competenza linguistica degli ammessi non risulta del tutto soddisfacente. Sarebbe interessante verificare quali abilità vengano saggiate durante la somministrazione di tali test. A noi risulta, ad esempio, che in quelli previsti per l’accesso a corsi universitari nazionali come quelli di Forlì e Trieste non venga testata la comprensione orale. Nella sezione dedicata alla comprensione orale abbiamo sottolineato il ruolo fondamentale di tale abilità, che nel caso di un interprete diventa di importanza davvero vitale. Ci pare quindi quantomeno rischioso ammettere allo studio dell’interpretazione discenti dei quali non sia stata appurata la competenza ricettiva orale, anche nell’interesse dei discenti stessi. Come abbiamo già accennato, poi, negli stessi test non viene saggiata la conoscenza della seconda (ed eventualmente) terza lingua straniera. Anche questo è un punto sul quale bisognerebbe riflettere, a nostro parere.
Per quanto riguarda la scelta dei materiali da proporre agli studenti, abbiamo insistito sul fatto che tali materiali debbano essere legati ai futuri bisogni professionali degli apprendenti. Abbiamo pertanto spiegato come il materiale autentico, soprattutto relativo a conferenze reali, possa e debba costituire la ‘materia prima’ dei corsi di lingua rivolti agli studenti di interpretazione. Nella pianificazione dei contenuti e nella scelta dei materiali cui esporre gli studenti riteniamo che sia fondamentale realizzare una vera e propria sinergia fra i docenti di lingua (compresa la L1), di interpretazione e anche delle discipline non linguistiche.
Da quanto abbiamo detto è quindi chiaro che il ruolo del docente di lingua nei corsi per interpreti di conferenza è fondamentale. Ciononostante, riteniamo che anche i docenti responsabili dell’insegnamento linguistico rivolto agli studenti di interpretazione dovrebbero comprendere l’autonomizzazione dei discenti fra i propri obiettivi. Siamo convinti, infatti, che un tale approccio possa rivelarsi estremamente proficuo non soltanto perché non si può ‘imparare tutto in classe’, ma anche alla luce degli specifici bisogni di discenti come quelli di interpretazione, i quali non studiano soltanto per acquisire nozioni teoriche, ma al termine degli studi dovranno avere raggiunto un grado soddisfacente di maturità professionale, il che indubbiamente implica anche la capacità di documentarsi costantemente, di mantenersi aggiornati e di autovalutare le proprie prestazioni.
Si è già accennato a come il docente possa e debba avviare gli studenti all’utilizzo di strumenti utili per la loro documentazione (come i giornali, Internet, le banche dati, ecc). Inoltre, data l’importanza che la fase di ascolto riveste nella prestazione degli interpreti, ci pare che oltre al classico invito rivolto agli studenti di ‘fare frequenti bagni’ nei paesi in cui sono parlate le loro L2 e L3, uno strumento che gli studenti dovrebbero essere incoraggiati a utilizzare quotidianamente è senza dubbio la televisione satellitare. Un’altra utile attività alla quale possono essere avviati i discenti è quella dell’apprendimento in situazione Tandem, ossia la situazione in cui due studenti di lingua madre diversa prendono l’accordo di aiutarsi a imparare le rispettive lingue. Tale attività risulta oggi più facilmente realizzabile rispetto al passato, grazie ai frequenti scambi di studenti fra scuole e università del mondo. Va infine sottolineato come lo sviluppo della capacità di autovalutazione sia di vitale importanza per il futuro interprete. Essa è verosimilmente più importante della valutazione scolastica, in quanto il futuro interprete, nel corso della propria carriera professionale, dovrà essere sempre attento a garantire un servizio soddisfacente. Tale capacità può senz’altro essere sviluppata per mezzo della puntuale riflessione metalinguistica avviata a lezione. Già nel corso degli studi, infatti, il docente può abituare gli studenti a registrare le proprie prestazioni (sia ricettive sia produttive, chiedendo loro, ad esempio, di riassumere o riformulare oralmente). Successivamente, il docente e gli studenti potranno effettuare insieme l’analisi delle registrazioni, passando da un’analisi guidata dal docente a una vera e propria auto-valutazione da parte dell’autore della prestazione.
E, in un’ottica di ‘ricerca-azione’, sarebbe interessante se gli insegnanti di lingue e di interpretazione potessero avviare progetti finalizzati alla determinazione di parametri per la valutazione degli studenti non soltanto riguardo alle loro performance più propriamente linguistiche, ma anche a quegli aspetti che in maniera non trascurabile concorrono all’eventuale successo di un interprete quali l’uso della voce, il modo di presentarsi in pubblico, il modo di rapportarsi con gli oratori e, perché no, con i colleghi.
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TARONE, E./YULE, G. (1989): Focus on the Language Learner, Oxford, Oxford University Press.
TAYLOR, C. (1990): “Primary and secondary orality in teaching interpreting technique”, in The Jerome Quarterly, 5, (5-7).
VIAGGIO, S. (1992): “Cognitive clozing to teach them to think”, The Interpreters’ Newsletter, 4, (40-44).
ZANETTIN, F. (1998): “Internet come risorsa per l’apprendimento delle lingue”, in Accietto, T./Zorzi, D. (eds.) (121-137).
Note
[1] Le definizioni proposte dall’AIIC, parametro di riferimento ampiamente utilizzato nel campo dell’interpretazione, sono: lingua A = lingua materna; lingua B = lingua straniera di cui si possiede perfetta competenza passiva (o ricettiva) e attiva (o produttiva); lingua C = lingua straniera di cui si possiede perfetta competenza passiva ma non necessariamente attiva.
[2] Si può dedurre quindi quanto sia importante per l’interprete il controllo della produzione in lingua materna, nel nostro caso l’italiano. E’ pertanto auspicabile la collaborazione fra docenti di lingua straniera e di interpretazione e docenti di lingua materna. In un’ottica di ‘ricerca-azione’ si può ipotizzare che tale collaborazione porti a una sorta di work in progress in cui vi sia una continua riorganizzazione del curricolo, in base alle esigenze della/e classe/i e al raffronto reciproco con gli approcci pedagogici degli altri docenti. Come afferma Elliott (1991: 11): “The curriculum is always in the process of becoming”.
[3] Tra l’altro, Paradis (1994) ha illustrato come ascoltare frequentemente una lingua straniera ne abbassi la soglia di attivazione, ossia porti a un aumento della ricettività del soggetto. Ciò implica non soltanto un potenziamento delle capacità di comprensione, ma anche una disponibilità più immediata della L2 in fase produttiva.
[4] Per una recente panoramica sulle diverse problematiche dell’interpretazione simultanea e della consecutiva si rimanda a Falbo, C./Russo, M./ Straniero Sergio, F. (eds.) (1999).
[5] Si tratta di elementi che l’interprete dovrebbe sapere gestire perfettamente anche nella restituzione del significato, in fase produttiva.
[6] Anche in questa fase è molto importante la collaborazione fra docenti di L2 e L1.
[7] Si potrebbe obiettare che la simulazione a scopi didattici della situazione lavorativa reale limiti la maturazione professionale degli apprendenti. D’altro canto, va notato come stia prendendo piede l’interpretazione tramite sistemi di videoconferenza, che sono forse più affini alla situazione didattica con registrazione audio-visiva che non alla situazione di compresenza fisica interpreti-oratori.
[8] “Awareness of the situational context is a further cognitive complement that brings forth relevant meanings, dispelling polysemy” (Lederer 1990, p. 56).
[9] Non ci pare fuori luogo esporre gli studenti anche a testi umoristici o contenenti espressioni proverbiali o idiomatiche, vista la frequenza con cui gli oratori, nell’intento di rendere più brillanti le loro presentazioni, ‘infiorettano’ i loro discorsi con aneddoti, battute, ecc. (per una descrizione del linguaggio umoristico inglese, cfr. Chiaro 1992). Si può anche ipotizzare di proporre agli studenti un’analisi contrastiva fra testi di tale natura in L2 e analoghi testi in L1. A questo proposito si vedano anche le osservazioni riportate alla fine della presente sezione sulla competenza cross-culturale dell’interprete.
[10] Nel Framework del Consiglio d’Europa (1996) l’interpretazione, insieme alla traduzione, viene indicata proprio quale attività comunicativa di ‘mediazione’, accanto a quelle di ‘ricezione’, ‘interazione’ e ‘produzione’.
©inTRAlinea & Alessandro Messina (2001).
"Lingue e interpretazione Riflessioni sull'insegnamento/apprendimento linguistico nella formazione degli interpreti di conferenza", inTRAlinea Vol. 4.
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