L’interferenza dell’inglese sull’italiano
Un'analisi quantitativa e qualitativa.
By Andrea Bistarelli (Perugia, Italy)
Abstract & Keywords
English:
The issue of English interference in modern Italian - although to a lesser and lesser extent over the last few years - has figured frequently and prominently in academic debate, essays and the press again and again. It is therefore interesting and beneficial to compare the results which the three major monographs of the last twenty years - (Rando 1987), (Görlach 2001) and (De Mauro e Mancini 2003) - have produced in order to reach a first evaluation of how the Italian language is responding to the pressure of the hegemony of the current world language: quantitatively (absolute number of integral unadapted anglicisms) and qualitatively (range of use, degree of currency in the lexis of the language).
Italian:
A più riprese, anche se sempre meno frequentemente, si riaffaccia nel dibattito accademico così come sulla stampa e nella saggistica, la questione dell’interferenza dell’inglese sull’italiano contemporaneo. Ci e sembrato dunque opportuno e interessante confrontare le risultanze cui sono pervenute le tre maggiori monografie degli ultimi vent’anni - (Rando 1987), (Görlach 2001) e (De Mauro e Mancini 2003) - per giungere a una prima valutazione di come la lingua italiana stia reagendo alla pressione dell’attuale lingua egemone mondiale: quantitativamente (numero assoluto di anglicismi integrali non adattati) e qualitativamente (ambito d’uso, grado di centralita nel lessico della lingua).
Keywords: dizionario, anglicismi, frequenza d'uso, accettabilità, dictionary, anglicisms, frequency of use, usage, acceptability, lexicology and terminology
©inTRAlinea & Andrea Bistarelli (2008).
"L’interferenza dell’inglese sull’italiano Un'analisi quantitativa e qualitativa.", inTRAlinea Vol. 10.
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1. Analisi de: Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario (1987) di G. Rando; il Dizionario delle parole straniere nella lingua italiana (2003) di T. De Mauro e F. Mancini
Al momento della sua uscita Il dizionario degli anglicismi del Rando (R.) rappresentò la prima vera descrizione d’insieme sulla presenza degli anglicismi nell’italiano contemporaneo, dopo la monografia di Klajn di quindici anni prima. Come si desume dal titolo, il Dizionario del R. contiene in linea di massima solo gli anglicismi diffusisi o ancora vitali nell’italiano postunitario: la scelta di questo discrimine cronologico è assai opportuna perché è proprio in questo arco di tempo che essi sono arrivati direttamente dall’inglese, ossia senza l’intermediazione francese. Nella sua definizione di anglicismo R. raccoglie tutte le unità lessicali e singole loro accezioni attribuibili all’influsso dell’inglese: ciò comprende tutti i prestiti adattati e non oltre ai calchi prestiti o semicalchi parziali[1] e ai pseudoanglicismi[2] ; molte voci si riferiscono, inoltre, a internazionalismi[3] e a sigle, da quelle di uso comune come USA a quelle di ambito più prettamente tecnico-specialistico.
Una così larga concezione di anglicismo ha prodotto sì un’opera unica nel suo genere, a quel tempo, ma anche un repertorio di anglicismi e calchi italiani un pò troppo indifferenziato, eterogeneo. A questo limite si deve aggiungere le dimensioni relativamente ridotte del corpus impiegato[4]. Nella sua recensione dell’opera Fanfani (1991) individua ulteriori debolezze nell’opera: a) la scelta di un lemma non sempre ricade su quello più frequente: l’inglese electric chair[5], per esempio, che oggi non è per niente attuale, nella voce precede il calco traduzione sedia elettrica o l’inglese elevator[6] gli equivalenti italiani ascensore, montacarichi, da cui ormai è stato completamente soppiantato; b) in alcuni casi la scelta delle varianti italianizzate dell’anglicisno non adattato sono datate o persino dialettali, per esempio casimira per cashmere, jobba per job; c) le datazioni non sono affidabili; d) vengono incluse parole non di etimo inglese ma arrivate in italiano per suo tramite quali curry, bantam, commando; e) sono inclusi calchi di tutti i generi, compreso quello semantico, ossia quando termini italiani acquisiscono nuovi sensi per imitazione del modello inglese, come convenzionale in arma convenzionale, mentre l’originale - conventional arms - manca; f) sono invece presenti parole che erroneamente si attribuiscono all’inglese, di solito sono state coniate o provengono dal francese, o sono di etimo comunque incerto (per esempio forfeit, chance, pic-nic, vagone); g) calchi concetto[7] che non sono direttamente legati all’inglese (palleggio per dribbling) vengono a loro volta inclusi; h) pseudoanglicismi come footing sono ugualmente presenti (Cfr. Fanfani, 1991).
Pur con questi difetti, l’opera resta una pietra miliare nello studio degli anglicismi e, anzi, sarebbe auspicabile una sua riedizione. Il dizionario di De Mauro e Mancini è ad oggi il glossario di parole stranieri, in maggioranza anglicismi, più aggiornato e con il lemmario più rappresentativo che si possa consultare. L’edizione di cui si tratterà è quella del 2003 che aggiorna la prima uscita di due anni prima.
Rispetto all’opera di Rando, il Dizionario delle parole straniere si presenta con un intento programmatico assai diverso. La sua prospettiva è infatti prettamente sincronica e funzionale; si prefigge, cioè, di dare conto al lettore delle parole straniere presenti in questa particolare fase storica dandone, al contempo, un inquadramento morfologico-grammaticale, fonologico e anche grafico. La fonte principale di Parole straniere nella lingua italiana è la prima edizione de il Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT) - a cura dello stesso De Mauro, opera in 6 volumi pubblicata dalla UTET nel 1999. La parte più consistente del lemmario è dunque costituita da tutte le parole marcate [ES] (che sta per esotismo) nel GRADIT. Sono stati infatti presi in considerazione solo quei termini che attualmente il parlante medio italiano avverte come estranei rispetto alla sua tradizione linguistica. Tale omissione è stata parzialmente controbilanciata dall’inclusione dei termini definiti tecnicamente pseudoprestiti, ossia parole che nella lingua da cui dovrebbero provenire o non esistono affatto o hanno significati, usi totalmente o parzialmente diversi, come per esempi footing, beauty case, smoking, recordman e così via. Si noterà subito che si tratta di una visione assai più ristretta di quella del Rando. Infatti, se da un lato costituisce un utile discrimine nella trattazione del fenomeno dell’interferenza linguistica di tipo lessicale, dall’altro non può fornirci una valutazione complessiva dell’entità del fenomeno: ci riferiamo cioè al livello meno tangibile dell’interferenza linguistica, ossia quello dei calchi e dei forestierismi morfologicamente simili a parole del lessico italiano tradizionale e che necessitano di scarso adattamento diventando, perciò, presto perfettamente acclimatati, per esempio realizzare e intrigante. Tale aspetto non è affatto da sottovalutare anzi, forse alla lunga può avere conseguenze ancora più profonde e durature degli anglicismi non adattati di etimo germanico[8].
Il lemmario de Parole straniere nella lingua italiana è stato poi ulteriormente arricchito con un notevolissimo numero di neologismi, non presenti nel GRADIT e desunti da ulteriori spogli di quotidiani e settimanali: “si tratta soprattutto di parole del linguaggio dell’informatica, dell’economia, delle gastronomie esotiche” (De Mauro e Mancini, 2003: IV). Per ogni lemma e ogni accezione viene riportata, prima della definizione, una delle marche d’uso del GRADIT: FO: fondamentale; AU: alto uso; AD: alta disponibilità; CO: comune; BU: basso uso; OB: obsoleto; TS: tecnico-specialistico; RE: regionale; ES: esotismi[9].
Per quanto riguarda la datazione delle voci gli autori hanno seguito ancora una volta l’impostazione dell’opera principale per cui la data[10], in etimologia fra parentesi quadra, si riferisce a quella di prima attestazione del vocabolo; questa può essere seguita dalla specificazione dell’accezione a cui si riferisce, qualora non sia la prima. Nel caso di lemmi di ampia polisemia, sono riportate, sempre tra parentesi quadre, eventuali datazioni diverse dalla più antica. La consultazione dell’opera ha però rilevato anche delle incongruenze. Molte marche d’uso appaiono discutibili, specialmente in assenza di una chiara dichiarazione degli autori sulla loro data d’attribuzione, per esempio e-mail è classificata come TS, se fa fede il 2003 data di uscita dell’aggiornamento alla prima edizione dell’opera, il 2001. Altrimenti tali incongruenze fanno pensare o a errori o a una mancata revisione delle marche d’uso del GRADIT (1999) [11] e, quindi, aggiornato fino alla seconda metà degli anni ‘90: così si spiegherebbe il TS di e-mail o il CO di termini ormai datati come all right[12]. Un caso a parte, invece, è rappresentato dai lemmi datati genericamente “sec. XX” o più di rado “sec. XIX” o anteriore[13]. Si tratta in genere di parole che provengono o da fonti parlate o da fonti scritte molto recenti, coeve ai lavori redazionali del Grande Dizionario Italiano dell’Uso (1989–99), e tuttavia troppo radicate nell’uso per potersi ritenere credibilmente riconducibili a questi ultimi anni. La data “sec. XX” segnala dunque un problema di datazione per ora non soddisfacentemente risolto. Nel repertorio del Rando l’approssimazione nella datazione dei lemmi è un fenomeno assolutamente marginale – 8 lemmi in tutto – anzi, si ha l’indicazione di un’unica data, se accertata, di prima attestazione del lemma o selettivamente se si hanno conferme solo per una o più delle sue accezioni. Al contrario, nel De Mauro e Mancini normalmente viene fornita solo la data della prima attestazione del lemma, mentre non vi sono indicazioni sulla datazione di quelle ulteriori e/o successive[14]. Va comunque detto che il numero più alto di lemmi privi di datazione è rappresentato da sigle e acronimi[15], che nel repertorio di Rando, invece, figurano regolarmente.
2. Criteri adottati per confrontare i due repertori
Per la comparazione dei due repertori, si sono presi in considerazione tutti gli anglicismi non adattati presenti nei due glossari, includendo sia i cosiddetti pseudoanglicismi come smoking o footing che le sigle incluse dagli autori omettendo, però, tutti i prestiti adattati e i calchi presenti, per altro, nel solo Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario. Tale discrimine è stato adottato per rendere possibile un confronto fra i due repertori. Essi sono stati infatti redatti seguendo due concetti di anglicismo assai divergenti fra loro. Da un lato abbiamo l’eccessiva ampiezza dell’accezione nel Rando[16] e dall’altra la concezione assai restrittiva nel De Mauro e Mancini[17]. Si è proceduto, quindi, all’estrazione manuale e al trasferimento su formato elettronico dei lemmi, il che ha dato origine a due liste separate. Poi li si è unite contrassegnando in modo diverso i lemmi provenienti dalle due liste originarie per poterli distinguere e arrivare a quelli in comune. Si sono così formate tre nuove liste denominate “RandoDeMauro”, dove figurano i lemmi condivisi, “Solo in De Mauro”, dove si trovano quelli presenti solo in Parole straniere e “Solo in Rando” per quelli presenti solo in quest’ultimo lemmario. I lemmi sono stati poi completati dalle marche d’uso desunte dal De Mauro e Mancini: va subito detto che nel Rando non ci sono marche d’uso ma solo indicazioni relative al settore di appartenenza – per esempio “informatica” – oltre, ma non in maniera sistematica, a precisazioni nelle definizioni dei singoli lemmi. Dunque, le marche d’uso adottate per la lista “RandoDeMauro” (ossia quella degli anglicismi in comune ai due repertori) non possono che essere quelle di Parole straniere. Va inoltre fatto rivelare che nel confrontare i due repertori si è arrivati a liste che contengono un numero maggiore di lemmi di quelli dichiarati nelle due opere[18]: qui di seguito cercherò di spiegare come e perché si è prodotta tale anomalia. L’organizzazione delle voci nel glossario del Rando è significativamente diversa da quella del De Mauro e Mancini. Il primo preferisce raccogliere in un’unica voce tutti i termini composti in cui compare il lemma mentre il secondo segue la prassi opposta, per esempio: nel Rando account executive si trova all’interno della voce relativa a account mentre in De Mauro e Mancini come lemma indipendente. Analogamente, il Rando non ha ritenuto necessario fornire delle voci indipendenti nei casi di omografia o di elisione della testa dei composti inglesi. Va inoltre osservato che nella lista “RandoDeMauro” sono state annotati tutti quei casi in cui gli anglicismi non condividono tutte le accezioni in cui sono stati registrati. Queste sono state quindi inserite come lemmi indipendenti, a seconda dei casi, nella lista o “Solo in Rando” o, viceversa, “Solo in De Mauro e Mancini[19] . Per dare conto di tali “spostamenti” si è ricorso a un sistema di riferimenti incrociati. In caso contrario, ossia quando tutte le accezioni sono condivise non vi è alcuna segnalazione. La conseguenza è stata un aumento del numero totale dei lemmi[20] . Tale scelta[21] ha avuto ripercussioni anche sul numero dei lemmi senza datazione, 898 in totale. La maggioranza di questi resta[22] comunque costituita da sigle e acronimi in De Mauro e Mancini mentre in Rando ci sono solo acronimi non datati.
3. Analisi della composizione dei lemmi per datazione e marca d’uso
Cominciando dal periodo 1800-1899, ossia pressappoco il periodo in cui l’influenza dell’inglese comincia a affiancarsi per importanza a quella del francese, in “SoloDeMauro” abbiamo un totale di 407 ingressi corrispondenti al 7%[23] del totale per una media ingressi annua di circa 6, che sale al 13% in Rando equivalenti, però, a solo 2 ingressi annui; in “RandoDeMauro” rimane costante con 15 (secondo la datazione dei lemmi di De Mauro e Mancini) e 16% circa (datazione di Rando) con una media ingressi annui leggermente superiore. Nello stesso periodo, la composizione per marche d’uso ci dice che su un totale di 407 anglicismi abbiamo, TS: 274 (67% circa), CO: 181 (30% circa), FO: 2, AU: 3, AD: 3 e BU: 5, OB: 1. Dal 1900 al 1944 abbiamo un significativo incremento percentuale – 16% – in “SoloDeMauro” cui corrisponde un altrettanto netto aumento negli ingressi annui, circa 11 unità. Tale aumento è confermato in Rando con 535 con 12 ingressi annui, corrispondente a una percentuale molta più alta – il 26% – visto le dimensioni decisamente più ridotte del repertorio. Per quanto riguarda l’attribuzione delle marche d’uso, la situazione è pressoché invariata: TS: 333 (il 69% circa); CO: 142 (il 30% circa) ; AU: 2; BU: 7.
Nel periodo 1945-1987, ossia quello che arriva all’uscita di Rando (1987), notiamo in tale repertorio una differenza abbastanza netta nel numero degli ingressi totali, ossia 1023 pari a circa al 50% del totale, mentre in “SoloDeMauro” il numero assoluto sale a 1617 corrispondente “solo” al 28% per le ragioni di cui sopra. Considerando la marca d’uso, abbiamo una situazione grosso modo invariata rispetto al periodo precedente, ossia TS: 1123 (il 69% circa); CO: 489 (il 30% circa); AU: 2; BU: 7.
Se spostiamo la nostra analisi sulle differenze negli ingressi medi annui, di 10 anni in 10 anni, a partire dal secondo dopoguerra, nel decennio 1945-54 si nota una perfetta coincidenza - 12 negli ingressi annui - fra “SoloDeMauro” e “SoloRando”- mentre se ci si concentra sui lemmi (o accezioni di essi) condivisi dai due glossari la media presenta un calo abbastanza significativo, 7 ingressi annui.
Per quanto riguarda la loro classificazione per marche d’uso, osserviamo che a fronte di un totale di 118 ingressi, 89 hanno l’etichetta TS (il 48% circa), 96 quella CO il 52% circa del totale, il che rappresenta la percentuale in assoluto più alta di anglicismi entrati nella lingua comune. Due infine sono marcati BU.
Dal 1955 al 1964 in “SoloDeMauro” si ha un totale di 689 ingressi per una media annua di 69 circa; in “SoloRando” abbiamo un totale di 303 lemmi per una media annua di ingressi di circa 30. È evidente la marcata differenza (quasi il doppio) negli ingressi fra i due repertori: in entrambi i casi s’assiste a un’impennata negli arrivi, di circa 5 volte superiori nel caso di De Mauro e Mancini, di 2 volte e mezzo in Rando. Nella lista dei lemmi in comune la media ingressi annui è di circa 2 volte superiore (circa 22) rispetto al periodo precedente.
La prima differenza che salta all’occhio (in “SoloDeMauro”) rispetto al decennio precedente è il numero circa 5 volte superiore di ingressi a cui, tuttavia, non corrisponde affatto un’eguale diffusione e accettazione nei vari registri linguistici, anzi gli anglicismi sono meno della metà in percentuale. Infatti, i termini classificati TS sono 525 (Il 76% circa), CO: 158 (il 23% circa), AD: 1,BU: 3, OB: 2.
Nel decennio successivo 1965-1974 c’è una sostanziale disparità nella media annua di ingressi nei due repertori: circa 45 - Rando - contro circa 28 - De Mauro e Mancini. In “SoloDeMauro” il totale è di 282 lemmi mentre in “SoloRando” gli ingressi complessivi sono 446. Quindi, mentre in De Mauro e Mancini il numero totale degli ingressi è 2,5 volte inferiore rispetto al periodo precedente, in Rando è aumentato circa del 33%. Se adesso passiamo agli anglicismi in comune – “RandoDeMauro” – abbiamo un totale di 119 (datazione De Mauro e Mancini) per una media ingressi annua di circa 12; mentre (datazione Rando) il totale sale a 220 per una media ingressi annua di circa 22, dato che conferma la tendenza di cui sopra. Quanto alle loro marche d’uso, sono marcati TS: 183 (il 65% circa); CO: 99 (il 35% circa), il che segna una significativa ripresa nell’accettazione degli anglicismi nella lingua comune.
Dal 1975 al 1984 in “SoloDeMauro” si contano un totale di 377 lemmi per una media annua di ingressi di circa 38. Il De Mauro e Mancini registra, quindi, una leggera ripresa negli ingressi; al contrario in Rando se ne riscontra un’ulteriore significativa diminuzione con una media ingressi annua di 15 per complessivamente 150 lemmi. In “RandoDeMauro” il numero assoluto degli ingressi scende a 70 (datazione De Mauro e Mancini) per una media annua di 7, dati che rimangono invariati secondo la datazione di Rando. Dal punto di vista delle marche si osserva un andamento in controtendenza rispetto al decennio precedente, infatti sono 249 i lemmi marcati TS pari al 68% circa mentre scendono 128 quelli segnati CO, ossia il 28% circa. Si registra anche un lemma marcato BU. Dal 1985 al 1988[24] in “SoloDeMauro” si registrano un totale di 214 ingressi per una media annua di circa 53, il che segnala un’impennata nell’afflusso di anglicismi non adattati, considerando anche la brevità del periodo preso in esame; in “SoloRando” si registra 1 solo nuovo ingresso: prevedibilmente, visto che il 1987 è l’anno di uscita dell’opera. Un’altra osservazione da fare è che questi dati rappresentano l’ulteriore conferma di una consistente ripresa degli ingressi partita dalla metà degli anni ’70: si ritorna infatti la stessa media ingressi del periodo 1955-64, il momento in cui l’inglese americano si stava afferrando come la vera lingua prestatrice in tutta l’Europa occidentale. Quanto alle marche d’uso dei 214 lemmi registrati in “SoloDeMauro” il 76% circa risulta TS mentre il restante 24% circa è CO, con un significativo, anche se prevedibile, vista l’età dei prestiti, aumento nella percentuale di tecnicismi.
Dal 1989 al 1998 in “SoloDeMauro” il numero totale degli ingressi è più che doppio rispetto all’ultimo decennio esaminato - 1975-1984 - con 929[25] ingressi così come naturalmente la relativa media annua con circa 93, la più alta finora, non a caso in coincidenza con l’inizio dell’era di Internet. Per quando riguarda le marche d’uso, si nota un significativo ulteriore aumento rispetto al periodo 1975-1984 dei TS, che sono 740, ossia l’80% circa mentre quelli CO scendono a 189, il 20% circa. Dal 1999 al 2003 in “SoloDeMauro” il numero degli ingressi è pari a 373 per una media ingressi annua di circa 75. Quindi si registra una calo rispetto al periodo precedente ma un leggero incremento, se si considera la media annua fino alla seconda metà degli anni ’80. Come marche d’uso, si ha, prevedibilmente, la massima percentuale di lemmi marcati TS ossia l’84% circa mentre quelli CO scendono al 16% circa.
Nei 16 anni (1987-2003) intercorsi fra la pubblicazione dell’opera del Rando e l’uscita della seconda edizione aggiornata del glossario del De Mauro e Mancini, la percentuale media di anglicismi con etichetta CO è di circa il 20% del totale, ossia 281 su 440 [26]; i restanti lemmi sono tutti marcati TS. La media annua di ingressi[27] è di circa 85 anglicismi, il che conferma le considerazioni fatte per il periodo 1989-98. Questa marcato calo nel passaggio alla lingua comune, seppur con delle oscillazioni, verificatosi dalla fine degli anni ’80, è forse dovuto a una non sufficiente fase di acclimatamento delle copiosissime ondate di nuovi prestiti - almeno per il momento, essi sono in maggioranza di ambito esclusivamente tecnico-specialistico - a un loro impiego “usa e getta” nella lingua dei mezzi di comunicazione di massa.
Possiamo concludere dicendo che dal confronto e dall’analisi dei repertori il numero assoluto degli anglicismi non adattati è in forte aumento negli ultimi 15/20 anni: gli anglicismi che portano una datazione a partire dal 1950 ammontano a 2954, riconducibili per quasi la metà (1204) al periodo 1990-2003, quindi con un ingresso medio di circa 92 all’anno! Di fronte a questi dati sembrerebbe difficile, dunque, non parlare di una vera e propria invasione. In meno di quindici anni, è entrata in italiano una massa di anglicismi pari a quasi un terzo di quelli entrati nell’intera storia dell’italiano; più del doppio di quelli giunti nel decennio precedente (574). E una sensazione simile si ricava anche dal Devoto Oli 2005, in cui trovano posto ben 154 anglicismi datati dal 2000 in poi. Se invece ci si sofferma sul dato percentuale rispetto al totale lemmi del GRADIT (2003), fonte principale di Parole straniere[28], gli anglicismi non adattati rappresentano circa il 2,2% del totale - 49.909 - come risulta dall’interrogazione della stessa opera in versione CD-ROM[29]. Si ottiene, quindi, il diagramma di una crescita costante, ma abbastanza lenta[30]. Se da un lato è vero che il dato assoluto del GRADIT non equivale a un’invasione, dall’altro conferma la previsione di Castellani (1987):
Vari anglicismi già in uso […] sono scomparsi o vanno scomparendo; ad altri si sono affiancate voci italiane […] Quello che mi preoccupa, non è tanto il passato prossimo o il presente, quanto il futuro. Per ogni anglicismo che scompare, ce ne sono dieci che subentrano; ma altri ancora, e sempre di più, prendono il loro posto. (Castellani, 1987: 149-150).
Tabella riepilogativa
4. Un repertorio intermedio: Dictionary of European Anglicisms. A Usage Dictionary of Anglicisms in Sixteen European Languages (DEA(2001) di M. Görlach (a cura di)
A questo punto della trattazione, mi sembra opportuno proporre un confronto con un terzo repertorio di anglicismi, il Dictionary of European Anglicisms. A Usage Dictionary of Anglicisms in Sixteen European Languages (DEA) - M. Görlach (2001). Le ragioni di fondo sono essenzialmente due: 1. di ordine temporale, nel senso che nonostante l’uscita quasi contemporanea rispetto a Parole straniere, il repertorio è aggiornato fino alla prima metà degli anni ’90, quindi quasi a metà strada fra il Rando e il De Mauro e Mancini; 2. come già si era fatto notare in precedenza[31], il Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario non è fornito di marche d’uso come Parole straniere, quindi mi è sembrato utile verificare i lemmi comuni alle due opere e confrontarne le marche d’uso, anche alla luce di quel gruppo di anglicismi le cui etichette mi erano sembrate discutibili.
Il DEA nel periodo 1945-1995 ci offre un trattamento comparativo degli anglicismi presenti in alcune fra le lingue europee più rappresentative. I criteri per decidere lo status di un anglicismo non sono sempre facile da stabilire. Nel DEA una parola viene inclusa nel dizionario se è riconoscibilmente inglese nella sua forma (ortografia, pronuncia, morfologia) in almeno una delle lingue considerate[32]. Tale criterio consente l’inclusione di parole che, sebbene chiaramente di derivazione inglese o che sono usate in maniera difforme dalla lingua d’origine, per esempio parole usate in parti del discorso diverse (assembling) o che non si ritrovano in inglese (antibaby pill). Termini tecnici ritenuti sconosciuti al lettore colto sono stati omessi: il risultato di queste scelte – metodo di raccolta dei dati e i filtri per la selezione dei lemmi – è che il numero finale totale dei lemmi risulta relativamente ridotto, ossia intorno ai 1500 (Cfr. Görlach, 2001: XVII).
4.1: La questione della raccolta dei dati nel DEA e sue conseguenze nel suo confronto con i dati di Parole straniere.
Il metodo di raccolta dei dati del DEA rappresenta una delle differenze fondamentali fra le due opere. Il curatore infatti stilò una prima breve lista di prestiti in tedesco da varie fonti: dizionari, testi giornalistici o su suggerimento di colleghi e studenti. Essa venne poi revisionata, per il polacco, da “E. Manczak-Wohlfeld who had just completed a dictionary of anglicisms in Polish; her additions brought the combined list to some 1,500 items.” (2001: XVII). Si è rinunciato, dunque, fin dall’inizio a raccogliere dati interrogando corpus linguistici, considerando tale prassi poco realistica in quanto avrebbe richiesto un’eccessiva quantità di denaro e energia, soprattutto per le lingue per cui non erano già disponibili raccolte di dati di questo tipo. Il lemmario del DEA si fonda, quindi, solo su dizionari, monografie dedicate agli anglicismi e su singole parole riscontrate dai collaboratori[33] - in quanto partecipanti attivi all’opera - o raccolte da giornali, radio, televisioni e riviste specializzate. Inoltre, non si è ritenuto che il grado di accettabilità e le restrizioni d’uso di un’unità lessicale potessero essere valutate appieno in virtù della sua frequenza[34]. Si è preferito, al contrario, usare una scorciatoia basata sui giudizi, sulla competenza, sulle intuizioni di collaboratori madrelingua. Se da un lato esiste il rischio che le analisi (tramite corpus) sulla presenza e l’accettabilità degli anglicismi possono risultare di poco aiuto, specialmente quando l’anglicismo è assai raro, dall’altro al giorno d’oggi appare evidente il limite, vista la disponibilità di molti corpus di molti tipi e in molte lingue, di una prassi lessicografica basata sull’intuizione, sul giudizio personale di parlanti colti, specialmente quando si deve valutare la diffusione di un anglicismo nei vari registri linguistici. D’altro canto, va anche detto che la vastità dell’opera giustifica, se non altro per uniformità di metodo[35], la rinuncia all’uso dei corpus nella raccolta e nella classificazione degli anglicismi delle lingue considerate. L’esclusione dei corpus rappresenta più di una scelta metodologica diversa: si ricollega, infatti, agli scopi e alle funzioni fondamentali che le due opere (il DEA e Parole straniere) si propongono di assolvere.
Cominciamo col dire che il DEA non è un’opera derivata da un progetto lessicografico di grandi dimensioni come Parole straniere, che si pone come una sezione esterna, specialistica, sebbene riveduta e ampliata[36] del GRADIT (1999). Al contrario il DEA si presenta come un’opera a sé stante, monografica, di tipo comparativo, solo sull’inglese[37], fornendo tuttavia anch’esso indicazioni sulla morfologia, sulla fonetica e sulla sintassi del lemma e soprattutto sull’uso sebbene, come vedremo meglio in seguito, da un punto di vista assai diverso. La prima osservazione da fare è che rispetto agli obiettivi del DEA la dimensione del suo repertorio potrebbe sembrare piuttosto ridotta e inadeguata. D’altro canto, nella redazione del DEA Görlach ha rinunciato a priori al sussidio di corpus di grandi dimensioni perché scettico sulla rappresentatività dei corpus linguistici come fonti di dizionari di lingue nazionali; a maggior ragione, dunque, per un’opera lessicografica comparativa come la sua, dove per molte delle lingue considerate sarebbe stato necessario creare corpus ex novo. Al contrario Parole straniere si affida al vasto[38] sistema di selezione dei lemmi e marche d’uso del GRADIT. L’evidente differenza fra l’ampiezza delle fonti dei due repertori sembra essere motivata, però, anche dai due filtri fondamentali con cui vengono esclusi o inclusi gli anglicismi non adattati, ossia l’accettabilità nel caso del DEA e l’utilizzabilità in Parole straniere. Nel DEA al filtro principale dell’accettabilità di una parola si giunge fondamentalmente tramite il parere, il giudizio competente di parlanti madrelingua colti. Esso viene poi suddiviso in una scala di crescente integrazione nella lingua d’arrivo, ossia a seconda delle limitazioni nell’ambito d’uso determinate da fattori sociolinguistici [39] .
L’utilizzabilità di un termine viene determinata, invece, principalmente dalla minore a maggiore frequenza nelle occorrenze della base di dati dell’opera, oltre che da criteri basati sulla maggiore o minore comprensibilità. Il filtro dell’utilizzabilità fa sì e spiega perché un numero più alto di lemmi in generale e di termini delle lingue specialistiche – se accertato che circolano in contesti più vasti dell’originario – in particolare venga inclusa in Parole straniere [40] . Questo tipo di filtro si distanzia notevolmente da quello adottato dal DEA; qui la frequenza non rappresenta un criterio prioritario (Görlach, 2003: 9, 15, 16, 48, 50, 55, 55, 110, 163) in generale; figura, tuttavia, all’interno delle voci se la frequenza di un lemma è confrontata con termini equivalenti, siano essi calchi o adattamenti di quel particolare anglicismo.
Tale impostazione porta anche a una concezione più soggettiva e più ristretta di prestito linguistico e, quindi, a una visione più prescrittiva che descrittiva, come è evidente dall’omissione di molti termini tecnici perché ritenuti troppo settoriali[41].
5: Analisi del confronto delle marche d’uso in De Mauro e Mancini (2003) e Görlach (2001)
Come sappiamo a un alto grado d’integrazione s’accompagna, tendenzialmente, anche un pari livello di accettabilità/diffusione/frequenza[42] . Quindi, nonostante le notevoli differenze nei criteri per la raccolta dei dati, resta comunque interessante confrontare le valutazioni sull’uso dei due autori sfruttando il punto di contatto che è emerso fra il sistema di De Mauro e Mancini basato sull’utilizzabilità/comprensibilità e quello del Görlach fondato su vari livelli d’integrazione e accettabilità/diffusione dell’anglicismo. Per rendere possibile un confronto fra i due sistemi, si è scelto d’equiparare le rispettive marche d’uso partendo da quella che indica la maggiore utilizzabilità/comprensione (Parole straniere) o accettabilità/diffusione (DEA) [43]. Poi, si sono comparati i termini la cui marca d’uso è risultata diversa, ossia non è stato dato conto di quelli in cui è stata riscontrata uniformità di giudizio. Sono stati così trovati 135 termini in Görlach che appartengono alla categoria(3)[44] , ossia quelli che vengono ritenuti incondizionatamente parte della lingua ricevente, ossia sono così integrati/accettati che la loro origine alloglotta è rintracciabile unicamente nella loro etimologia. Di questo gruppo, 26 in De Mauro e Mancini sono marcati TS[45] , il che segnala un’enorme diversità di giudizio. I restanti 100 sono marcati CO in De Mauro e Mancini, il che denota ancora un grado molto minore di accettabilità/diffusione, per usare il parametro fondamentale (per l’inclusione o l’esclusione degli anglicismi non adattati) del DEA; la distanza s’accorcia nei casi di flash (slang); tilt(tech./coll.); vamp (coll.); zoo (tech.) perché - nella parentesi tonda - conservano, come i termini messi nella categoria CO in Parole straniere, una qualche limitazione d’uso o per la loro origine tecnico-specialistica o per un ambito d’uso talora non generalizzato. Questa particolarità dipende dal fatto che i vari livelli d’accettazione/diffusione della scala di Görlach possono combinarsi con diversi limitazioni d’uso che vanno dal settore al canale di trasmissione come per il grado di diffusione dell’anglicismo. In fine, ce ne sono due - ping pong e toast - che in Parole straniere hanno la marca BU,[46] il che conferma una centralità assai minore rispetto al DEA.
Altri 178, invece, sono collocati nella posizione (2) della scala, ossia si tratta di parole pianamente accettate e diffuse in un’ampia gamma di registri ma che tuttavia nell’ortografia, nella pronuncia o nella morfologia conservano dei tratti riconoscibilmente inglesi. D’altro canto, tale distinzione non è sempre possibile o facile da fare, nel senso che ci possono essere anglicismi come hobby e gangster, il primo appartenente alla categoria (3) il secondo alla (2), che riproducono fedelmente le forme inglesi originali, ossia senza presentare nessun segno d’adeguamento formale, ma sono altrettanto ben acclimatati[47] in italiano, come dimostrano la varietà di derivati che hanno prodotto: hobbìsta, hobbìtstica, hobbìstico; gangsterismo, gangsteristico. Di questa problematica è consapevole naturalmente anche Görlach il quale, in fatti, sostiene che l’integrazione di una parola straniera può procedere a velocità diverse secondo i livelli d’analisi considerati; il processo è infatti determinato sia dalla struttura linguistica della lingua ricevente che dall’atteggiamento dei suoi parlanti verso il termine alloglotto[48].
Dei 178 anglicismi marcati (2) ne sono stati riscontrati 132 che in De Mauro e Mancini hanno la marca CO ma solo 4 - happy end CO / (2: tech.; jour./3); top model CO / (2: tech.; jour.); trend CO / (3/2: tech.); Yankee CO; TS / (2: coll.; facetious) - hanno una marca d’uso simile nel DEA mentre i rimanenti risultano meno integrati, centrali nel lessico della lingua. Se ne contano poi altri 50 che in Parole straniere sono marcate TS di cui 2 - (industrial design e Yankee - hanno la doppia marca [49] (TS/CO) in quanto al senso principale se ne è aggiunto un altro riferito alla lingua comune, il che varrà ogni volta che si troverà questa etichetta. Abbiamo poi 208 anglicismi marcati (1) nel DEA, di questi 183 - la maggioranza - hanno l’etichetta CO nel De Mauro e Mancini, quindi viene attribuita loro una maggiore diffusione e comprensibilità. Se ne contano, poi, altri 26 CO, di cui 19 che nel DEA sono considerati (Ø), 5 (-)[50] e 2 (0)[51], quindi tutti assai più periferici che in Parole straniere. Esiste, in fine, un’ultima categoria, diciamo, vale a dire quelli che sono sì presenti anche nel DEA ma che all’epoca della redazione del repertorio non erano ancora anglicismi italiani. Di questi 23, 17 sono marcati CO, 6 TS e 2 hanno la doppia marca (TS/CO).
6. Conclusioni
Possiamo quindi concludere dicendo che sui circa 1500 lemmi del DEA ce ne sono 927 la cui marca d’uso è in qualche misura diversa da di Parole straniere. Vediamo adesso di fare delle considerazioni e delle ipotesi per motivare tali divergenze. L’analisi dei dati ha evidenziato un numero considerevole di lemmi (311 di cui 133 marcati (1) e 178 (2)[52] che nel DEA hanno una marca d’uso indicante un’accettabilità/diffusione assai più elevata che in Parole straniere. In questo gruppo troviamo anglicismi come jeans e smog, marcati (3) nel DEA e CO in Parole straniere, che sono però gli unici termini con cui ci si può univocamente riferire a quel particolare tipo di stoffa e nebbia; al contrario, non ci sono termini altrettanto “insostituibili” fra quei (207) che risultano, invece, essere più frequenti e diffusi secondo i filtri del De Mauro e Mancini.
In conclusione, quale ragioni potremmo addurre per spiegare le notevoli, almeno qualitativamente, divergenze di vedute nell’attribuzione delle marche d’uso fra i due repertori? Come già rimarcato precedentemente i parametri - accettabilità/integrazione/diffusione contro frequenza/comprensibilità - sono piuttosto distanti sia per l’inclusione/esclusione dei lemmi che per le loro relative marche d’uso. Da un lato, infatti, abbiamo il giudizio sull’accettabilità di un anglicismo non adattato basato sull’intuizione di un gruppo di parlanti colti della lingua che può, tuttavia, essere smentito da riscontri (ottenuti da corpus rappresentativi) sulla sua frequenza e distribuzione fra i vari registri linguistici; dall’altro, però, l’affidabilità delle analisi linguistiche tramite corpus dipende dalla bontà e dalla coerenza nella selezione delle fonti.
La distanza temporale fra i due repertori rappresenta un altro importante fattore per spiegare le diversità riscontrate nell’attribuzione delle marche d’uso[53] . A prescindere dal fatto che s’adottino criteri più oggettivi come De Mauro e Mancini o più soggettivi come Görlach e i suoi collaboratori, è del tutto plausibile che alcuni termini possano passare in poco tempo da periferici a centrali nel lessico della lingua ricevente, come i termini informatici (per esempio mouse o e-mail) che negli ultimi dieci-quindici anni hanno varcato il confine della lingua specialistica per entrare nell’uso o quantomeno nella disponibilità del parlante medio. Ciò sembrerebbe indicare che numerosi altri anglicismi non adattati, confinati ancora alle loro rispettive lingue specialistiche potrebbero rapidamente varcarne i confini e diventare parte integrante della lingua comune. Ne consegue che per analizzare l’interferenza dell’inglese è necessario interrogare periodicamente corpus linguistici aggiornati ciclicamente come il CORIS[54]. Solo così, a mio avviso, si potrebbe giungere a una valutazione (il più possibile) affidabile di un fenomeno così vasto e decisivo per l’evoluzione dell’italiano.
Riferimenti bibliografici
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Università di Bologna - CILTA (a cura di) (2001) Corpus dell’italiano scritto (CORIS). Sito: [url=http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html]http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html[/url]
Università di Bologna - SSLMIT (a cura di) (2004) Corpus ‘La Repubblica’, corpus d’italiano giornalistico.
Sito:[url=http://sslmit.unibo.it/repubblica]http://sslmit.unibo.it/repubblica[/url]
Note
[1] I calchi prestiti o parziali sono forme ibride in cui l’unità lessicale alloglotta è imitata sia con il prestito sia con il calco, per esempio: gap generazionale.
[2] I pseudoanglicismi o falsi anglicismi sono parole per cui non è possibile trovare una precisa corrispondenza formale e/o semantica in inglese. Per esempio, auto-stop, beauty-case, footing sono stati coniati in francese, pur basandosi su elementi formativi inglesi.
[3] Parole che hanno lo stesso significato e una morfologia simile in lingue diverse come per esempio telefono, televisione.
[4] (Cfr. Rando, 1987: XXII).
[5] Il lemma - electric chair - è assente sia nel DEA (2001) che in Parole straniere (2003). Non è attestato né nel Corpus La Repubblica (2004) - corpus contenente gli articoli dell’omonimo quotidiano dal 1985 al 2000 a cura della SSLMIT (Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’Università di Bologna, sede di Forlì) - consultabile in Rete al seguente indirizzo:[url]http://sslmit.unibo.it/repubblica[/url] - né nel Corpus dell’italiano scritto (CORIS), corpus generale d’italiano scritto realizzato presso il CILTA (Centro Interfacoltario di Linguistica Teorica e Applicata “L. Heilmann” dell’Università di Bologna), pagina Internet: [url]http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html[/url]. Inoltre, il CORIS viene aggiornato ogni due anni tramite corpus di monitoraggio. Questi utilizzano un flusso di inserimento, ossia una periodica inserzione di dati filtrati in modo che si attui una selezione (dei dati) sia in entrata che in uscita. Tale meccanismo permette, dunque, d’affrontare i problemi di finitezza temporale riscontrati in altre raccolte di testi elettronici.
[6] Nel DEA il lemma elevator è invece registrato nell’accezione di montacarichi; tuttavia, è annotato come “sconosciuto” (cfr. nota n. 38) in italiano. Il calco corrispondente è conosciuto e risulta, infatti, più frequente e accettato dell’anglicismo non adattato. L’esotismo è invece totalmente assente in Parole straniere, mentre nel Corpus La Repubblica se ne contano solo 6 occorrenze, nessuna delle quali nell’accezione attestata nel Rando: si tratta infatti di titoli - in lingua originale - di film e canzoni. Nel CORIS abbiamo una situazione del tutto simile: 5 occorrenze totali del lemma contenute in titoli di film - in inglese - o nella denominazione di una famosa marca di ascensori. Come nel caso di electric chair, dunque, l’intuizione di Fanfani (1991) è confermata dall’interrogazione di due fra i maggiori corpus di lingua italiana attualmente disponibili.
[7] I calchi concetto o liberi sono quelli in cui la lingua inglese non è stata coinvolta in alcun processo d’interferenza linguistica diretta perché il neologismo – per esempio oleodotto – è stato formato su un termine già presente nel lessico italiano – acquedotto. L’influsso inglese era costituito dall’anglicismo grezzo pipeline che ha solo stimolato la neoformazione che l’ha poi soppiantato.
[8] (Cfr. Nencioni, 1996: 198-207).
[9] FO: fondamentale; tra i lemmi principali, sono così marcati 2.049 vocaboli di altissima frequenza, le cui occorrenze costituiscono circa il 90% delle occorrenze lessicali nell’insieme di tutti i testi scritti o discorsi parlati; AU: di alto uso; sono così marcati 2.576 vocaboli di alta frequenza, le cui occorrenze costituiscono un altro 6% circa delle occorrenze lessicali nell’insieme di tutti i testi scritti o discorsi parlati; AD: di alta disponibilità; sono così marcati 1.897 vocaboli, relativamente rari nel parlare o scrivere, ma tutti ben noti perché legati ad atti e oggetti di grande rilevanza nella vita quotidiana (alluce, batuffolo, carrozzeria, dogana, ecc.). I vocaboli fondamentali, di alto uso e di alta disponibilità (quest’ultimo è il gruppo più esposto al variare della cultura materiale e richiede aggiornamenti relativamente frequenti) costituiscono nell’insieme il “vocabolario di base”. CO: comune; sono così marcati 47.060 vocaboli che sono usati e compresi indipendentemente dalla professione o mestiere che esercitiamo o dalla collocazione regionale e che sono generalmente noti a chiunque abbia un livello medio-superiore di istruzione; con qualche discussione preliminare, abbiamo incluso nel vocabolario “comune” i circa 8.000 sostantivi e aggettivi derivati dalle denominazioni dei comuni italiani: si osservi che, depurato di tali deonomastici, il vocabolario comune include meno di 40.000 parole e che, se a queste si assommano le circa 7.000 parole del vocabolario di base, si ottiene un insieme di circa 45-50 mila parole, esattamente corrispondente a quello che offrono i normali dizionari correnti, monovolume, inglesi e francesi (contro le cento, centoventimila parole degli equipollenti vocabolari commerciali italiani); TS: legati a un uso marcatamente o esclusivamente tecnico–specialistico; sono così marcati 107.194 vocaboli usati e noti in gran parte soprattutto in rapporto a particolari attività, tecnologie, scienze: solo per 11.067 vocaboli la marca TS si accompagna, come si dirà tra breve, alle marche FO, AU, CO, OB. LE: di uso solo letterario; sono 5.208 vocaboli usati nei testi canonici della tradizione letteraria e noti a chi ha più dimestichezza con essa; RE: regionale; sono 5.407 vocaboli, in parte, ma non necessariamente, di provenienza dialettale, usati soprattutto in una delle varietà regionali dell’italiano; ES: esotismo: sono così marcati 6.938 vocaboli avvertiti come stranieri, esotismi fonologicamente non adattati e non inseriti nella morfologia italiana. BU: di basso uso; sono così marcati 22.550 vocaboli rari, tuttavia circolanti ancora con qualche frequenza in testi e discorsi del Novecento; OB: obsoleto; sono così marcati 13.554 vocaboli obsoleti e tuttavia presenti, oltre che nel Grande dizionario del Battaglia, in vocabolari molto diffusi; […] (De Mauro, 1999: XX)
[10] Per quanto riguarda la datazione delle voci, si è tenuto fermo il principio ispiratore dell’opera principale: per i lemmi nei quali alla data non segue una specificazione di un autore o di un testo, esiste una fonte desumibile da un’opera di riferimento. Se e dove abbiamo innovato e acquisito una migliore datazione, grazie agli spogli redazionali di Edoardo Sanguinetti, vien indicata la fonte. (De Mauro e Mancini, 2003: IV)
[11] (Cfr. De Mauro e Mancini, 2003: III).
[12] Il dato intuitivo viene confermato dall’interrogazione del Corpus La Repubblica e del CORIS. Nel primo corpus (cfr. nota n. 5) per e-mail si hanno 829 occorrenze pari allo 0,000218% del totale, mentre nel secondo (cfr. ibid.) il totale delle occorrenze sale a 3277, corrispondente allo 0,003277% del totale. Per quanto riguarda all right, l’interrogazione dei due corpus produce risultati pressoché invariati: nel Corpus La Repubblica ne figurano 22 occorrenze (0,000008% del totale) mentre nel CORIS scendono a 11 (0,00011% del totale).
[13] Si tratta di 932 lemmi datati genericamente “20° secolo” e altri 5 “19° sec.” su un totale dichiarato di 5.510, ossia circa il 17% dei lemmi.
[14] In questi casi, si è invece scelto di segnalare come “assente” la datazione delle accezioni di cui sopra, dando così origine a un numero maggiore di lemmi rispetto a quello effettivamente riscontrabile nell’opera, come fa per motivi i precisione anche il Rando nel suo glossario, del resto,. Cfr. anche n° 23.
[15] Questi ultimi sono peraltro in numero assai congruo nel De Mauro e Mancini, 806 lemmi, mentre solo per una manciata di sigle sostantivate si ha l’aggiunta della datazione, ossia AIDS, DOS, DNA, DVD, PET, PIN (2 omografi) TR, UNITYPE, UNIX. [16] Cfr. pp. 1-2.
[17] Cfr. pp. 3.
[18] De Mauro e Mancini dichiarano che il loro glossario contiene 5.510 lemmi di provenienza inglese mentre il Rando 1.503.
[19] Se lo stesso termine appare su due repertori diversi: non tutte le accezioni sono condivise o si tratta di omografi.
[20] Per quanto riguarda il De Mauro e Mancini il totale è arrivato a 5.806 mentre per il Rando a 2.050.
[21] Cfr. nota n° 14.
[22] Cfr. nota n°15.
[23] I dati di qui innanzi s’intendono arrotondati per eccesso.
[24] Si è scelto un periodo così breve per permettere un ultimo confronto col repertorio del Rando uscito nel 1987.
[25] Cfr. n° 11.
[26] Il numero totale non tiene inevitabilmente conto dei 933 lemmi che riportano la data generica “Sec. XX”, pari al 16% del totale. Si può, tuttavia, trarre la conclusione che si tratti di lemmi riconducibili agli ultimi quindici/venti anni del secolo scorso, come indicato dallo stesso De Mauro nell’Introduzione al GRADIT: Si tratta in genere di parole che deriviamo o da fonti parlate o da fonti scritte molto recenti, coeve ai lavori redazionali del Grande Dizionario Italiano dell’Uso (1989–99), e tuttavia troppo radicate nell’uso per potersi ritenere credibilmente riconducibili a questi nostri anni, anche se non ci è stato possibile ricondurli a data più antica. (De Mauro, 1999: xxvi-xxvii) Il numero totale salirebbe così a 2374, ossia circa il 41% del totale, percentuale assai alta che indicherebbe un ingresso annuo pari circa a 144 lemmi o loro nuove accezioni.
[27] Questo dato comprende anche le nuove accezioni di alcuni lemmi già precedentmente attestati.
[28] Cfr. pp.: 2-3.
[29] Essa resta la versione più aggiornata dell’opera, compreso l’aggiornamento cartaceo del 2003.
[30] Tullio De Mauro nella sua Storia linguistica dell’Italia unita, (1970) ricavava che i forestierismi non adattati raggiungessero (escludendo grecismi, latinismi e quelli che chiama “paralatinismi”) l’1,4% del lessico italiano. Manca un riferimento specifico agli anglicismi, ma – dato che nella coeva edizione dello Zingarelli (1958) il loro numero appare corrispondente a circa un terzo dei forestierismi – si può ragionevolmente immaginare che l’apporto dell’inglese possa essere individuato fra lo 0,5 e l’1%. Corrisponderebbero, dunque, a un leggero incremento i 1600 (non adattati) anglicismi presenti circa dieci anni dopo nel glossario del Klajn, (1972): valutando la consistenza del vocabolario italiano in 150.000 parole, ammonterebbero, secondo i suoi calcoli, a poco più dell’1%.
[31] Cfr. p. 4.
[32] Le lingue europee considerate sono: gruppo germaniche (tedesco, olandese, norvegese e islandese), gruppo romanze (francese, spagnolo, italiano e rumeno, gruppo slave (polacco, russo, bulgaro e croato) e quattro lingue altre (finlandese, ungherese, greco e albanese).
[33] I dati relativi all’italiano sono a cura di Virginia Pulcini [N.d.R].
[34] Cfr.: Görlach, 2003: 15; 11.
[35] Come si osservava sopra, al tempo della progettazione e redazione del dizionario non erano disponibili corpus rappresentativi per la maggioranza delle lingue considerate. [36] Cfr. n. 55.
[37] Cfr. p. 12 qui sopra.
[38] Nel GRADIT è stata fatta la somma algebrica, per così dire, di tutti i vocabolari esistenti al momento della sua redazione finale (1999); questo lemmario di partenza è stato integrato da una parte con parecchie altre fonti di uso scritto, oltre che con spogli sistematici di riviste tecnico-scientifiche, ad esempio, e d’altra parte con spogli sistematici di corpora del parlato. Per informazione dettagliate, cfr.: De Mauro, 1999: XIII-XV.
[39] Qui sotto sono riportati i simboli (usati nel DEA) e i criteri che segnalano vari gradi d’accettabilità. Più precisamente, la scala si basa su una combinazione di integrazione - in senso linguistico - e di accettabilità dell’anglicismo; ossia di solito a una maggiore integrazione s’accompagna anche a un’alta frequenza: (cfr.: Görlach, 2003: 48; 110): • The symbols indicate a cline of increasing integration (and often also of frequency and acceptability); • symbols found in this slot are: -: the word is not known but a calque or another native equivalent is provided (see gully in all languages except German); 0: the word is known mainly to bilinguals and is felt to be English (e.g.: weekend in German); Ø:the word is known but is a foreignism - that is, it is used only with reference to British or American contexts (e.g.: early, county); 1: the word is in restricted use in the language; the nature of the restriction is indicated in ‘slot’ 14 (see below); 2: the word is fully accepted and found in many styles and registers, but is still marked as English in its spelling, pronunciation, or morphology; 3: the word is not (or is no longer) recognised as English; English can only be established etymologically; 4: the word is identical or nearly identical to an indigenous item in the receptor language, so that the borrowing takes the form of a semantic loan only (e.g. the computer-related sense of mouse is borrowed as an additional meaning for German Maus); 5: The word, as far as the individual language is concerned, comes from a source other than English (e.g.: 5LA ‘from Latin’, 5Fr ‘from French’, etc.). (Görlach, 2001: xxiv)
[40] Inoltre, ciò spiegherebbe la gran quantità di anglicismi non adattati marcati TS.
[41] Ibid.: 17.
[42] Cfr. n. 31.
[43] Non c’è dubbio che si tratta di un’operazione assai “rischiosa” visto la differenza nei filtri impiegati. Il confronto, tuttavia, è sembrato comunque possibile avendo come punto di riferimento il fatto che Görlach attribuisca la categoria (3) a sport, laddove in De Mauro e Mancini ha la marca d’uso FO, così come a bar e clown che in Parole straniere, invece, hanno “solo” la marca CO.
[44] Cfr. nota n. 31.
[45] Cfr. nota n. 6.
[46] (Görlach, 2001: xxiv)
[47] Per acclimatamento s’intenderanno, dunque, solo tratti che riguardano il lessico; ossia può comportare scarsa o nessuna variazione formale significativa. L’acclimamento di un prestito può essere, almeno in parte, apprezzato attraverso l’impiego che i parlanti fanno del prestito (cfr. Gusmani, 1986: 23-25).
[48] Görlach 2003: 115
[49] In una delle accezioni italiane di bowling, mister e saloon oltre alla marca (2) si ha anche quella (Ø) del DEA, ossia ” the word is known but is a foreignism - that is, it is used only with reference to British or American contexts” (Görlach, 2001: XXIV).
[50] Ossia “the word is not known but a calque or another native equivalent is provided (see gully in all languages except German);” (Ibid.).
[51] Ossia, “the word is known mainly to bilinguals and is felt to be English (e.g.: weekend in German);” (Ibid.).
[52] Cfr. nota n. 31.
[53] La data d’aggiornamento dei lemmi del DEA (2001) è il 1995 mentre per Parole straniere (2003) sembrerebbe coincidere con quella della sua uscita. In realtà, nel primo c’è stata un’aggiunta di lemmi tratti da raccolte di neologismi a cui non si è accompagnata, però, un aggiornamento coerente delle marche d’uso di quelli già presenti, che quindi restano aggiornate al 1999, anno di uscita della prima edizione del GRADIT.
[54] Cfr. nota n. 5.
©inTRAlinea & Andrea Bistarelli (2008).
"L’interferenza dell’inglese sull’italiano Un'analisi quantitativa e qualitativa.", inTRAlinea Vol. 10.
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