Questioni traduttologiche contemporanee: dalla teoria linguistica alle teorie femministe della traduzione

La Selva de la Traducción. Teorías traductológicas contemporáneas.

Virgilio Moya (2010. Terza edizione)

Ediciones Cátedra, Madrid, 241 pp, 13,40 ISBN: 978-84-376-2118-0

Reviewed by: Giuseppe Trovato

Gli Studi sulla Traduzione o Traduttologia, conosciuti nel panorama internazionale come Translation Studies, hanno ormai raggiunto una propria autonomia e fertilità nell’ambito della ricerca scientifica e godono, già da qualche decennio, di un’identità ormai consolidata. Non mancano oggi opere bibliografiche di rilievo (monografie, articoli su riviste specializzate nazionali e internazionali, studi empirici, contributi scientifici, saggi e recensioni) che non abbiano sviscerato tutte le problematiche insite nel processo traduttivo nonché affrontato in dettaglio le questioni relative alla nascita, all’evoluzione e le prospettive future in campo traduttivo.
Parlare di teoria della traduzione vuol dire addentrarsi in un acceso dibattito al termine del quale sarà impossibile, se non poco auspicabile, approdare a una uniformità di consensi circa la natura, la sostanza e i risultati della materia trattata: tradurre significa operare una trasposizione intra e interlinguistica, immergersi in un’alterità di modelli letterari, forme linguistiche e culturali, contenuti, idee e convenzioni che seminano l’atto traduttivo di insidie, tranelli e pericoli di varia natura.
Va inoltre sottolineato che non sempre la pratica traduttiva è stata accompagnata e supportata da un’adeguata riflessione traduttologica, come se l’attività pratica e professionale del tradurre fosse un fenomeno slegato rispetto alle “regole” esposte nei classici manuali e prontuari sulla traduzione.
Nel panorama traduttologico italiano, ricco di interessanti studi e ricerche in materia, le opere di Bruno Osimo Storia della Traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei (2002) e Manuale del Traduttore (2003) rispettivamente, hanno indubbiamente contribuito al consolidamento della traduzione intesa come disciplina autonoma, facendo luce sui meccanismi che stanno alla base della pratica traduttiva, gli strumenti a disposizione di colui che effettua la trasposizione linguistica, e le teorie traduttive più significative che hanno contrassegnato l’evoluzione della disciplina in oggetto. In particolare, il merito di Osimo è stato quello di abbattere quel muro che per numerosi decenni ha separato la teoria della traduzione dalla sua pratica a livello didattico e/o professionale.
Alla luce di questa breve introduzione, che ci fornisce una base teorica ai fini del presente contributo, possiamo procedere con la recensione del testo La Selva de la Traducción. Teorías traductológicas contemporáneas la cui terza edizione (quella che ci interessa) è apparsa nel 2010. L’opera è di Virgilio Moya, studioso della traduzione in ambito ispanico nonché autore di numerosi contributi in ambito traduttologico. In questo manuale l’autore si propone di operare un breve excursus storico e teorico relativo alle maggiori teorie e correnti traduttologiche che hanno caratterizzato lo sviluppo della scienza della traduzione e plasmato la maggior parte degli studi e ricerche oggi a disposizione di studiosi e ricercatori che si interessino di traduzione, mediazione linguistica e comunicazione interculturale.
Il titolo dell’opera è di per sé emblematico: si usa il termine Selva, quasi a volere indicare una moltitudine confusa di concetti o nozioni all’interno della quale occorre stabilire dei confini e mettere ordine. Un’altra interpretazione del titolo, plausibile a nostro avviso, è legata all’uso che veniva fatto del termine “selva” in ambito letterario: denominazione che si attribuiva a raccolte di appunti, o a libri che raccoglievano pensieri, passi di autori intorno a vari argomenti. Difatti, per stessa ammissione dell’autore, il manuale si configura come una dissertazione cronologica e sistematica delle maggiori teorie traduttologiche contemporanee e, tuttavia, è opportuno precisare che (p. 11):

Los capítulos que siguen a continuación no pretenden englobar todos los enfoques traductológicos contemporáneos, que desde los años sesenta hasta ahora se han multiplicado vertiginosamente, pero sí los más significativos. Su repaso seguirá un orden cronológico en la medida en que nos sea posible, y dialéctico en el sentido de que cada uno de los intentos teóricos no se verá de forma aislada sino en relación con los demás.

E data la complessità della “missione” che l’autore si accinge a compiere, risulta doveroso puntualizzare che:


[...] necesitaremos algo más que orden y dialéctica para adentrarnos en este selvático terreno. Cuando un paradigma resulta fallido e incapaz de explicar lados ocultos de la realidad traductora pronto es sustituido por otro que parece explicarlos de manera más satisfactoria. Así que hoy son tantas y tan diversas las teorías en torno a la práctica de la traducción que puede dar la impresión de que nos encontramos en el escenario de una segunda Babel.


Sin dalle primissime pagine del testo Virgilio Moya (p. 9) chiarisce con precisione il ruolo che la traduzione ha giocato desde la noche de los tempos e quali operazioni doveva effettuare il traduttore:


Aunque los comienzos de la actividad traductora se funden, como hemos dicho, con la noche de los tiempos, la teoría de la traducción es algo nuevo, tan nuevo como el siglio XX. Y tal vez su corta vida se deba al carácter secundario que las diferentes culturas le han asignado al fenómeno de la traducción, reservando así el calificativo de primario sólo para el original. Es cierto, sin embargo, que, desde que se empezó a traducir, el traductor debía saber de qué iba el original, conocer de antemano lo que tenía que hacer para que su producto tuviera cabida en una lengua y una cultura diferentes y albergar en su práctica su particular idea del sentido del texto.


Quanto appena esposto rappresenta il leitmotiv della tesi prevalente nel pensiero di Moya: nel momento in cui un traduttore si accinge a tradurre, dà vita a una propria teoria della traduzione. Tale tesi trova giustificazione e conferma nelle seguenti parole (p. 10):


[...] Desde que la traducción es traducción, ésta siempre se ha apoyado en una base teórica, una base teórica que en un principio fue implícita, pero que con el paso del tiempo vio la luz en forma de anotaciones marginales o paratextuales, prefacios, introducciones, dedicatorias, comentarios, etc. Intentos de teorización, aunque tímidos, no faltaron desde Cicerón hasta nuestros días.


Sebbene l’opera abbia dichiaratamente un carattere teorico e divulgativo, non mancano, nel corso dell’esposizione, riferimenti e richiami puntuali alla pratica traduttiva, allo scopo di illustrare la teoria attraverso esempi concreti. Quest’aspetto del libro ci sembra particolarmente significativo e, in un certo senso innovativo, dal momento che riteniamo che la pratica debba sempre essere accompagnata dalla riflessione teorica e viceversa. A mo’ di esempio, nel terzo capitolo, l’autore affronta il tema delle equivalenze di significato e di senso, citando l’illustre studioso Delisle. In questo contesto, viene preso in esame il caso della traduzione dei nomi propri che, in determinate circostanze, subiscono necessariamente vere e proprie trasformazioni nel passaggio dal prototesto al metatesto: al fine di sensibilizzare maggiormente il lettore e offrirgli un’idea chiara ed esaustiva del concetto espresso, Moya fornisce esempi di traduzione concreti (fa l’esempio del Boxing Day, p. 72). Così facendo, viene raggiunto l’obiettivo di avvicinare progressivamente il lettore alla teoria della traduzione, inducendolo a sviluppare uno spirito critico ed operare riflessioni analitiche sulla “propria teoria della traduzione”.


Il testo si compone di sette capitoli che riportiamo così come appaiono nella versione originale:


1. La teoría lingüística;
2. Nida y la equivalencia dinámica;
3. La teoría interpretativa;
4. La teoría del «Skopos»;
5. Los «Estudios de Traducción» y las teorías polisistémicas;
6. Deconstrucción y Traducción;
7. Feminismo y Traducción.

Il primo capitolo prende le mosse dalle teorie formulate dai comparatisti Vinay e Darbelnet che trovano la giusta collocazione in seno allo strutturalismo. Difatti, la teoria linguistica rappresentò il primo tentativo volto a sistematizzare la traduzione all’interno della linguistica applicata. In questo capitolo Moya analizza il ruolo dell’intenzione e della motivazione manifestate dell’autore del testo originale nonché le ripercussioni sul testo meta. Sebbene i protagonisti indiscussi di questa sezione del libro siano i già citati Vinay e Darbelnet, l’autore del testo effettua un’analisi critica dei pro e dei contro delle loro teorie: se da un lato la teoria contrastiva ha offerto un importante contributo in termini di confronto di due sistemi linguistici più o meno simili, dall’altro la sua efficacia si è spesso limitata alla traduzione di frasi sovente decontestualizzate e mai (o quasi) di testi compiuti. Questa motivazione è stata spesso addotta per mettere in questione la validità della teoria comparatista. L’ultima parte del primo capitolo è invece dedicata alla questione dell’equivalenza traduttiva e, a tale proposito, Moya fa riferimento agli studi di John Cunnison Catford, in particolare alla sua opera più nota A Linguistic Theory of Translation: an Essay in Applied Linguistics. L’importanza di questo studioso risiede nell’avere affrontato la spinosa questione dell’equivalenza testuale in ambito traduttivo e nell’avere definito la traduzione come “la sostituzione di materiale testuale di una lingua (lingua di partenza) con materiale testuale equivalente in un’altra lingua (target language)”.


Nel secondo capitolo Moya introduce il concetto di “equivalenza dinamica” formulato da Nida e concentra il suo interesse sulle differenze tra quest’ultimo e la teoria linguistica esposta nel capitolo precedente. L’intero capitolo ruota attorno al concetto di traduzione/traduttore dinamica/o, il cui obiettivo ultimo è quello di trasporre il significato dell’originale nella lingua d’arrivo, cercando di sortire lo stesso effetto generato presso i lettori della lingua di partenza:


A la menor extrañeza del texto resultante, el traductor dinámico, en vez de forzar el genio de su lengua con elementos ajenos, tendrá que «estar dispuesto a hacer todos los cambios formales que sean necesarios para reproducir el mensaje». (p. 57)


Il terzo capitolo è incentrato sulla Teoria del senso o interpretativa, le cui massime esponenti, Danica Seleskovitch e Marianne Lederer (1984)  hanno operato fattivamente in seno all’ESIT di Parigi e, proprio per questa ragione, si è coniato il termine “Scuola di Parigi”. Moya espone molto chiaramente i fondamenti teorici di questa teoria in base alla quale la pratica traduttiva consisterebbe nella deverbalizzazione del messaggio del testo di partenza, allo scopo di coglierne il senso generale e quindi divincolarsi dalla superficie lessicale. Il traduttore effettuerebbe pertanto un intervento di riverbalizzazione nella lingua d’arrivo contenutisticamente uguale al testo di partenza ma con una nuova veste formale. Anche in questo capitolo viene ripreso il concetto di equivalenza, benché concepito da una prospettiva diversa rispetto agli studiosi citati precedentemente. Appaiono significative le parole formulate alla fine del capitolo, dalle quali si evince un’interessante evoluzione del processo traduttivo (p. 84):


Los traductólogos de la ESIT postulan, por otra parte, que las palabras, por muy parecidas que sean, nunca tienen el mismo significado en dos lenguas distintas. Lo que les lleva a no ver nada más que falsos amigos por todas partes y a demonizar en cierto sentido la traducción literal.

Il quarto capitolo verte sull’influenza che ha esercitato la Teoria dello Skopos, meglio conosciuta come Skopostheorie, in ambito traduttivo. Virgilio Moya spiega che le idee di Nida non caddero nel dimenticatoio ma furono successivamente accolte con favore da Reiss e Vermeer (1984), i quali sottolinearono l’importanza dello scopo, del fine per cui si traduce. La lettura dell’opera di questi due studiosi  induce Moya a chiedersi se “¿Es verdad que el fin justifica los medios?”, dal momento che l’attenzione viene incentrata sulle modalità attraverso cui il testo di partenza viene adattato alle convenzioni espressive e culturali della cultura d’arrivo, trascurando naturalmente le questioni filologiche e semiotiche afferenti al prototesto. Secondo Reiss e Vermeer assume particolare rilievo la funzione descrittiva del linguaggio e l’obiettivo ultimo della traduzione è il risultato a cui si approda nella cultura ricevente. Al fine di esemplificare quanto appena esposto, è utile citare le parole che Moya utilizza in riferimento a questa tipologia di trasposizione linguistica (p. 102):

[...] una traducción centrada en la comunicación con sus lectores, donde los recursos y convenciones de la cultura de origen se sustituyen por los de la cultura meta, donde se españoliza de tal manera el original que el receptor cree que lo que está leyendo es el original. [...] Es, sin duda, el método estrella de esta escuela, el que goza de las preferencias del público, especialmente para las traducciones de los llamados textos técnicos, el único que puede exigir una relación de equivalencia en caso de que el traductor se haya decidido por él y la traducción conserve la función del original.

Uno sviluppo successivo nell’ambito degli Studi sulla traduzione si manifesta negli anni Sessanta con la Scuola di Tel Aviv, rappresentata egregiamente da Gideon Toury e Itmar Even-Zohar. In particolare, la definizione di Polysystem Theory la si deve a Even-Zohar nei suoi tentativi di teorizzazione della traduzione. È questo il filo conduttore che Moya si propone di trattare nel quinto capitolo. La teoria polisistemica, difatti, fa riferimento a una fitta rete di sistemi che interagiscono in un rapporto dialettico in seno al quale Even-Zohar fa rientrare anche la traduzione di testi letterari, in virtù del fatto che (p. 137):

Esta teoría sirve para establecer qué papel ha tenido la literatura traducida en el más que dinámico polisistema literario de una cultura determinada, porque, a decir verdad, «las historias de las literaturas por lo general sólo mencionan las traducciones cuando no tienen más remedio que hacerlo» (Even-Zohar, 1990: 45).

Nell’ultima parte del capitolo viene fatta menzione al contributo offerto da André Lefevere ai Translation Studies: la traduzione non viene più concepita come attività strettamente legata al testo di partenza ma piuttosto come opera autonoma, prodotta in un momento storico e in un contesto socioculturale determinati.

Nel penultimo capitolo, si affronta la relazione tra le teorie traduttologiche e quelle filosofiche. A tale proposito, si rivela di grande interesse l’apporto del filosofo Derrida, fautore del concetto di “decostruzione/decostruzionismo”. Secondo Derrida, tradurre è sinonimo di decostruire e i termini, apparentemente antitetici, di traducibilità e intraducibilità, appaiono complementari e totalizzanti nella sua opera. Data la complessità racchiusa nel pensiero di Derrida, ci rifacciamo ai commenti elaborati da Moya (p. 182):

Derrida es consciente de que si cualquier lectura o traducción es válida, ninguna lo será. [...] Más que eco, copia o metáfora, la traducción es concebida como una escritura generada por el texto original. Pero esa transformación que supone toda traducción no es nunca un transporte (interlingual o intralingual; intertextual o intratextual) de un significado absolutamente puro, transparente y unívoco porque no hay tal cosa.

Il decostruzionismo ha in qualche modo scardinato le regole alla base della riflessione traduttologica. In questo senso, un altro importante concetto viene illustrato come segue (p. 182-183):

Según Derrida, los textos no son monolingües. Siempre hay una mezcla de varias lenguas en ellos. Lo que quiere decir que en ese contacto entre lenguas, en ese trasiego, los significados de las palabras nunca permanecen fijos, idénticos e indudables.

L’ultimo capitolo affronta un tema trattato in modo marginale in campo traduttivo: il ruolo delle donne all’interno dei Translation Studies. L’arte della traduzione va considerata come un’arte maschile o femminile? Si tratta di un interrogativo che difficilmente troverà soluzione a breve termine. Moya si propone coraggiosamente di sbrogliare questa matassa, attribuendo alle donne un ruolo determinante nella teoria della traduzione così come la conosciamo oggi. Nello specifico, l’autore parla di una “traduzione femminista” e sostiene che:

Lo que propugna la traducción feminista es una revisión a fondo del sistema de valores literarios establecidos para dar entrada a escritoras tradicionalmente marginales u olvidadas por el canon patriarcal. Escritoras, por ejemplo, que en tiempos difíciles han levantado la voz contra la esclavitud. Diríase que hemos heredado toda una cultura para derribarla, para deconstruirla. Nos encanta y alivia pensar que Shakespeare no existió y que Cervantes no era tan bueno como dicen los cánones y canonistas. (p. 214)

Qualche riga dopo, riflette su cosa significhi parlare di “traducción feminista” oggigiorno:

Ahora bien, acercar a través de una traducción feminista los textos de mujeres del XVIII y XIX a los lectores y lectoras de nuestos días, requiere hacer ciertos reajustes. Dotar de mayor visibilidad, por ejemplo, a lo femenino por medio del lenguaje significa intervenir en el original y hacer cambios en la traducción, que es lo que hacen las traductoras feministas. (p. 214)

Tra gli aspetti che riteniamo maggiormente rilevanti ai fini del presente contributo, ne emergono quattro in particolare che ci sembra opportuno mettere in luce:

1. La strutturazione chiara e coerente dell’opera;
2. L’analisi critica e puntuale di tutti gli argomenti trattati;
3. La consapevole giustapposizione di teoria e pratica;
4. La ricchezza e varietà dei riferimenti bibliografici.

Crediamo inoltre che il testo costituisca una valida e completa opera di consultazione non solo per studenti di traduzione ma anche e soprattutto per docenti e ricercatori che vogliano fruire della teoria della traduzione in modo meno “tradizionale”. Nel testo, troveranno un’esposizione chiara e metodologica delle varie correnti e teorie traduttologiche attuali, accompagnata da interessanti riflessioni che l’autore opera a titolo personale, offrendo un fattivo contributo alla critica della traduzione del XXI secolo. Riteniamo, tuttavia, che la traduzione del testo in italiano contribuirebbe a metterne i contenuti a disposizione di un più vasto pubblico di lettori, studenti e studiosi che non annoverano lo spagnolo tra le proprie lingue di specializzazione, eppure desiderosi di appropriarsi di una nuova prospettiva della teoria della traduzione.

Riferimenti bibliografici

Catford J.C., (1965). A Linguistic Theory of Translation: an Essay on Applied Linguistics. London: Oxford University Press.
Derrida, J. (1977). Posiciones. Trad. Di M. Arranz, Valencia, Pre-Textos.
Even-Zohar, I. (1990). Polysystem Studies. En Poetics, 11: 1.
Moya, V. (2010). La selva de la Traducción. Teorías traductológicas contemporáneas. Madrid: Ediciones Cátedra.
Nida, E.A., (1964). Towards a Science of Translating, E.J. Brill: Leiden.
Osimo, B. (2002). Storia della Traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei. Milano: Hoepli.
Osimo, B. (2003). Manuale del Traduttore. Milano: Hoepli.
Reiss, K. E Vermeer, H. J. (1984). Grundlegung einer allgemeine Translationstheorie. Tübingen: Niemeyer.
Seleskovitch, D. e Lederer, M. (1984). Interpréter pour traduire. Paris: Publications de la Sorbonne.Vinay, Jean-Paul e Darbelnet, J. (1973). Stylistique comparée du français et de l’anglais. Paris: Didier.

©inTRAlinea & Giuseppe Trovato (2012).
[Review] "Questioni traduttologiche contemporanee: dalla teoria linguistica alle teorie femministe della traduzione", inTRAlinea Vol. 14
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/1882

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