Recensione della nuova traduzione in italiano di The Years di Virginia Woolf
Gli Anni
Virginia Woolf, trad. Antonio Bibbò (2015)
Feltrinelli: Milano, 510 pp., €11. Con postfazione del traduttore.
Reviewed by: Sara Sullam
Da quando, nel 2011, sono scaduti i diritti d’autore sull’opera di Virginia Woolf, si sono susseguite diverse nuove traduzioni dei suoi romanzi e dei suoi saggi. La “Woolf Renaissance in translation” meriterebbe una trattazione ad hoc, magari in ottica comparata. Ci limiteremo qui a osservare come le diverse traduzioni, in Italia, abbiano riguardato un’ampia gamma di testi – dai diari di viaggio meno conosciuti (Diari di viaggio in Italia, Grecia e Turchia, 2011; Qualcosa è rimasto di noi. Diario di viaggio in Gran Bretagna, 2012; Ultimi viaggi in Europa, 2013, tutti a cura di Alessandra Repossi e Francesca Cosi, editi da Mattioli 1885) a nuove traduzioni dei romanzi – e si collochino su uno spettro editoriale ampio e diversificato. Fra le nuove versioni in campo narrativo si segnalano La signora Dalloway e Gita al faro, firmate da Anna Nadotti per i tipi di Einaudi (rispettivamente 2012 e 2014); mentre la giovane scrittrice Chiara Valerio si è dedicata alle opere più “teatrali” di Woolf, Freshwater e poi Tra un atto e l’altro, entrambi editi da Nottetempo (rispettivamente 2013 e 2015). All’interno dell’ampia offerta woolfiana, un discorso a parte merita la traduzione del penultimo romanzo di Woolf Gli anni, che Antonio Bibbò ha curato per Feltrinelli (collana “Classici”). Il libro si distingue per l’importante apparato critico e bibliografico (notevole, mi si conceda la digressione merceologica, in un tascabile venduto al prezzo di 11 euro). Alla nuova traduzione del romanzo seguono quella dei “Two enormous chunks” espunti dall’autrice all’ultimo giro di bozze e ritrovati nel 1982 (mai tradotti in italiano), un’articolata postfazione di Bibbò e un’aggiornata bibliografia sull’opera. Non si tratta, insomma, solo di una nuova traduzione ma di un libro che offre al pubblico italiano un sostanziale aggiornamento in campo woolfiano.
La traduzione di Bibbò va ad affiancare quella di Giulio de Angelis (traduttore anche de Le Onde e, si ricorderà, dell’Ulisse di Joyce), uscita nel 1955 e quella di Paola Faini (Newton Compton 1994). Ma soprattutto, grazie al suo apparato critico, completa idealmente il Meridiano Mondadori, in cui Gli anni non figura. Ciò non deve stupire: malgrado l’ingresso nella lista statunitense dei bestseller nel 1937, The Years è stato un romanzo a lungo negletto. Considerato apparentemente lontano, per il suo realismo “cechoviano”, dal “lirismo” che gran parte della critica aveva sempre attribuito a Woolf e che, secondo una simile linea interpretativa, culmina in The Waves, e distante, per altri versi, dallo sperimentalismo non solo degli anni Venti ma anche del successivo Between the Acts, The Years è stato “recuperato” dai Woolf Studies nel 1977 in seguito alla pubblicazione dell’avantesto del romanzo, il “novel-essay” The Pargiters confluito poi sia in The Years sia in Three Guineas. Nel 1981 The Pargiters venne tradotto da Alide Cagidemetrio (autrice anche di una lunga prefazione) per i tipi di un editore come La Rosa, impegnato nella riaccentuazione femminista dell’autrice. Ciò, tuttavia, non contribuì a mutare sostanzialmente la fortuna critica di The Years.
Nel corso degli anni la critica internazionale ha prodotto contributi significativi sull’opera, evidenziandone l’importanza per l’evoluzione del pensiero politico e femminista di Woolf, calandolo nel contesto storico degli anni Trenta. Vale qui la pena di citare i lavori di Anna Snaith (Virginia Woolf. Public and Private Negotiations, 2000), Evelyn Chan (Virginia Woolf and the Professions, 2014) e Alice Wood (Virginia Woolf’s Late Cultural Criticism. The Genesis of The Years, Three Guineas and Between the Acts, 2014). Nella sua bella postfazione – documentatissima e insieme di agevole e piacevole lettura – Bibbò dà conto di simili avanzamenti critici, fornendo un utile inquadramento del romanzo, valido punto di partenza per lo studioso così come per il “lettore comune”. Dopo averne ripercorso la genesi ed evidenziato l’appartenenza al genere del Familienroman (con un’evidente torsione al femminile), Bibbò mette efficacemente in luce il sottotesto politico dell’opera. Studioso con un occhio di riguardo per l’Irlanda, Bibbò è abile, per esempio, nel portare alla luce un “tema irlandese” che percorre il romanzo: dalla presenza di Parnell, all’infatuazione per lo stesso da parte di Delia Pargiter, attivista politica, o più in generale al fatto che: “l’Irlanda è il […] prototipo un po’ generico della colonia, e, al tempo stesso, dei conflitti irrisolti da parte di uno stato incerto tra l’idealizzazione del suo presente coloniale e la necessità di risolverne le contraddizioni” (p. 484).
Bibbò si sofferma a lungo anche sul sistema dei personaggi. “Il matrimonio non è per tutti” (p. 341): la battuta di Eleanor Pargiter delinea per il traduttore l’assetto relazionale del romanzo, in cui dominano nuclei alternativi a quello familiare, formati per lo più da outsider. Non ci sono gruppi di personaggi organizzati secondo le tradizionali gerarchie e che a nessuno viene attribuita un punto di vista dominante. Ciò, nota Bibbò, ha importanti ripercussioni sul piano strutturale e stilistico-espressivo, perché, proprio l’assenza di un punto di vista “ordinatore” The Years può essere definito come un romanzo “corale”, simile a quelli che negli anni Trenta si diffondono in Europa e in America. E come tale va tradotto: la sfida sembra essere stata restituire il carattere composito del tessuto testuale in assenza di un narratore riconoscibile.
Romanzo in cui Woolf stenta a trovare una “voce” unitaria e in cui lascia ampio spazio al dialogo, The Years pone quindi una sfida notevole al traduttore. Ciò risulta evidente fin dalle soglie del testo – e di ogni capitolo, i brevi “interludi” che aprono ogni “anno” spesso accostati a quelli che aprono i capitoli delle Onde. Se però nel romanzo del 1931 i brani sono evidenziati anche a livello tipografico, si differenziano dai capitoli veri e propri in quanto redatti in una terza persona impersonale e fanno riferimento all’eterno ciclo di natura, in The Years gli interludi fungono spesso da sommario, ma soprattutto il loro stile muta di anno in anno. Si tratta delle uniche zone del testo in cui Woolf sembra recuperare la propria vena lirica (in un romanzo che come si è detto “lirico” non è), anche se con venature di ‘riscrittura’ quasi parodica. Così, ad esempio, nel brano che apre il 1913 Bibbò ravvisa, raccogliendo una suggestione di David Bradshaw, l’eco del celebre finale de “I morti” joyciani, che non manca di evidenziare nell’ordito stilistico della sua traduzione:
It was January. Snow was falling; snow had fallen all day. The sky spread like a grey goose's wing from which feathers were falling all over England. The sky was nothing but a flurry of falling flakes. Lanes were levelled; hollows filled; the snow clogged the streams; obscured windows, and lay wedged against doors. There was a faint murmur in the air, a slight crepitation, as if the air itself were turning to snow; otherwise all was silent, save when a sheep coughed, snow flopped from a branch, or slipped in an avalanche down some roof in London. […] But as the night wore on, snow covered the wheel ruts; softened to nothingness the marks of the traffic, and coated monuments, palaces and statues with a thick vestment of snow.
Era gennaio. Cadeva la neve; la neve era caduta tutto il giorno. Il cielo si stendeva come l’ala grigia di un’oca dalla quale cadevano piume sull’Inghilterra intera. Non era altro il cielo che una folata di fiocchi. I viali erano livellati; i fossi colmi; la neve ingorgava i torrenti; velava le finestre, e s’insinuava sotto le porte. Si sentiva nell’aria un sussurro sottile, un tenue crepitio, come se l’aria stessa mutasse in neve; c’era altrimenti un silenzio generale, salvo quando una pecora tossiva, la neve cadeva con un tonfo giù da un ramo, o ruzzolava a valanga da un tetto londinese. Ogni tanto un fascio di luce percorreva lento il cielo al passaggio di una carrozza sulle strade ovattate. Ma con l’avanzare della notte, la neve copriva i solchi delle ruote; ammorbidiva fino a dissolverli i segni del traffico, e ammantava monumenti, palazzi e statue con pesanti paramenti di neve (p. 198).
Non potendo riprodurre in maniera riconoscibile l’elemento più marcatamente joyciano del brano, ossia il sintagma “all over England” che riecheggia l’“all over Ireland” de “I morti”, Bibbò evidenzia la parentela fra i due brani optando per un chiasmo “Cadeva la neve; la neve era caduta” non presente nell’originale ma che ricorda nettamente il “falling softly/[…] softly falling” del celebre finale joyciano. Sceglie poi di marcare il ritmo ripetitivo del brano, anch’esso eco dell’excipit joyciano, con l’anafora, sempre in posizione di soggetto di “neve” (a differenza di Faini e de Angelis, che invece di “la neve cadeva” optano per “dal rumore della neve che cadeva” (de Angelis) e “il tonfo della neve che cadeva” (Faini). La coesione stilistica del brano è ulteriormente rimarcata dalla scelta di mantenere la parola “neve” (pesanti paramenti di neve”) anche in sede finale, laddove de Angelis e Faini usano due locuzioni (rispettivamente: “rivestì monumenti, palazzi e statue di una spessa coltre” e “ammantava i monumenti, i palazzi e le statue d’uno spesso abito bianco”).
A livello complessivo, la traduzione di Bibbò si segnala per un’attenzione a un alto grado di fruizione, senza mai però venir meno al rigore traduttivo. Colpisce per esempio in tal senso uno dei tanti scambi improntati alla reticenza, alle frasi sospese che costituiscono la vera cifra stilistica del romanzo.
"It's been a fine day . . ." she hesitated, "for . . ." It seemed as if she could not remember what for.
"A lovely day, yes, Mama," Delia repeated with mechanical cheerfulness.
". . . for . . ." her mother tried again.
What day was it? Delia could not remember.
". . . for your Uncle Digby's birthday," Mrs Pargiter at last brought out.
Al lettore che conosca anche solo in parte lo stile woolfiano, salta subito all’occhio l’anafora del for: basta pensare a Mrs Dalloway, in cui for è collocato in sede incipitaria di enunciati e paragrafi significativi: “For it was the middle of June”, “For having lived in Westminster”, “For they might be parted for hundred of years, she and Peter” e così via. Croce dei traduttori, il for – preposizione e congiunzione, a metà strada tra subordinazione e coordinazione – viene qui integrato in uno scambio di battute. De Angelis e Faini optano per tradurre con “per”, interpretando il for esclusivamente come preposizione (sulla base della frase che segue: “She could not remember what for”). Eppure lo scambio di battute esibisce un forte senso di indeterminatezza, di sospensione che Bibbò, con una scelta netta traduce con “era”, appoggiandosi così sul carattere aperto della voce imperfettiva.
“È stata una bella giornata…” esitò, “era…” Sembrava non riuscisse a ricordarselo.
“Sì, mamma, una giornata incantevole,” ripeté Delia con allegria meccanica.
“…era…” la madre provò ancora.
Che giorno era? Delia non ricordava.
“…era il compleanno di tuo zio Digby,” chiarì finalmente Mrs Pargiter (pp. 28-29)
L’uso di “era”, oltre a restituire l’atmosfera sospesa, conferisce un buon ritmo al brano, così come succede in altri punti del testo, che non è possibile citare qui per esteso. Un buon ritmo che permette al lettore italiano di affrontare con agio la lettura di un romanzo lungo e complesso, fondamentale per la comprensione del percorso artistico e intellettuale di Woolf.
©inTRAlinea & Sara Sullam (2015).
[Review] "Recensione della nuova traduzione in italiano di The Years di Virginia Woolf", inTRAlinea
Vol. 17
This review can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/2156