Translation as Stylistic Evolution: Italo Calvino Creative Translator of Raymond Queneau
Federico Federici (2009)
Amsterdam/New York, Rodopi (Approaches to Translation Studies), XVI, 302 pp.
Reviewed by: Angela Albanese
Tradurre i fiori: Calvino e Queneau
Nel numero di «Paragone letteratura» del dicembre 1963, in risposta al giudizio severo di Claudio Gorlier sulla traduzione di Passagge to India di Forster realizzata da Adriana Motti per Einaudi, Italo Calvino interviene in qualità di collaboratore della casa editrice con una lettera al Direttore che diventa anche occasione per esprimere alcune riflessioni preziose sulla critica della traduzione letteraria. Scrive Calvino:
Più che mai oggi è […] sentita la necessità d’una critica che entri nel merito della traduzione. Sentono questa necessità i lettori, che vogliono sapere fino a che punto possono dar credito alla bontà del traduttore e alla serietà della sigla editoriale; la sentono i traduttori buoni che prodigano tesori di scrupolosità e d’intelligenza e nessuno gli dice mai: bah! […] Ma se la critica prende l’abitudine di stroncare una versione in due righe, senza rendersi conto di come sono stati risolti i passaggi più difficili e le caratteristiche dello stile, senza domandarsi se c’erano altre soluzioni e quali, allora è meglio non farne niente. […] L’indagine critica su una traduzione dev’essere condotta in base a un metodo, sondando specimen abbastanza ampi e che possano servire da pietre di paragone decisive. (Calvino 1995: 1776-1779)
Il bel volume di Federico Federici che affronta l’analisi di Calvino traduttore, e nello specifico di Calvino traduttore di Queneau, rende piena giustizia alla esigenza, rilevata dal suo autore, di una critica responsabile della traduzione, metodologicamente fondata, che non si limiti alla verifica semplicistica della maggiore o minore “fedeltà” della traduzione rispetto al testo di partenza, ma che sia invece più utilmente interessata a ricercare le ragioni interne degli “scarti” fra i due testi, ad indagare le dinamiche culturali, storiche e di poetica che hanno influenzato il lavoro del traduttore. Il saggio di Federici non solo interpreta perfettamente le sollecitazioni e l’auspicio di Calvino, ma rende anche giustizia alla sua attività di traduttore ancora poco indagata seppure affatto trascurabile, intervenendo a colmare un vuoto critico nel pur vastissimo panorama di studi dedicati all’opera calviniana: se innumerevoli sono infatti le pubblicazioni, anche di carattere internazionale, che hanno approfondito la poetica dello scrittore e l’altrettanto fervida attività del saggista, del giornalista e del collaboratore editoriale, lo stesso non può dirsi di ricerche più specifiche e dettagliate intorno al lavoro del traduttore. Fanno eccezione i pochi contributi, tutti peraltro meritori, che precedono la pubblicazione di Federici e che, rispetto a questo saggio, si ritagliano spazi differenti e talvolta più circoscritti, privilegiando un’analisi strettamente linguistica delle traduzioni di Calvino (Taddei 1993), oppure concentrandosi sulle sue prove di traduzione di poesia dal francese con esclusione perciò di Les Fleurs bleues (Stephens 1997), o ancora, delimitando l’indagine ai saggi teorici che Calvino dedica alla traduzione (Nocentini 2006) o infine, seppure con l’attenzione rivolta alla riscrittura calviniana di Les Fleurs bleues (Eruli 2008), mettendone a fuoco principalmente le deviazioni rispetto al testo di Queneau in una rilettura in termini di oulipiana Letteratura Potenziale (tutti i contributi sono esaminati in Federici 2009: 40-49).
Mancava dunque un’indagine che, come anticipa il titolo del libro di Federici, approfondisse il ruolo giocato dalla traduzione calviniana di Les Fleurs bleues all’interno del più ampio percorso narrativo e metanarrativo dello scrittore, un ruolo che rimane imprescindibile per poter dare conto sia di alcune sue scelte stilistiche che dell’evolversi degli indirizzi di poetica. E un’adeguata attenzione critica si rendeva tanto più necessaria se si considera che la frequentazione di Calvino con la traduzione non è per nulla occasionale: basterà ricordare la sua traduzione di Ponge, le collaborazioni con Quadri e Solmi nelle traduzioni di Queneau ancor prima di iniziare a tradurne il romanzo Les Fleurs bleues, la riscrittura in lingua italiana di un corpus di duecento fiabe rappresentative delle diverse regioni d’Italia raccolte nel volume Fiabe italiane del 1956, i saggi teorici: Sul tradurre (1963), Furti ad arte (Conversazione con Tullio Pericoli, 1980), Tradurre è il vero modo di leggere un testo (1985), e poi la riscrittura in prosa dell’Orlando Furioso di Ariosto del 1970 e, di nuovo, il ritorno a Queneau nel 1985 con la traduzione di Le chant du Styrène per la quale Calvino avrebbe chiesto aiuto a Primo Levi, al chimico più che allo scrittore, in merito alla resa dei termini tecnici con cui indicare le fasi della fabbricazione degli oggetti in plastica.
Il saggio di Federici raccoglie il carico delle svariate esperienze traduttive di Calvino e lo innesta nel più ampio orizzonte della sua poetica, proponendosi di verificare, attraverso il continuo e diretto confronto con i testi, in che misura la traduzione di Queneau abbia concorso a consolidare un cambiamento di prospettiva nella concezione calviniana del linguaggio e un conseguente mutamento della sua cifra stilistica. Il volume si articola in due sezioni. La prima parte (cap. 1-4), dal titolo Translation and the Intellectual Worlds of Calvino and Queneau, offre una solida ricostruzione teorica dell’orizzonte culturale e ideologico di Queneau e di Calvino, dando conto in maniera dettagliata sia dei punti di contatto che delle divergenze fra le due poetiche e mettendole in relazione con le esperienze traduttive dei due autori. In questa prospettiva, un punto di partenza privilegiato è rappresentato dalla adesione di Calvino al gruppo dell’Oulipo, l’officina della letteratura potenziale fondata da Queneau, a cui è dedicato il primo capitolo. Dopo aver illustrato le circostanze che hanno portato all’ingresso ufficiale di Calvino all’interno del gruppo francese, peraltro fortemente caldeggiato da Queneau che in lui aveva riconosciuto un Oulipiano ante litteram (4), il saggio ripercorre la storia dell’Oulipo, rilevandone le principali caratteristiche di poetica, prima fra tutte il ricorso a procedimenti di composizione letteraria tramite giochi matematico-combinatori, e il contributo decisivo apportato da Queneau al consolidamento del gruppo. Altrettanto determinante doveva rivelarsi sia per Queneau che per Calvino l’apporto della Patafisica di Alfred Jarry e la concezione, condivisa da entrambi gli autori, della letteratura come frutto di perizia artigianale e dello scrittore come artigiano della parola.
Nel secondo capitolo, Calvino’s views on literature and translation, Federici accompagna il lettore nella lettura critica dei più rilevanti saggi di Calvino sul tradurre, sia precedenti che successivi alla sua versione italiana di Les Fleurs bleues del 1967, per arrivare a documentare l’idea calviniana della traduzione come autentico atto interpretativo e come riscrittura creativa dei testi, in perfetta consonanza con Queneau e con la sua concezione della traduzione. Se il terzo capitolo fornisce un necessario quadro teorico dello stato degli studi sulla traduzione sin dagli anni ’60, evidenziando l’influenza che questi, insieme alle contemporanee prospettive della linguistica, hanno esercitato sulla teoria e sulla pratica della traduzione di Calvino, il quarto capitolo, come si evince dal titolo Queneau’s views on literature and translation, è speculare al secondo sia nel ripercorrere l’esperienza di Queneau come traduttore che nel delineare le peculiarità del sua concezione della traduzione, analoga per molti versi a quella di Calvino. Nella seconda sezione del volume (cap. 5-8), Calvino’s Creative Translation of Queneau’s Les Fleurs bleues, Federici entra nel merito della traduzione e, con un’analisi rigorosa delle scelte traduttive di Calvino, ne verifica la coerenza con gli assunti teorici precedentemente esposti. Prima di procedere con l’analisi comparata del romanzo francese e della sua traduzione italiana, che occuperà in maniera articolata i tre capitoli finali del volume, nel quinto capitolo dal titolo Comparing ST and TT: an outline of the methodology Federici esplicita responsabilmente una possibile cornice teorica e metodologica a supporto del lavoro sui testi. L’autore ribadisce che l’obiettivo non vuole essere quello di esprimere sbrigativi giudizi sull’abilità del traduttore (135, 139), quanto invece quello di fornire, come fa nel sesto, settimo e ottavo capitolo, una descrizione delle procedure traduttive adottate da Calvino, per la quale fa ricorso alle categorie terminologiche di Taylor (1998) e Newmark (1988/2003). Tale analisi descrittiva gli consente di isolare almeno tre aspetti che ricorrono sia nella poetica di Queneau che in quella calviniana, tanto più persistenti in Les Fleurs bleues, ossia l’accentuata intertestualità con l’inserimento di rimandi letterari di ogni tipo (cap. 6), la riflessione sul rapporto dell’individuo con la Storia (cap. 7), e il ricorso ad un genere popolare come il thriller (detective story) che Queneau riscrive in chiave parodica e postmoderna (cap. 8). Dall’individuazione di questi argomenti prende avvio l’indagine testuale tesa a verificarne gli effetti di resa in traduzione. E se Queneau ottiene l’esito di pastiche e di parodia del genere postmoderno della detective story attraverso la combinazione di un registro linguistico alto e di lunghi innesti dialettali, di termini del gergo popolare e di regionalismi, lo stesso non può dirsi che avvenga nella versione italiana: rispetto alle espressioni gergali e ai regionalismi del francese, Calvino privilegia un italiano il più possibile vicino allo standard, ripulito dalle forme dialettali e poco propenso a lasciare spazio al colore delle espressioni locali con cui pure lo scrittore aveva mostrato non poca dimestichezza durante la sua traduzione italiana delle fiabe regionali.
Proprio nel 1956, nell'ampia introduzione alla raccolta Fiabe italiane, in cui dichiarava le strategie e i criteri adottati nel lavoro di riscrittura della tradizione fiabesca dialettale, Calvino era ancora molto interessato alla forza espressiva del dialetto che voleva in qualche modo preservare nella traduzione:
Scegliere le versioni più belle, originali e rare; tradurle dai dialetti in cui erano state raccolte […]; arricchire sulla scorta delle varianti la versione scelta, quando si può farlo serbandone intatto il carattere, l'interna unità, in modo da renderla più piena e articolata possibile; integrare con una mano leggera d'invenzione i punti che paiono elisi o smozzicati; tenere tutto sul piano d'un italiano mai troppo personale e mai troppo sbiadito, che per quanto possibile affondi le radici nel dialetto. (Calvino 1960: XXXII)
A quell’italiano che “per quanto possibile affondi le radici nel dialetto”, Calvino vorrà sostituire, proprio negli anni immediatamente precedenti la traduzione di Les Fleurs bleues e qui in polemica con Pasolini difensore dell’autenticità dei dialetti, “un ideale linguistico” di un italiano “il più possibile concreto e il più possibile preciso” (Calvino 1995: 153), vale a dire una lingua “moderna”, pienamente traducibile e capace realmente di essere comunicativa, di contro sia all’uso autoreferenziale e circoscritto del dialetto, sia a quella che definiva l’”antilingua”, fatta di “espressioni astratte e generiche”, perciò “incomunicabile e intraducibile (ivi: 153-159).
La strategia traduttiva adottata da Calvino ne I fiori blu, dunque, non solo rivela l’assoluta visibilità del traduttore, ma è anche del tutto coerente con la sua poetica e della sue riflessioni sulla lingua che si vanno consolidando proprio negli anni in cui traduce il romanzo francese e che, tutto sommato, “calvinizzano lo stile di Queneau invece di limitarsi a tradurlo” (Federici 2007: 96). Federici può così concludere che, se la traduzione calviniana rimane strettamente aderente e condivide i contenuti e i temi del romanzo francese, se ne allontana visibilmente dal punto di vista delle scelte linguistiche e del personalissimo registro stilistico impiegati, venendosi ad innestare, come efficace esperimento, nel più generale contesto di evoluzione poetica di Calvino. Oltre ad una esauriente bibliografia, completano il libro tre appendici: nella prima (A) si riporta la Nota del traduttore che Calvino acclude alla seconda edizione de I fiori blu del 1984, nella seconda (B) la stessa Nota si dà in traduzione inglese e infine la terza appendice (C) è costituita da un’utile e dettagliata tabella sinottica che integra l’elenco delle peculiarità lessicali e dei nodi testuali (giochi di parole, riferimenti intertestuali) individuati da Pouilloux nel suo studio su Les Fleurs bleues con le corrispondenti scelte e strategie traduttive di volta in volta adottate da Calvino.
Proposito del volume, che si distingue per la coerenza dell’esposizione e per il rigore dell’analisi, era di suggerire, attraverso una lettura in parallelo dei due testi, una correlazione fra la traduzione calviniana del romanzo di Queneau e l’evoluzione della sua poetica, oltre che documentare l’acuta e solida riflessione di Calvino sulla traduzione letteraria. In entrambi i casi l’obiettivo sembra essere stato raggiunto. Per di più, la redazione del saggio in inglese non solo ne facilita la circolazione, ma conferma e ribadisce implicitamente l’internazionalità dell’opera di Italo Calvino, che rimane fra gli autori italiani maggiormente tradotti all’estero, fra i più versatili e rappresentativi del nostro Novecento.
Riferimenti bibliografici
Calvino, Italo, 1995, Saggi, Milano, Mondadori.
Calvino, Italo, 1960, Fiabe italiane, Torino, Einaudi.
Eruli, Brunella, 2008, La traduzione come furto con scasso, in ARAGONA, Raffaele (ed.), 2008, Italo Calvino, percorsi potenziali, Lecce, Manni, pp. 103 - 119.
Federici, Federico M., 2007, Italo Calvino comincia a tradurre Raymond Queneau: la traduzione creativa di un incipit, in “The Italianist”, 27(1), pp. 80-98.
Newmark, Peter, 1988/2003, A textbook of Translation, London, Prentice Hall.
Nocentini, Claudia, 2006, Tradurre è il miglior modo di leggere un’opera: Calvino e la traduzione, in Van Den Bossche, Bart et al. (eds.), 2006, Italia e Europa: dalla cultura nazionale all’interculturalismo, 2 voll., Firenze, Cesati, pp. 229-235.
Stephens, Joanna, 1997, Italo Calvino and French Literary Culture, D.Phil. thesis, University of Oxford.
Taddei, Silvia, 1993, Calvino traduttore: I fiori blu, in Falcetto, Bruno e Clerici, Luca (eds.), 1993, Calvino & l’editoria, Milano, Marcos y Marcos, pp. 95-119.
Taylor, Christopher, 1998, Language to Language: a Practical and Theoretical Guide for Italian/English Translators, Cambridge, Cambridge University Press.
©inTRAlinea & Angela Albanese (2010).
[Review] "Translation as Stylistic Evolution: Italo Calvino Creative Translator of Raymond Queneau", inTRAlinea
Vol. 12
This review can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/1093