Il dialetto di Giovanni Nadiani
By Davide Argnani
La foto di Giovanni Nadiani (di Valerio Tisselli) risale al 14/11/2015
in occasione di un incontro in Biblioteca A. Saffi di Forlì
a cura del Centro Culturale L’Ortica di Forlì
Giovanni Nadiani
a vajon
(i treno ch’u s’perd
i è sempar in ureri
e u s’toca d’aspitê
cvi ch’a ciapen)
andè sò e zò
par la stesa strê
par tot e’ dè zarchê
cla parôla şmenga
e farmês in ti cruşiri
a sintir e’ vent dal machin…
smaghé
da un pont spudêr int l’acva trovda,
insen al brustulin biasê al biastem
s-ciazend e vut di’ gos,
e pu
tra e’ lom e e’ scur
truvês ad chev d’un viol şmarì tra al siv
cun al şbar impet…
…gvardêr insò,
ad là de’ zet,
la zirandla…
A Zonzo: (i treni che si perdono/sono sempre in orario/e ci tocca attendere/quelli che prendiamo)/camminare su e giù/per la stessa strada,/per tutto il giorno cercare/quella parola scordata/e fermarsi agli incroci/a sentire il vento delle macchine/disgustati/da un ponte sputare nell’acqua torbida,/coi semi di zucca masticare le bestemmie/schiacciando il vuoto delle bucce,/e poi/all’imbrunire/trovarsi in fondo ad un viottolo smarrito tra le siepi/con le sbarre dirimpetto…/…guardare insù,/oltre il silenzio,/i fuochi d’artificio…
A ‘zonzo’ o ‘a vajon’, come si diceva una volta nelle nostre campagne, significava andare in giro alla scoperta del mondo lungo le carraie, o agli incroci delle strade polverose dei piccoli paesi, fermandosi a fare quattro chiacchiere con chi si incontrava in un confronto civile con gli altri. Mi piace riportare questa poesia “a vajon”[1] di Giovanni proprio perché in questi versi ci sento il travaglio di un ‘viaggio esistenziale-immaginario’ di una vita con tutto il simbolismo, l’ironia e la visione di un poeta dalla parola multietnica offrendo al proprio fruitore grandi vibrazioni e scuotendone l’abulia di rassegnato lettore perché, come annotavano i fratelli Grimm: “I Dialetti posseggono calore vitale, e non il calore dell’erudizione…”. E allora la Lingua Romagnola è ancora viva? Nella Lingua dei poeti possiamo dire subito di sì. Pensando a Giovanni Nadiani fin dal suo primo libro E’ sèch (del 1989), il dialetto, anche se oggi non si parla quasi più e tutto è cambiato, rimane ben vivo grazie ai numerosi e ottimi scrittori e poeti dialettofoni non solo romagnoli, e Giovanni Nadiani con il suo dialetto di Cassanigo di Cotignola ha saputo ben coglierne i cambiamenti con determinata passione e conoscenza, per cui la lingua del luogo diventa la lingua dei nomadi o lingua bastarda o dello ‘spaesamento’ in un mondo ormai globalizzato con un vasto mescolio di diversi idiomi. Quella di Nadiani è dunque una voce nuova e originale, una “voce critica”, non implicata, come dimostra tutta la sua opera, nei pruriti del localismo più spicciolo, avvalendosi anche di lingue lontane dalle nostre, come il tedesco, il fiammingo e di altri elementi quali la musica rock, il jazz, il teatro, ma senza mai dissociarsi dalle proprie origini.
L’originalità del Nadiani-Poeta prende le mosse anche da una necessità primaria di anti idillio perché nel suo dialetto di Cotignola egli fa da sempre confluire tutte le tensioni di una realtà degradata e contradditoria: quella del nostro presente globalizzato pieno di infamie antropologiche non meno che politiche, oltre che di futilità commerciali e pseudo-economiche, osservate dalla prospettiva marginale di una provincia assimilata con velocità sempre più vertiginosa ai vizi e ai vezzi di un Occidente allo sbando, deserto di memoria e di punti di riferimento.
Giovanni Nadiani è un poeta che ha fatto del proprio dialetto un fertile laboratorio di ricerca linguistica nel quale unisce alle forme espressive del vernacolo la felicissima vena di un linguaggio atavico unito a soluzioni inedite là dove l’autore abbassa il suo dire, quello della vita quotidiana, mescolandolo con la vocazione più lirica, tipica dei vecchi autori romagnoli ma secondo il principio della ricerca e di uno sperimentalismo linguistico nuovi. E come dice Alberto Bertoni nella sua prefazione all’opera: ANmarcurd? (Non mi ricordo, Ed. L’Arcolaio, Forlì 2015): “La lingua romagnola diviene nel suo solfeggio esperto e appassionato lo strumento poetico ideale a rappresentare faglie e ferite aperte fra vita personale del soggetto e vita collettiva della comunità entro la quale il poeta si muove e che per assurdo rimanda a Beckett e dall’altra al santarcangiolese Raffaello Baldini”. Allora anche per questo si può dire che Giovanni Nadiani è l’interprete più ragguardevole della generazione nata negli anni cinquanta, dopo Raffaello Baldini, Nino Pedretti, Tonino Guerra, Gianni Fucci, Giuliana Rocchi. Insomma il dialetto di Giovanni Nadiani è lontano da ogni nostalgia e da ogni sentimentalismo, distinguendosi per la sua forza critica e trasgressiva e di ampio respiro civile e sociale senza mai scadere nella retorica.
[1] Poesia pubblicata sul n. 12 della rivista Diverse lingue, Edizioni Campanotto-Udine – ottobre 1993 diretta da Amedeo Giacomini: uno fra i più noti poeti dialettali veneti, purtroppo scomparso da tempo.
©inTRAlinea & Davide Argnani (2019).
"Il dialetto di Giovanni Nadiani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
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