Appunti su Pusterla traduttore di Jaccottet
Un’esplorazione all’interno de Il barbagianni e L’ignorante
By Claudia Bonsi (Università di Pavia, Italy)
Abstract & Keywords
English:
This paper aims to illustrate and explain the set of translation strategies used by the contemporary poet Fabio Pusterla in translating L'Effraie and L'Ignorant, two of the first Philippe Jaccottet's poetry books. The analysis, focusing on examples of linguistic, stylistic and textual issues, shows how the source-texts, often built on hypotactic structure in order to follow the flow of thought, are systematically modified and simplified by the translator, until reaching, in the target-texts of Il barbagianni and L’ignorante, another rhythm, closer to that of Fabio Pusterla's first poetic production.
Italian:
Il presente lavoro illustra una serie di strategie traduttive ricorrenti impiegate dal poeta ticinese Fabio Pusterla nel tradurre L’Effraie e L’Ignorant di Philippe Jaccottet. Lo spoglio dei fatti linguistici, stilistici e testuali mostra come i testi d’arrivo Il barbagianni e L’ignorante possano essere letti come la restituzione in chiave pusterliana, secca e stringata, del ritmo meditativo, ‘pensante’, à la Jaccottet.
Keywords: pusterla, fabio, literary translation, traduzione letteraria, traduzione poetica, poetry translation, poétique de la traduction, jaccottet, philippe
©inTRAlinea & Claudia Bonsi (2012).
"Appunti su Pusterla traduttore di Jaccottet Un’esplorazione all’interno de Il barbagianni e L’ignorante", inTRAlinea Vol. 14.
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1. Introduzione
Questo articolo nasce dall'idea di poter dire qualcosa in più sulla poetica, sullo stile e sulla lingua di una delle massime voci della poesia italiana contemporanea, Fabio Pusterla, a partire dalla poetica delle traduzioni di uno dei suoi autori di riferimento, Philippe Jaccottet[1]: infatti la poetica della scrittura e la poetica della traduzione, quando si abbia a che fare con un poeta-traduttore, sono strettamente interrelate e l'una può fungere da cartina al tornasole dell'altra, in uno scambio osmotico che investe temi e forme del poetare.
Philippe Jaccottet[2] dà alle stampe i suoi due primi volumi, Trois poèmes aux démons e Requiem, di tono enfatico e di forte influenza rilkiana, rispettivamente nel 1945 e nel 1947; il poeta li riterrà per molto tempo inadatti per una ripubblicazione[3].
È infatti con le successive due raccolte, L'Effraie et autres poésies (1953) e L'Ignorant (1958), che Jaccottet mette a punto una propria originale voce poetica, un "discours à mi-hauteur entre la convérsation et l'éloquence" (Jaccottet 1980: 142): toni spesso sommessi, a volte solenni, un ritmo 'pensante', che procede per correzioni progressive ispirate al criterio della justesse[4], sullo sfondo di una natura percepita come un paesaggio, animato da presenze animali e vegetali, attraversato da luci e ombre; il soggetto lirico è ai margini di questo paesaggio, lo vede e lo racconta senza esserne compreso.
Parallelamente, a partire dal 1954, Jaccottet comincia a scrivere dei carnets e delle proses poétiques che rappresentano le altre anime della sua scrittura, alla luce delle quali può essere meglio compresa la sua produzione lirica propriamente detta: esiti di questo inesausto esercizio del pensiero sono La Semaison, carnets 1954-1979 (1984) e Paysages avec figures absentes (1970), necessari complementi dell'attività poetica.
In particolare nei Paysages viene approfondito quel nesso tra paesaggio e parola che rende il primo sempre meno l'oggetto vago e indeterminato dei poeti e sempre più il legame necessario tra l'uomo e la dicibilità del reale, come nota Pusterla nella prefazione alla sua traduzione della raccolta (Jaccottet 1996: 7):
L'interesse di Jaccottet per il paesaggio [...] non ha nulla a che vedere con la fuga verso una tematica agreste, con il ripiegamento nostalgico o con il disimpegno; al contrario, riflettere sul dialogo tra parola e paesaggio significa per lui affrontare in modo nuovo alcuni degli aspetti più contraddittori e più significativi del linguaggio poetico contemporaneo, e insieme scandagliare qualche zona d'ombra e di disagio della nostra coscienza.
Nel 1967 viene pubblicata la raccolta Airs: si tratta di liriche brevi, contratte, ispirate alla poetica del frammento e dell'essenzialità descrittiva propria degli haiku giapponesi; un volume anomalo all'interno della produzione jaccottetiana, per la sveltezza ritmica e per la rarefazione verbale: queste sue caratteristiche lo renderanno ostico alla sensibilità del suo traduttore 'di fiducia', che sceglierà infatti di non affrontare l'impresa:
un giorno dissi a Jaccottet che, anche se sarei stato disposto a tradurre di suo persino la lista della spesa, mai avrei posto mano a Airs, perché credevo di non esserne in grado. In realtà penso che questo libro presenti soprattutto due ostacoli: il primo è il fatto che sia un libro al limite dell'intraducibilità, perché è tutto giocato sui corpuscoli fonici; il secondo ostacolo può essere chiarito riferendomi a quando, tempo fa, in Portogallo, mi misi a tradurre un poeta che mi piace moltissimo, Eugenio De Andrade, e mi resi conto, traducendolo, che ne stava risultando una brutta copia di Ungaretti: avevo quindi paura che con Airs succedesse un qualcosa di analogo, e ricordassero degli haiku[5].
L'itinerario poetico di Jaccottet prosegue nelle opere della maturità, À la lumière d'hiver (1977), Pensées sous les nuages (1983), e Et, néanmoins (2001), tutte tradotte da Pusterla.
Mathilde Vischer ha svolto un'analisi contrastiva delle poetiche dei due autori, evidenziandone analogie e differenze rispetto a quattro parametri (Vischer 2009: 59-77): secondo Vischer, mentre i due poeti mostrano di concordare sui primi tre punti, sviluppando una poetica del reale ("le lyrisme de la réalité"), tendendo a un decentramento del soggetto poetico ("l'effacement") e ricercando un dettato sempre più preciso, pur nella consapevolezza dell'insufficienza e dell'incertezza del mezzo linguistico, il quarto, "le lyrisme critique", inteso come movimento autoriflessivo, di ripresa e di commento, all'interno dell'opera poetica sarebbe caratteristico soprattutto di Jaccottet.
Pur accettando la lettura proposta da Vischer, si può discutere sull'ultimo punto: a mio parere, in Pusterla non manca quella dimensione distanziante e autoriflessiva, su se stesso e sul proprio linguaggio, propria di Jaccottet, anzi, dichiarazioni metapoetiche, riflessioni sul linguaggio e sui suoi limiti, nonché sulla natura del rapporto tra parole e cose percorrono trasversalmente l'intera produzione poetica di Pusterla[6].
All'interno di questo quadro critico, ho ritagliato un ristretto campo d'indagine, scegliendo di analizzare il volume che raccoglie la traduzione delle prime due raccolte significative di Jaccottet, Il barbagianni e L'ignorante, oltre che per ragioni di ordine cronologico, anche perché ritengo che fin da questa prima prova traduttoria si possano evidenziare gli atteggiamenti traspositivi ricorrenti, i tratti identificativi che determinano una vera e propria "firma stilistica" (Grignani 1988; Grignani-Bonadei 2004) di Pusterla traduttore[7].
2. Meccanismi traduttivi: la traccia di Fabio Pusterla
L’analisi sinottica delle liriche delle due raccolte prese in esame, Il barbagianni e L'ignorante, condotta tenendo presente da una parte il livello della testualità e dall’altra quello più squisitamente retorico e fonosemantico, ha fatto emergere alcune strategie traduttorie ricorrenti che mi propongo di illustrare, fornendo per ogni esempio l’indicazione della pagina[8] e del numero del verso (o dei versi) del testo italiano.
Nel complesso, come si vedrà, le innovazioni del traduttore-poeta si muovono nella direzione di una organica semplificazione sintattica e retorica del testo di partenza: il risultato è l’approdo a un testo nuovo, produzione di un autore che mostra di aver superato il feticcio dell’inflazionata ‘fedeltà al testo’, per cimentarsi in un’operazione semiotica di ben altro respiro, la quale interpreti e dialoghi dinamicamente con il testo di partenza (Buffoni 2005: 4).
D’altra parte, questa spinta alla semplificazione è controbilanciata da operazioni di segno opposto, che confermano nella pratica scrittoria quel ‘sistema di compensi’ enunciato a suo tempo da Franco Fortini: secondo il critico, il traduttore, non potendo tenere sotto controllo simultaneamente tutti i livelli in cui si stratifica il testo di partenza, sia per le differenze intrinseche tra le due lingue sia per la diversità di timbro poetico, sperimenta l’appiattimento o la perdita di un livello, e cerca conseguentemente di rimediare attraverso delle compensazioni, ovvero innalzamenti di registro che si giocano su altri piani rispetto a quello accantonato; ecco quindi che vengono impiegate, per esempio, le figure del discorso, le quali tendono (Fortini 2004: 74)
ad accrescere la densità del testo e quindi a diminuire la dimensione della immediatezza comunicativa, a combattere la quota della parafrasi e a restituire, nel testo di arrivo, lo statuto di separatezza e “letterarietà” che è posseduto dal testo di partenza.
Questo gioco di equilibri dinamici struttura dunque anche la proposta traduttoria di Pusterla, avanzata “con nobiltà di patina ma stringatezza di scrittura”, secondo una bella definizione di Pier Vincenzo Mengaldo (Mengaldo 1997: 399); in quest’ottica l’opera di Jaccottet diviene per Pusterla (e per “una serie non piccola di giovani lettori”) un’opportunità per mettere alla prova, per interrogare il proprio vocabolario poetico e, più in generale, la lingua italiana (Pusterla 2010: 10):
si direbbe che una serie non piccola di giovani lettori, che inizialmente non si conoscevano affatto tra di loro, abbia creduto che la poesia di Philippe Jaccottet, ormai riconosciuta e affermata in Francia e in via d’affermazione in Europa, non fosse soltanto una tra le più autorevoli e importanti esperienze poetiche contemporanee, ma fosse così particolare e così importante da dover essere con urgenza recuperata, messa al lavoro dentro la lingua poetica italiana, nella quale sarebbe forse stata in grado di manifestare qualcosa di nuovo, di schiudere una via percorribile anche da altri, e di farlo, va ancora osservato, sommessamente, nel paziente, umile lavoro sulla parola.
2.1. Il metro
Pusterla sceglie di rendere il verso lungo di Jaccottet, spesso riconducibile alla misura canonica dell’alexandrin[9], con l'endecasillabo, optando per la perdita delle rime (baciate o alternate) che nell’originale informano quasi tutti i testi; quando poi si tratta di trasporre una forma metrica che abbia il suo equivalente nella lingua d’arrivo, come il sonetto, si assiste a un tentativo di restituzione dello schema rimico attraverso consonanze, assonanze e omoteleuti in punta di verso.
Ogni volta ci sia la possibilità di ottenere un endecasillabo, il traduttore non esita a 'limare', cercando sempre di far percepire il ritmo del testo poetico, o meglio, di lasciarlo cantare, di farlo riaffiorare “dalle macerie di qualcosa” (Pusterla 2004: 18):
non loin repose l’héritier de leurs batailles, |
poco distante giace il loro erede, |
la ville ne sera plus qu’un peu des braises fumantes |
la città appare |
Pas seulement alors, mais déjà maintenant |
Non solo allora: già in questo momento |
Come si può notare, queste sforbiciature motivate da spinte metriche si intersecano a semplificazioni sintattiche e stilistiche di altra natura: dal momento che le due istanze non sono mai disgiunte, spesso si può spiegare un alleggerimento della sintassi attribuendolo a necessità metriche, cosiccome una volontaria semplificazione sul piano delle strutture linguistiche si può tradurre quasi naturalmente in un riassestamento prosodico.
D’altra parte, non è difficile trovare tracce del procedimento opposto, ossia quello dell’inserzione, del rimpolpamento, dell'aggiunta di una o più sillabe al fine di ottenere il verso desiderato[10]:
Regarde l'eau, comme elle file, |
Guarda l'acqua che passa, e come scivola |
c'était peut-être une bâtisse de roseaux |
forse era tozza casa di fuscelli |
Non mancano poi numerosi esempi di ritmi sotterranei, di endecasillabi e settenari che si possono rintracciare all'interno di versi lunghi e atipici:
M’étant penché en cette nuit à la fenêtre, |
Chino sulla finestra questa notte, vidi il mondo |
Seule demeure l’ignorance. Ni la mort, |
E sopravvive solo l’ignoranza. Né la morte, |
Spesso a un settenario francese il poeta fa corrispondere un settenario italiano, oppure alterna endecasillabi e settenari:
Il y a un feu sous les arbres: |
C’è un fuoco sotto gli alberi: |
Autre chose est de proclamer le deuil |
Altro è annunciare il lutto |
2.2. Sintassi e testualità
La scrittura di Jaccottet, quasi un continuum ipotattico in cui il pensiero fluisce liberamente da un verso all’altro, viene condensata attraverso una serie di procedimenti testuali ricorrenti da una traduzione all’altra e che si collegano alle consuetudini di Pusterla poeta: l’impressione è quella di una scrittura più nervosa, frantumata e allo stesso tempo più chiara ed essenziale.
Si riscontrano casi di ellissi del sintagma verbale per snellire la sintassi e incrementare l’immediatezza dell’immagine, e allo stesso tempo ottenere (o nascondere) un endecasillabo o un settenario[11]:
La mer est de nouveau obscure. Tu comprends, |
Di nuovo cupo il mare. Tu capisci |
La terre ici montre la corde. Mais qu’il pleuve |
Terra allo stremo qui. Ma fa che piova |
In altri casi l’ellissi è cataforica:
Tout m’a fait signe: les lilas pressés de vivre |
Ovunque, cenni: i lillà ansiosi di vivere |
Un caso particolare è rappresentato dall’ellissi di un complemento o di un sintagma verbale per espungere la reduplicatio presente nel testo francese, riflettendo così lo snellimento sintattico sul piano retorico; inoltre funziona qui il criterio, proprio della tradizione latina e quindi di quella italiana, della non repetitio:
Poser les mains sur l’épaule, et attendre: |
Le mani sulla spalla, e poi aspettare |
il pense brusquement à ses biens enterrés, |
subito pensa ai propri occulti beni |
Singolare il trattamento degli aggettivi numerali, soppressi pressoché sistematicamente, quasi a volerne eliminarne la precisione di sapore colloquiale, e sostituiti con espressioni più vaghe e sfumate; nei primi due esempi si tratta di frasi fatte, di cui la prima ha un corrispondente preciso in italiano, che Pusterla sceglie di non utilizzare, mentre la seconda è propria della lingua francese:
Quelle force |
Quale forza |
Il a les yes yeux fermés, nous l'avons trouvé dans la cour |
Ha gli occhi chiusi, l'abbiamo trovato nel cortile |
et sur le cimes la lumière, |
e sulle cime |
All’architettura gerarchica del testo francese, ricco di subordinate, Pusterla preferisce una struttura paratattica; ecco quindi che il sistema reggente + proposizione finale/consecutiva viene sostituito da due proposizioni coordinate, che necessitano della collaborazione interpretante del lettore per essere connesse:
Ah! lâcher pour de bon ferraille, plâtre et planches! Non, comme un chien je flaire un parfum répandu et gratte si profond qu’enfin j’aurai mon dû |
Finirla! Basta calchi, assi, rottami! |
Et pourtant cette ombre t’aimait…On ne sait pas |
Eppure quest’ombra ti amava… E non sai mai |
Altre volte è il sistema reggente + subordinata preposizionale ad essere sostituito da due principali coordinate mediante la congiunzione e:
Comme un homme qui se plairait dans la tristesse |
Simile a un uomo che si piaccia triste |
Pourtant, si maladroit que soit toujours le solitaire, |
Eppure, insisto, per quanto sia incapace il solitario |
o da un suffissato verbale deverbale, più secco e pregnante:
Il commence à pleuvoir. |
Pioviggina. [29, 9] |
o da un parasintetico:
La nuit se fait |
Annotta [111, 6] |
ANNOTTARE è una formazione di conio dantesco (Inferno, 34: 5 e Purgatorio, 20: 1) ampiamente attestata nella tradizione poetica italiana contemporanea: la troviamo impiegata in Montale[12], Ossi di seppia, Valmorbia: 12 e La bufera, Personae separatae: 24-25, nonché in Gozzano, Moretti e Saba (GDLI e Savoca 1995: ANNOTTARE).
Più in generale, Pusterla interviene con tutta una serie di semplificazioni di varia natura che cambiano la fisionomia stessa delle liriche, riadattandola al temperamento del traduttore e all’andamento ritmico della lingua poetica italiana; si può notare, per esempio, la riduzione del sistema verbo di percezione + infinito dipendente (o subordinata oggettiva):
Mais qui peut dire quel est son sens? Je vois ma santé se réduire, pareille à ce feu bref au-devant du brouillard qu'un vent glacial avive, efface...Il se fait tard. |
Ma il senso chi lo può dire? E la salute scema, simile oltre la nebbia al fuoco breve che un vento glaciale smorza...Ed è già tardi. [13, 11-4] |
Il commence à pleuvoir. On a changé d'année. Tu vois bien qu’aux regrets notre âme est condamnée |
Pioviggina. Lo sai, si cambia d'anno, ma non muta il rimpianto, la condanna: [29, 9-10] |
C’è un interessante caso di passaggio da discorso indiretto a discorso diretto, con un esito di maggiore colloquialità:
J’accepte moi aussi de croire qu’il fait doux que je suis chez moi, que la journée sera bonne. |
Anch’io cerco di dirmi: «L’aria è dolce, sono a casa, la giornata sarà buona». [25, 7-8] |
Molto frequenti sono le nominalizzazioni attraverso l’impiego del sistema infinito sostantivato/sostantivo + specificatore, processo, tipico del Novecento italiano e in particolare della ‘grammatica’ ermetica (Mengaldo 1991), che va in direzione di un’astrazione più marcata:
Tu es le feu naissant sur les froides rivières, |
Tu sei il fuoco che nasce sui fiumi più freddi |
vous n'entrendrez plus que le bruit de la rivière |
non sentirete che il fruscio del fiume |
Un altro esempio di semplificazione sintattica è la tendenza ricorrente a scindere sintagmi nominali costituiti dal sistema sostantivo + aggettivo (oppure sintagma nominale + specificatore) in due sintagmi nominali distinti, separati da una virgola e/o dalla congiunzione e, con un effetto di maggiore immediatezza visiva:
de tomber à mon tour en poussière bien blanche |
dovrò in polvere bianca anch'io cadere |
Si tu m'aimes, |
Se mi ami, |
Questo procedimento di frantumazione, di spezzatura talora serve a far emergere una connotazione semantica che in una traduzione lineare andrebbe persa, come in questo caso, in cui in italiano ci si deve servire di due nozioni per tradurre un’espressione francese che le contiene entrambe:
Qui n'a vu monter ce rire... |
Chi non ha visto il riso che saliva... |
Altre volte il procedimento si riverbera sul piano retorico, come in questo caso, in cui Pusterla, oltre ad ottenere un endecasillabo, costruisce un elegante parallelismo:
Moins il y a d'avidité et de faconde |
Minore è l'ingordigia e la facondia |
Dal punto di vista dell’impiego della punteggiatura, si può riscontrare un incremento dei segni interpuntivi, il quale segmenta, contiene e chiarifica la riflessione dell’io lirico, che nel testo francese fluisce quasi senza vincoli. Frequente è l’inserzione di incisi:
Qu’une dernière foix dans la voix qui l’implore |
Ancora una volta, l’ultima, nella voce che l'implora, |
Une personne en patience et paix tournée |
Qualcuno che, pacifico e paziente, |
o la sostituzione di una virgola con i due punti con valore esplicativo, o ancora l’inserzione di una pausa più lunga, come un punto e virgola, che segmenta ulteriormente il dettato:
elle vient, Dieu sait par quels détours, vers vous deux, |
viene per vie traverse, ed è invisibile |
A livello testuale, dato un determinato contenuto proposizionale espresso dall’originale, il traduttore ha di fronte a sé diverse opzioni per esprimerlo: si tratta di variazioni sul piano della struttura informativa dell’enunciato, ossia della sua articolazione in topic, focus e comment (Andorno 2003: 69-94).
In molti casi Pusterla interviene sulla struttura informativa degli enunciati, mettendo in risalto un elemento del discorso poetico attraverso procedimenti di focalizzazione: lo spostamento d’accento che si ottiene in questo modo getta una nuova luce sul testo, che diviene altro da quello di partenza.
Particolarmente frequente è un procedimento di focalizzazione che consiste nel creare una frase di tipo eventivo con comment interamente focale a partire da una frase di tipo predicativo (Andorno 2003: 89), così da mettere in risalto l’elemento selezionato, spesso in punta di verso:
Mais déjà, par l'appel le plus faible touchée, |
Ma già, toccata dal richiamo debolissimo, |
Où est le donateur, le guide, le guardien? |
E il donatore |
Les peupliers sont encore debout dans la lumière de l'arrière-saison, ils tremblent près de la rivière une feuille après l'autre avec docilité descend, éclairant la menace des rochers rangés derrière. |
Svettano[14] ancora i pioppi nella luce |
Si tratta evidentemente di un ordine dei costituenti marcato rispetto a un ordine che potremmo chiamare ‘normale’, e quindi, a seconda dallo scarto verso l’alto percepito rispetto alla lingua dell’uso medio, può essere definito, dal punto di vista retorico, un procedimento di inversio.
Spesso sintagmi preposizionali o avverbiali sono preferiti a sintagmi verbali, per ragioni metriche e per diluire la densità sintattica:
Ainsi je marcherai seul dans cette brume |
Così andrò solo dentro questa bruma, |
Le due raccolte di Jaccottet sono disseminate di referenti testuali definiti (dall’articolo o da un deittico spaziale) e di deittici temporali: sono testi ad alto tasso di indicalità, determinato da una tensione continua all’attualizzazione spazio-temporale. Pusterla, per le ragioni prosodiche di cui sopra ma non solo, se da una parte mantiene i deittici temporali, lascia spesso cadere gli articoli determinativi o i dimostrativi, in un certo modo rarefacendo la concretezza quasi materica dell’originale in un’atmosfera più vaga e sfumata:
Quand même je saurais le réseau de mes nerfs |
Anche sapessi la rete dei miei nervi |
Toute douceur, celle de l’air |
Ogni dolcezza dell’aria |
D’altra parte, non mancano inserzioni o impieghi di un deittico spaziale come ecco in luogo di un sistema espressione deittica + verbo, laddove il traduttore voglia mettere in rilievo la componente visuale del testo:
Une voix monte, et comme un vent de mars |
Ecco, sale una voce, e come un vento |
Cris d’oiseaux en novembre, feux de saules, tels sont-ils, |
Gridi d’uccelli in novembre, salci in fiamme: ecco i segnali |
2.3. L'impianto retorico
Per quanto concerne l’impianto retorico, molto frequentemente le similitudini del testo di partenza vengono condensate in metafore:
moi, j’étais trop souvent comme un enfant distrait |
io, ero troppo spesso un fanciullo distratto |
Le fleuve craquelé se trouble. Les eaux montent |
Il fiume incrinato s'intorbida. Le acque salgono |
In accordo con il 'sistema dei compensi' cui si accennava più sopra, spesso la semplificazione sintattica e lessicale del testo di partenza porta con sé la necessità, avvertita dal traduttore, di innalzare la densità stilistica e retorica del testo; due mezzi molto comuni (e affini) per elevare il dettato sono l’anastrofe o l’iperbato, variazioni dell’ordine percepito come ‘normale’ dei costituenti (Mortara-Garavelli 1988: 227-228):
Sois tranquille, cela viendra! Tu te rapproches, |
Stai tranquillo, verrà! Fuoco, ti accosti! |
Que cette nuit s'approche et dévoile donc nos visages. |
Sveli dunque la notte i nostri volti, venga. Schiusa s’è forse una porta qui presso, e una distesa s'è offerta forse in silenzio al nostro soggiorno. [139, 2-3] |
Dalle dichiarazioni di Pusterla stesso sulla sua attività di traduttore sappiamo quanto peso abbia nelle sue versioni l’ “importanza fondamentale dei suoni”, in virtù della quale ci si può concedere una “libertà lessicale” che nasconda “una più profonda fedeltà all’espressione fono semantica” (Pusterla 2004: 19).
Non è quindi raro imbattersi, fin dalla prima lirica, in versi come questi:
Mais ce n'est que |
Ma è soltanto |
Spesso è invece su un solo nesso, talora riecheggiato, che si gioca la riproduzione del suono:
Même quand tu bois à la bouche qui étanche |
Anche se bevi alla bocca che toglie |
«Une prière dite dans la crainte, difficile |
Una preghiera dentro la paura, ardua a esaudire, specie senza soccorso dall'esterno; una preghiera detta dentro il crollo delle città, la fine della guerra, i morti in folla [67, 9-12] |
Novembre s’ouvre dans un tonnerre de cloches, |
Novembre si apre con campane a scroscio, con scintillio di pianti. [127, 13] |
Oppure ancora si può trovare un verso onomatopeico (con rima interna) laddove il francese non lo consentiva:
Où s’écroulent les rocs, la mer est noire, et tonne |
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba |
Le anafore sono quasi sistematicamente eliminate:
Puis, quand enfin s'éloignent |
E quando infine |
Seuls ils seront limpides, efficaces et légers, |
Loro saranno i limpidi, gli efficaci, i leggeri |
Non plus sans doute avec des chèques ou des étendards, |
Certo, non più assegni o stendardi, |
La poesia di Jaccottet si struttura frequentemente in tricola, verbali o nominali; la tendenza di Pusterla è quella di alleggerirli, operando per variatio o per eliminazione degli articoli determinativi o dei deittici spaziali:
Vous vivants à cette place, |
Voi, viventi di qui, |
en bas le cimitière de la graine et de la pierre, |
in basso il cimitero della pietra e del seme, |
un seul mot prononcé par celle |
una sola parola di quella |
3. Conclusioni
I fenomeni traduttivi posti in luce mettono capo a un nuovo ritmo enunciativo (Meschonnic 1982: 217; Vischer 2009: 34-37), che parte da quello del testo francese per regolare il flusso del pensiero all'interno del verso con una modalità molto diversa: i procedimenti di sfoltimento retorico, di rastrematura sintattica e di riorganizzazione della struttura informativa in direzione di una maggiore focalizzazione determinano un ritmo più secco, più nervoso, più spigoloso rispetto a quello del testo francese.
Questa 'asciugatura' del dettato poetico è, a mio parere, la cifra stilistica di Pusterla traduttore del primo Jaccottet e la 'frequenza' alla quale si muovono le onde del testo-traduzione, tuttavia la continuità sopraversale, assicurata in Jaccottet dal continuum di un pensiero che si snoda da un verso all'altro grazie a complessità sintattiche travalicanti i limiti della singola unità versale, è preservata nel testo d'arrivo, oltre che dal frequente ricorso all'enjambement, dalla meditata rielaborazione dei moduli metrico-ritmici affioranti dal testo originale; Pusterla stesso, accantonando le tabelle metriche e parlando concretamente della sua prassi traduttoria di Jaccottet, si esprime in questi termini (Pusterla 2007: 184-185):
[Nella poesia di Jaccottet] la tradizione non è mai assente o rifiutata, e tuttavia la sua presenza è sempre messa tra parentesi, in secondo piano, nascosta sotto una scansione della frase che sembra riprodurre piuttosto il ritmo del pensiero, e che trasforma la regola metrica in esitazioni e accelerazioni della voce. Può il traduttore sperare di rendere conto di una simile poesia? Forse sì; ma si tratterà allora non tanto di mantenere a tutti i costi quella rima, quell'assonanza, quella misura sillabica, bensì di ritrovare all'interno della propria lingua il senso e l'equivalente della ricerca compiuta dal poeta nella sua, traducendo non il singolo frammento di linguaggio poetico, ma lo spazio di pronuncia elaborato dall'autore.
D’altra parte, nel corso degli ultimi vent’anni, il ‘disco operativo’ di Pusterla poeta è stato a sua volta toccato dall’assidua frequentazione dei testi jaccottetiani, dal respiro ampio e ragionativo: il ritmo enunciativo del dettato di Pusterla, da spezzato, franto, ‘espressionista’, quale si presentava nelle prime raccolte, è stato infatti gradualmente scavato dall’interno, divenendo la misura di un verso più disteso, meditativo, pensante, in particolare nelle raccolte più recenti, Folla sommersa (2004) e Corpo stellare (2010). Così si esprime Pusterla stesso a questo proposito:
mi piace ricordare la prima volta che sono andato a trovarlo a Grignan, mentre traducevo Il barbagianni: a un certo punto mi ha portato a fare una passeggiata sulle colline dove c'era appena stato un incendio, e, toccando il tronco di un albero bruciato, disse: - Forse questo ce la farà a rinascere.
Gli scrissi poi una lettera dove denunciavo la mia incapacità a vedere le cose con quello stesso sguardo, dicendo che io riuscivo a scorgere solo il tronco bruciato: non mi rispose neppure, quasi a dire – Piantala! Svegliati!...
A me questa attitudine pareva incomprensibile, perfino sospetta, e pensavo dentro di me a come facesse a parlare delle cose belle. In Le cose senza storia si apre invece proprio questo orizzonte: c'è qualche colore, ci sono i bambini, la natura non è solo mostruosa, e questi tratti li devo alla mia bambina, ma un pochino anche a Jaccottet.
Il lascito formale del lavoro di traduzione di Jaccottet, la predominanza del ritmo, è emerso solo molto tempo dopo, in Folla sommersa e in Corpo stellare, in quanto un'evoluzione significativa su questo piano è lenta a maturare, andando a toccare il "disco operativo" del fare poetico[15].
La scelta di tradurre Jaccottet è stata definita altrove dal poeta ticinese “la tappa provvisoriamente conclusiva di un lento processo di ammirazione e di avvicinamento” (Pusterla 2007a: 182): un atto di stupore e di ammirazione che si è trasformato in uno sforzo di assimilazione e di restituzione della voce altrui, determinando quindi retroazioni di natura formale e ritmica sull’opera poetica di Pusterla.
In un altro intervento, a margine di un convegno sull'idea di frontiera tra realtà e metafora nella poesia di area lombarda del secondo Novecento, Pusterla espone la propria ipotesi sull'angolazione dalla quale il poeta-traduttore deve guardare al testo da tradurre per restituirne a un tempo l'essenza e l'alterità (Pusterla 2007b: 301):
[...] Ma quando traduco un altro poeta, sono anche obbligato a dimenticare, o almeno a relativizzare, quella voce che credevo così mia, a farla per quanto possibile tacere, considerandola talvolta quasi nemica. Non io, il mio io lirico, che poco prima consideravo signore e sovrano delle mie parole, ma l'altro deve parlare, quell'altro che ha una pronuncia e uno sguardo a me estranei, e che pure dovrei cercare di interpretare. E se anche non potrò mai essere l'altro, proprio come non potrò mai sperare di avere davvero ricreato la sua opera poetica nella mia lingua, nondimeno avrò cercato di muovere qualche passo fuori di me, di depurare la voce da qualche scoria dell'io, trasformando la frontiera che mi immobilizza in un confine forse valicabile.
L'obiettivo di Pusterla traduttore è quindi quello di lasciar parlare l'altro, di utilizzare la propria voce, filtrandone il più possibile gli elementi dell'io; ma è proprio la traccia di questa voce che emerge dallo spoglio dei meccanismi traspositivi ricorrenti, costituendo la sigla stilistica ineliminabile del poeta-traduttore all'interno dei testi.
Vorrei concludere con il giudizio a posteriori dell'autore stesso in merito alla traduzione de Il bargagianni e L'ignorante:
Tutto sommato, non mi sembra di dovermene vergognare troppo, benché veda le zone che oggi modificherei; mi ricordo, come quando rifai una passeggiata, i punti del sentiero su cui mettere i piedi e anche quelli sui quali sei scivolato. Vedo tutto questo e capisco che oggi forse lavorerei diversamente, cosiccome, quando leggo il mio primo libro, ne sento le asperità e le ingenuità; nel complesso, mi sembra però di poter dire che si tratta di un bel lavoro[16].
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Note
[1] Delle opere di Philippe Jaccottet Fabio Pusterla ha tradotto Il barbagianni. L’ignorante (1992), Edera e calce (1995), Libretto (1995), Paesaggi con figure assenti(1996), Alla luce d’inverno. Pensieri sotto le nuvole (1997), Austria (2003), E, tuttavia (2006).
[2] Per quanto riguarda il profilo di Jaccottet, si è fatto riferimento soprattutto a Vischer 2009, a Vidal 1989 nonché ad Agosti 2001.
[3] Requiem verrà ripubblicato, seguito da Remarques, dall'editore Fata Morgana di Montpellier nel 1991.
[4] "La justesse...Je voudrais rien chercher d'autre: c'est-à-dire ni possession ni gloire. Et peut-être n'est-il rien de plus malaisément atteignable. Sais-je même ce que c'est?" (Jaccottet 1998: 74).
[5] Da una mia intervista all'autore.
[6] Questa tendenza è particolarmente evidente sfogliando la raccolta Le cose senza storia (1994).
[7] Esemplari gli studi di riferimento in campo storico-linguistico che analizzano contrastivamente il lavoro dei poeti-traduttori: Mengaldo 1991a su Sereni, Caproni e Luzi traduttori, Mengaldo 2003a sulle versioni poetiche di Solmi, Mengaldo 2003b su una traduzione di Montale di The Garden Seat di Hardy, Previtera 1985 e Ead. 1987 su Sereni, rispettivamente traduttore di Char e di Apollinaire.
[8] L'Effraie et autres poésies viene pubblicato da Gallimard nel 1953, mentre L'Ignorant nel 1958 presso lo stesso editore; in occasione della pubblicazione dell'antologia di Poésie 1946-1967, l'autore sopprime i titoletti di sezione nonché 11 liriche. Il materiale espunto, d'accordo con l'autore, viene recuperato nell'edizione a cura di Fabio Pusterla, la quale si rifà all'antologia del '71 per tutti i testi in essa compresi e alle ristampe, sempre per i tipi di Gallimard, de L'Effraie (1986) e de L'Ignorant (1980) per tutti gli altri casi e per i titoli di sezione (cfr. La nota al testo de Il barbagianni. L'ignorante, pp. XIX-XX). Il barbagianni e altre poesie comprende quindi 18 liriche (cui bisogna aggiungere quella di apertura) suddivise, nelle sezioni Qualche sonetto (5), Poesie varie (7), Frammenti di un racconto (1), La semina (1), Le acque e le foreste (4); L'ignorante comprende 40 liriche (cui si deve aggiungere, come prima, quella di apertura), distribuite nelle sezioni Nelle vie d'una città (12), Parole nell'aria (20), Il libro dei morti (7).
[9] Sulla metrica jaccottetiana si vedano in particolare Monte 2002 e Tlemsani 2004.
[10] D’ora in poi il corsivo è mio.
[11] Tralasciamo qui gli innumerevoli casi di parole espunte evidentemente solo per ragioni metriche.
[12] Sul montalismo di Pusterla si vedano Benzoni 2005 e De Marchi 2005.
[13] Evidente il ricordo del guizzo dell’anguilla montaliana e il più recente guizzo di quella del Reno, in Pusterla, Bocksten: 85: «Adesso sì, sorella, e più di prima,/ se guizzi disperata tra scoli d’atrazina/ e getti d’olio vischioso».
[14] Il verbo svettare ricorda Montale, Le occasioni, Non recidere forbice quel volto: 5: «Un freddo cala…Duro il colpo svetta».
[15] Da una mia intervista all'autore.
[16] Ivi.
©inTRAlinea & Claudia Bonsi (2012).
"Appunti su Pusterla traduttore di Jaccottet Un’esplorazione all’interno de Il barbagianni e L’ignorante", inTRAlinea Vol. 14.
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