Suicido di un poeta etnico/ Suicide of an Ethnic Poet

Justin Vitello (2004)

Roma: Edizioni Cofine. pp. 160, € 10,00.

Reviewed by: Giovanni Nadiani

Ibrido di ossimori

Chi può misurare la beata “dannazione” del bilingue, il suo vedere il mondo con quattro occhi; la bellezza di coglierne le sfumature nella continua angosciante analisi contrastiva; la “maledizione” di essere/sentire in modo unico e di non poterlo veramente “dire” se non in due modi simili ma diversi, mai coincidenti fino in fondo; la sua doppia nostalgia di ciò che lascia alla partenza per un altrove coabitato; la ricchezza della sua casa/patria ampliata di questo altrove sì familiare ma che, eppure, resta tale; l’incommensurabile opportunità di vivere negli interstizi e nelle sinapsi di lingue/culture percependo quanto sfugge ai semplici abitanti di una parte soltanto della casa; i suoi pregi e difetti mescidati, le sue contraddizioni che non lo esimono dall’essere coscienza critica di quella doppia casa e quindi sempre messo alla/e porta/e perché a tutti fastidioso? Basterebbero queste domande a sottolineare la complessità presente “a monte” in ogni scrivente bilingue. Pochi sono però coloro che vi si avventurano facendo di essa una poetica di vita e dando ad essa una voce poetica – tanto più necessaria oggi che termini come multiculturalismo, meticciato ecc. sono sulla bocca di molti senza che si sia provato o tentato il significato dell’incontro/scontro con l’altro da sé, come invece fa Justin Vitiello, sessantenne poeta newyorkese d’origine napoletana nonché docente di italiano e di letteratura comparata alla Temple University di Philadelphia e di Roma e da sempre impegnato nei movimenti per i diritti civili e la pace, nel volume Suicido di un poeta etnico/ Suicide of an Ethnic Poet. Un libro veramente bilingue e non semplicemente con “testo originale a fronte”, poiché di testi originali – spesso anche nella disposizione grafica dei versi sulla pagina – in entrambe le lingue (inglese e italiano) si tratta, come sottolinea l’autore nell’introduzione e come può notare qualsiasi lettore attento. Nella nota introduttiva alla raccolta Vitiello, polemizzando di passata col mondo editoriale americano e spiegando il perché ha scelto di pubblicare in Italia il volume in questione, dà al lettore alcune importanti indicazioni di poetica che, stante anche il clima che si respira nell’italico ambiente poetante, risultano alquanto coraggiose e fuori del coro. “Al di là eppure nell’ambito della mia poetica anarchica, considero la mia opera come “politica” nel senso aristotelico di umanità inseparabile da una polis – nel mio caso, la comunità dei cittadini del mondo – e alla luce della concezione oraziana della poesia come forma d’arte sociale che deve delectare et prodess. […] Ma utile e dolce(amaro) a che scopo? Forse per concretizzare le dissonanze di questa epoca, e trovare modi immaginosi per liberarla dalla globale dissennatezza suicida? O forse allo scopo di usare mezzi d’arte per ‘scatenarsi contro il morire della luce’ (Dylan Thomas) della coscienza che affligge questo nuovo secolo, genocidi quanto quello precedente… A rischio di sembrare banale, voglio insistere che la mia visione poetica è visione di solidarietà con i Miseri della Terra (vedi Franz Fanon) e di semplice amore per la giustizia umana e sociale”. Ma che non si pensi che ci troviamo di fronte a una pacchiana poesia politica o engagée in senso deteriore. Il dolore rabbioso di fondo e l’empatia con i miseri (ad es. i migranti), di cui l’io lirico si fa carico, udibili nel tono generale delle composizioni sono continuamente filtrati da un’amara ironia e auto-ironia (di quell’abitatore della casa doppia di cui si diceva), emblematicamente espressi nella poesia che dà il titolo al libro:

me, hybrid of oxymora – gladly glandular just to be(come) – moron since utopian – […] io, ibrido di os- simori – ghiandolarmente gioioso di es- sere e divenire – utopico perché lunatico – […] nothing will me mine for I’ve grown in too many mazes where I’ve cut threads and killed no beasts but my own…[…] non avrò mai niente perché sono cresciuto in troppi labirinti dove ho tagliato fili senza uccidere altre bestie che le mie…[…]

La sapienza intertestuale di ogni singolo testo, la capacità innata del neologismo necessario, mai fine a sé stesso, e l’assoluta naturalezza di ogni accorgimento poetico (allitterazioni, assonanze, paronomasie, onomatopee, ecc.) in entrambe le lingue conferiscono alla scrittura di Vitiello quell’ “utile dolcezza”, quell’amaro, indispensabile piacere troppo spesso mancante a troppa lirica contemporanea. In questo senso si può dire che il desiderio espresso dal poeta in esergo al libro, ripreso e modificato dal ritornello di una nota canzone popolare (“mamma, mammà / dammi cento euro / che in italia / vurrìa turna’”) si sia realizzato: Vitiello è a tutti gli effetti una voce importante del panorama poetico italiano contemporaneo: dovrebbe soltanto essere adeguatamente ascoltata. Questo libro, inoltre, per quella sua specifica operazione di “due testi originali a fronte” in cui confrontare le due diverse storie di un unico essere/sentire, in cui verificare come questi interpreti sé stesso di volta in volta in modi sempre nuovi e con riferimenti culturali e soluzioni traduttive inimmaginabili per un semplice Nachdichter, meriterebbe di rientrare tra le letture (piacevolmente) obbligatorie nei corsi di studi interculturali e nelle scuole di traduzione.

©inTRAlinea & Giovanni Nadiani (2005).
[Review] "Suicido di un poeta etnico/ Suicide of an Ethnic Poet", inTRAlinea Vol. 7
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/1075

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