Nonsense e traduzione
"I dilemmi del traduttore di nonsense" (Il lettore di provincia, anno XLIII fascicolo 138, gennaio/giugno 2012)
a cura di Franco Nasi e Angela Albanese (2012)
Ravenna: Longo Editore, pag. 184, €. 20,-
Reviewed by: Elisabetta Tarantino
Questo volume nasce dal convegno “Two bees or not two bees. Sui dilemmi del traduttore di nonsense, parodie e filastrocche”, tenutosi a Modena nel settembre del 2011 e organizzato dal “Dipartimento di studi linguistici sulla testualità e la traduzione” dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il testo offre un’agile panoramica del nonsense che tratta di alcune pietre miliari del genere, mettendole a confronto con vari tentativi di renderle in lingua straniera.
L’introduzione di Franco Nasi asserisce il carattere di “traduzioni pericolose”, equivalente degli sport estremi, delle versioni di testi nonsensici, rassicurandoci, però, nel discutere della poesia realizzata da Alfredo Giuliani sulla scorta della traduzione italiana della famosa pseudo frase di Noam Chomsky (“colorless green ideas sleep furiously …”), con l’osservazione che “capita che la traduzione anziché togliere forza a un testo, a volte finisce per dare senso a un nonsenso.”
Nel primo dei dodici capitoli che costituiscono il volume, Jean Jacques Lecercle, una delle maggiori personalità nel campo dello studio dei meccanismi del nonsense letterario, analizza “I dilemmi del nonsense”, mettendo in evidenza la relazione simbiotica tra senso e nonsense facendo riferimento a un episodio raccontato in un saggio di Giuseppe Pontiggia avente come protagonista la non-frase “Ah” e al concetto di case vide in Deleuze, prima di passare a una discussione del sens deleuziano. Da ciò Lecercle trae tre conclusioni: “il significato deriva dal senso/non-senso in virtù del suo essere riconducibile al senso comune o buon senso, e con il rischio di essere da esso continuamente sovvertito”; il nonsense letterario non è un genere marginale, ma al contrario “è la migliore illustrazione del senso secondo quanto teorizzato da Deleuze”; nei testi nonsensici, “la proliferazione del senso virtuale che li caratterizza è un incitamento costante a interpretare e pertanto a tradurre”, per cui “[un] testo nonsensico è, anche dal punto di vista della traduzione, l’emblema stesso di ciò che è un testo letterario, di ciò che è un grande testo”.
Simona Mambrini, nel capitolo “La nonna di Rodari: mutazioni francesi”, prende l’avvio da alcuni tentativi di tradurre in italiano il gioco “grammaire” - “grand-mère” nelle Femmes savantes di Molière, per poi passare a discutere di come in Gianni Rodari le storie nascano dalla lingua, anziché viceversa, e delle strategie applicate di conseguenza da alcuni traduttori francesi di tale autore. Si avverte, in questa discussione, l’importanza dell’elemento pragmatico, di questioni di funzionamento, in quanto il criterio discriminante viene ripetutamente indicato come il fatto che il testo non debba “incepparsi”. La traduzione francese della Grammatica della fantasia di Rodari richiede che lettura e applicazione vadano di pari passo: “occorre tradurre le istruzioni per creare con il linguaggio mettendole contemporaneamente in pratica” cosicché “il nonsense e i giochi di parole, per definizione intraducibili, possono diventare per assurdo i testi più profondamente traducibili proprio perché sono da reinventare: l’equivalente da trovare sta nel sistema di scrittura, negli ingranaggi stessi della lingua.” Di conseguenza, al traduttore viene concessa una certa “libertà”, seppure “vigilata”.
Dello stesso autore si occupa anche Franco Nasi nel suo capitolo “Traduzioni estreme e sci fuori pista: intorno a una filastrocca di Rodari”, intrepidamente fornendo i vari passaggi della realizzazione di una propria traduzione in inglese di una filastrocca di Rodari per riflettere “da una parte, sulle nozioni di creatività e vincolo, e, dall’altra, su alcune forze”, come “caso, amore, logica” (con riferimento a C. S. Peirce) che intervengono in una traduzione “estrema” com’è quella del nonsense. Con ciò Nasi compie un’operazione sicuramente interessante, e anche laddove si vorrebbe mettere in forse la legittimità di alcune scelte, ipso facto ci si trova costretti a riflettere sul concetto stesso di legittimità in questi casi, e di cosa possa conferire autorità al riguardo. Non posso, però, esimermi dal confermare come la pericolosità di certi slalom sia dovuta anche alla sdrucciolevolezza delle regole di ogni lingua (mai dire mai, mai dire sempre…): Nasi cita il verso leopardiano “Dolce e chiara è la notte e senza vento” per asserire che, invece, “(i)n inglese non c’è modo di iniziare la frase con l’aggettivo” - ma John Keats e Francis Scott Fitzgerald probabilmente avrebbero qualcosa da obiettare. Il saggio di Nasi contiene inoltre un’utile tipologia dei vincoli a cui è soggetto un traduttore di nonsense e nell’ambito dei quali è costretto a operare una scelta, e conclude stipulando che la traduzione, anche quella del nonsense, “dovrebbe operare … non privilegiando un singolo vincolo in modo pregiudicato (sia esso il senso lessicale, la composizione sonora, o la formulazione metaforica), ma compattando i numerosi elementi, in modo da formare con tanti nuovi fili ‘intimamente collegati’ una robusta fune”.
Il capitolo di Silvia Cacchiani, “Mimsy e Mélacri: tradurre la creatività morfologica nei viaggi di Alice”, analizza un certo numero di “formazioni di parola creative, espressione di immaginazione, fantasia e language play” in una serie di traduzioni italiane di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio comprese tra il 1950 e il 2003. Si tratta di un ammirevole tour de force tecnico, al quale si potrebbe forse solo obiettare che l’omofonia tra “Tortoise” e “taught (us)” è ancora più perfetta se non si omette il pronome dal confronto dei due termini. L’articolo analizza “due tipi principali di creazioni morfologiche”: la modificazione di forme specifiche e il blending lessicale, concludendo che “[n]essun atto creativo è … libero da vincoli” e che la sollecitazione a sciogliere il mistero dei blend fa parte del gioco ed è un invito a “trovare il senso nascosto del nonsense”.
Caterina Sinibaldi, in “Il nonsense del regime: tradurre Alice durante il ventennio fascista” svolge una capillare indagine sul contesto in cui nascono e operano due traduzioni dei testi di Lewis Carroll pubblicate sotto la dittatura fascista, testi giudicati pericolosi dal regime in quanto contrari “alla naturale razionalità del bambino italiano” (o magari alla razionalità - o odio dell’estro e del diverso - che il regime avrebbe voluto instillare nel bambino italiano?) Pur giungendo alla poco sorprendente rilevazione che “(i)l potenziale sovversivo del Paese delle Meraviglie, come uno spazio che mette in discussione identità, autorità e convenzioni sociali, è reso inoffensivo” nelle due traduzioni del ventennio fascista prese in esame, l’articolo conclude che, ciononostante, qualcosa di tale potenziale permaneva, anche solo per virtù dell’immissione stessa della traduzione di questo testo nell’Italia fascista.
In “Strade con e senza uscita: immagini come cartelli stradali nei percorsi traduttivi del nonsense”, Annalisa Sezzi analizza alcuni limerick di Edward Lear e alcune poesie dell’artista americano Shel Silverstein come testi multimediali, corredati da illustrazioni che agiscono da “vincoli paratestuali” (Nasi). Questo pur interessante saggio avrebbe beneficiato in particolare di un raffronto con un parlante di madrelingua inglese (“tug”, nell’espressione inglese che indica il tiro alla fune, si riferisce al “tirare”, non alla “fune”), il quale avrebbe forse anche rivelato, con un sorriso, come la dimensione ludica dell’immagine del “marziano” con la testa al posto del fondoschiena che illustra un testo di Silverstein sia fortemente incrementata dal fatto che in inglese il termine più comune e volgare per indicare il fondoschiena faccia rima proprio con “Mars”.
Il capitolo di Angela Albanese, “Tricche varlacche e altri incantamenti nelle traduzioni del Cunto di Basile”, compie “un’indagine intorno al ‘non-sense effect’ [Zaccarello] provocato dalla scrittura barocca di Basile, per verificarne gli esiti traduttivi in alcune trasposizioni dal dialetto napoletano all’italiano e all’inglese.” L’analisi non trascura gli aspetti fonici e l’apprezzamento formale dei testi presi in esami, in linea con il carattere anche di oralità dell’opera di Basile. Particolarmente interessante risulta il riferimento alla traduzione di Benedetto Croce, caso in cui autore e traduttore sono caratterizzati da temperamenti fondamentalmente opposti.
Mentre l’articolo di Angela Albanese si concentra su problemi formali delle traduzioni da lei esaminate (a partire da quella di Richard Burton del 1893), il capitolo di Daniela Sorrentino (“Tricke, Warlacke, Klopferdibopfer: versioni tedesche delle magie del Cunto de li cunti”) tratta, nella prima parte, del problema della distanza che si era creata tra la sensibilità morale dell’Ottocento (periodo a cui risalgono le prime traduzioni prese in esame da entrambe le autrici) e “lo stile audace e diretto di Basile”. (In realtà, che il problema potesse porsi anche per la versione italiana di Croce lo dimostrano alcuni esempi qui citati, in cui il linguaggio più “moderato” delle prime versioni tedesche in effetti traduce la già più pudica versione crociana.) Nella seconda parte, la Sorrentino si riallaccia direttamente al capitolo precedente, trattando delle versioni tedesche della stessa filastrocca lì analizzata nelle traduzioni inglesi.
Segue il saggio “Come si piega il lupo mannaro senza uccidere il pesce che canta. Tradurre il nonsense”, in cui Ernst Kretschmer, dopo aver accennato al parallelo tra i meccanismi onirici e quelli del nonsense (spostamento, condensazione, drammatizzazione), analizza quattro traduzioni spagnole e francesi (più una inglese, particolarmente riuscita, di Max Knight) del Werwolf di Christian Morgenstern, sulla base del principio che, per una traduzione di successo, “il traduttore si deve attenere ai risultati dell’interpretazione”. Il capitolo si conclude con una breve sezione sul Fisches Nachtgesang, “la più profonda poesia tedesca”, in cui Knight sembra invece essere incorso in un basilare errore.
Al capitolo di Marco Cipolloni, “Ramón Gómez de la Serna tra le ‘corbellerie’ di Palazzeschi e la ‘gloriola’ di Pascoli”, che discute della figura di Gómez de la Serna in quanto “fanciullino divenuto enfant terrible” e propone il termine “corbellerie” come traduzione di “greguerías”, il genere letterario creato dall’autore spagnolo, si affianca quello di Elena Rolla (“Le idee dal naso: un’edizione illustrata delle greguerías di Ramón Gómez de la Serna”), la traduttrice che ha dato vita a un’edizione delle greguerías per la casa editrice Giralangolo, con illustrazioni di Allegra Agliardi, dal titolo I bambini cercano di tirarsi fuori le idee dal naso. Essendo il libro nato da una sua proposta, le illustrazioni sono state create sulla scorta della selezione di testi operata per la traduzione italiana, rimuovendo uno dei potenziali perniciosi vincoli per il traduttore di nonsense. L’originale non si rivolgeva a uno specifico gruppo di lettori, mentre questa traduzione si propone come libro per bambini, per cui l’inserimento nella postfazione di alcune greguerías sul tema ramoniano della vita e della morte (del tipo “L’importante nella vita è non essere morti”) è stata un’operazione particolarmente coraggiosa. La Rolla fornisce tre importanti elenchi: uno di pronunciamenti di Gómez de la Serna sul concetto di “greguería”, inclusa la sua definizione più famosa: “umorismo + metafora”. L’autrice ci tiene a puntualizzare che, a differenza dei surrealisti, Gómez de la Serna “non arriva quasi mai all’estremo di spezzare l’ultimo anello logico tra due cose diverse”. Segue poi un elenco di greguerías incluse nel volume, con relativa traduzione, dove quello che colpisce il lettore è il carattere fortemente visivo, adattissimo all’illustrazione, di questi aforismi, nonché come quella congiunzione di umorismo e significato più profondo di cui parla bene la Rolla risulti evidente nella bella greguería: “Baciava lentamente, così i suoi amori duravano di più”. L’ultimo elenco riporta alcune greguerías escluse per problemi di traduzione (ad esempio, perché si sarebbe perso il gioco di parole) o culturali di vario tipo.
Anche l’ultimo intervento del libro è all’insegna della pratica della traduzione. Nel capitolo “Pedinare Dahl, Lennon e gli altri: indagini sul nonsenso”, Riccardo Duranti fornisce due pagine e mezza di discussione, in cui, in risposta alla domanda se abbia senso “rendere in un’altra lingua il senso di una cosa che non ha senso neanche in quella originale”, consiglia di “far ricorso alla logica fuzzy e stabilire sfumature e percentuali di allontanamento dal senso o di assenza di senso che sono relative a ogni testo che, consciamente o meno, decide di rinunciare al confortante equilibrio del senso comune.” Seguono undici pagine di esempi concreti di “esercizi ‘destabilizzanti’”, ovvero di traduzioni di situazioni estreme, che Duranti usa nelle sue lezioni di traduzione.
L’insieme di questi studi e le bibliografie, tanto dei singoli capitoli quanto quella generale curata da Angela Albanese, saranno sicuramente un utile strumento per gli studiosi del nonsense e/o della traduzione. Si poteva forse curare un po’ di più gli aspetti editoriali, soprattutto nei riferimenti bibliografici, e magari in un paio di casi controllare le proprie asserzioni riguardanti alcuni elementi linguistici inglesi con parlanti di madrelingua. Ma in complesso si tratta sicuramente di un contributo importante per gli studi sul nonsense e sulla traduzione: come ribadito in vari modi in questo volume, il nonsense mostra la lingua sotto sforzo, e in questi casi i meccanismi diventano più evidenti e studiabili, cosicché lo studio della traduzione del nonsense può dare preziose indicazioni per lo studio della traduzione tout court.
©inTRAlinea & Elisabetta Tarantino (2013).
[Review] "Nonsense e traduzione", inTRAlinea
Vol. 15
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