Dal testo d’arrivo al testo di scalo
Le nuove tecnologie imporranno una nuova terminologia?
By Giovanni Nadiani (University of Bologna, Italy)
Abstract
English:
Italian: L’avvento del testo e soprattutto dell’ipertesto elettronico riconfigura la definizione/delimitazione di testo di partenza e di testo di arrivo. Qualcuno ipotizza, anzi, la fine della stessa categoria di testo. Questo ha come corollario la trasformazione del concetto di traduttore, della sua autocoscienza/autoconsiderazione e del suo status. Con la scomparsa del testo d’arrivo si offusca sempre più anche la figura del traduttore d’arrivo, ovvero della sua autorialità. Se questa finora veniva intaccata o messa in discussione principalmente da un punto di vista professionale (dal malmercato, dagli editor delle case editrici, da più o meno competenti revisori, dalla mancanza in paesi come l’Italia di un albo professionale ecc.), l’avvento della testualità e ipertestualità digitale ne intacca l’aura autoriale e relativa autostima (comprensibile compensazione morale al mancato riconoscimento sociale, cioè economico), costringendolo a viaggiare in classe economica sul transatlantico testuale, anzi a restare a terra.
Keywords: traduzione digitale, digital translation, multimedia translation, traduzione multimediale, traduzione poetica, poetry translation, traduzione letteraria, literary translation, hypertextual translation
©inTRAlinea & Giovanni Nadiani (1999).
"Dal testo d’arrivo al testo di scalo Le nuove tecnologie imporranno una nuova terminologia?"
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There is no Final Word. There can be no final version, no last thought. There is always a new view, a new idea, a reinterpretation. And literature, which we propose to electronify, is a system for preserving continuity in the face of this fact.
T. H. Nelson (1981: 2/61, 48)
Was sie vor Augen haben,/ meine Damen und Herren,/ dieses Gewimmel,/ das sind Buchstaben./[...] Sechsundzwanzig/ dieser schwarz-weißen Tänzer,/ ganz ohne Graphik-Display,/ und CD-ROM,/ als Hardware ein Bleisstiftstummel-, das ist alles.
H. M. Enzensberger (1997: 96-97)
0. Introduzione
Gli ironici versi di Enzensberger tratti dalla poesia “Altes Medium” si possono senz’altro sottoscrivere, poiché, strumentalmente, basterà sempre molto poco per creare poesia. Ciò non toglie che anche questa oggi venga scritta, e tanto più tradotta, con l’impiego di apparecchiature elettroniche e che, di conseguenza, anch’essa sia coinvolta nei nuovi processi di elaborazione testuale. Infatti, come scrive Jay D. Bolter “La scrittura elettronica, nel ridefinire l’oggetto critico (il testo) e l’atto stesso della lettura, impone una ridefinizione delle problematiche della teoria e della critica letterarie che ci sono familiari” (Bolter, 1993: 187) e quindi, si potrebbe aggiungere, anche delle relative categorie testuali e terminologiche.
1. Riconfigurazione del testo
Sembrano essere ancora abbastanza poche (probabilmente per motivi economici) le applicazioni ipertestuali legate alla traduzione reperibili sul mercato editoriale sotto forma di supporto elettronico o rintracciabili nella rete. Ma sarà questione di poco tempo e i lettori interessati potranno navigare comodamente anche all’interno di ipertesti contenenti originali e traduzioni (e relativi percorsi multimediali), confrontare in tempi rapidissimi le versioni appena acquisite con altre già in memoria, e, se competenti in materia, manomettere a piacere quanto il supporto elettronico oppure la rete ha messo loro momentaneamente a disposizione, recitare, insomma, una parte importante nel farsi e rifarsi del prodotto traduttivo come mai prima d’ora, come evidenziato da tutta una schiera di studiosi, da Jay D. Bolter a Michael Joyce a George P. Landow, che hanno richiamato la necessità di attuare la convergenza tra i nuovi orizzonti informatici e le teorie della letteratura del postrutturalismo, del pragmatismo, del decostruzionismo, della teoria della ricezione eccetera. Landow si richiama apertamente alla linea critica che prende le mosse dal poststrutturalismo: “come molte delle opere recenti di poststrutturalisti quali Roland Barthes e Jacques Derrida, l’ipertesto cambia le opinioni convenzionali, per lungo tempo stabilite su autori e lettori e sui testi da essi scritti e letti. Il collegamento elettronico, una delle peculiarità che definiscono l’ipertesto, per esempio, incorpora il concetto di intertestualità di Julia Kristeva, la sottolineatura della multivocalità di Michail Bachtin, la nozione di reti di potere di Michel Foucault, e l’idea di pensiero nomade e rizomatico di Gilles Deleuze e Felix Guattari” (Landow, 1995: 1; traduzione mia). Per Landow, come per la maggior parte degli studiosi statunitensi sulla scia dei postrutturalisti francesi, la figura e il ruolo dell’autore sono morti, essendo sostituiti dalla totale autonomia della scrittura. Le maggiori attenzioni vengono prestate a Barthes, che è ricordato sempre per l’impiego del termine lexia, lessìe, e il suo suggerimento di una letteratura che non sia da leggersi ma da scriversi, cioè che coinvolga direttamente il lettore nella sua costruzione (Barthes, 1981: 10). Se tali posizioni funeree per l’autore sono state nel frattempo ridimensionate o diversamente problematizzate (Cadioli, 1998: 84-91; Eco, 1998: 47), spostando l’attenzione sugli altri due segmenti del sistema autore - testo - lettore e la riflessione al campo della traduzione, si può, tuttavia, effettivamente constatare che le nuove tecnologie permettono l’invadenza creativa del lettore nel testo, simboleggiata attualmente dalla freccina perennemente presente sullo schermo del calcolatore, portando in tal modo a compimento quanto già preannunciato, seppur in un contesto mediatico diverso, da Walter Benjamin nel suo famoso scritto L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935/36). La diagnosi del pensatore tedesco in merito alla trasformazione dell’arte nell’epoca della riproducibilità non significa una liquidazione, bensì uno spostamento della problematica della sua validità e della sua funzione. Tale spostamento potrebbe riassumersi in una formula: dalla centralità dell’opera alla centralità della percezione e dunque dell’esperienza del fruitore. Dopo aver dimostrato lo sgretolamento dell’aura posseduta dall’opera d’arte a causa della sua riproducibilità tecnica, Benjamin fa un’affermazione che agli occhi di un lettore elettronico di traduzioni si dimostra, a sessant’anni di distanza, di un’attualità sconcertante e che, per così dire, scagiona, redime la copia riprodotta dalla sua colpa di aver scalfito l’aura dell’originale facendosi, nel contempo, forte interprete delle ragioni del ricevente, dell’utente.
La tecnica di riproduzione, così potrebbe essere formulata in generale la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto della presenza unica del riprodotto la sua presenza in serie. E permettendo alla riproduzione di venire incontro al ricevente nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. (Benjamin, 1981: 13; traduzione e enfasi mie)
L’avvento del testo e soprattutto dell’ipertesto elettronico riconfigura, come si è detto, la definizione/delimitazione di testo (di originale). Qualcuno ipotizza, anzi, la fine della stessa categoria di testo. Così scrive, ad esempio, Mario Ricciardi:
E’ possibile utilizzare la categoria testo, separata dalla sua organizzazione materiale, cioè appunto la sequenza lineare? [...] La sostituzione di un supporto materiale, come quello cartaceo, con uno immateriale, come quello elettronico, non produce una modificazione inevitabile nella natura del messaggio tale da impedire per esso l’uso proprio della categoria di testo, anche se ci si rivolge ancora a utenti alfabetizzati e quindi educati a leggere e a scrivere secondo il modello tradizionale? La categoria testo, in questo caso, inscindibile dalla struttura a sequenza lineare della scrittura e del supporto debole, è significativa piuttosto di una parentela, di un passato, ma non più in grado di rappresentare esattamente un processo in atto così radicalmente diverso, tale da modificare anche i due attori fondamentali della comunicazione letteraria, l’autore e il lettore, e i loro ruoli, storicamente distinti (Ricciardi, 1994: 20).
Tito Orlandi, da parte sua, suggerisce di configurare “il testo come sistema” per “scinderlo nelle sue componenti, che saranno considerate dei sottosistemi, in base ad una serie di dati in ingresso, alla loro trasformazione, e la produzione dei dati in uscita. La sfida è di provare che i mezzi informatici sono capaci di produrre un modello secondo la teoria dei sistemi” (cit. in Ossola, 1998).
2. Verso il testo di scalo
Se viene a riconfigurarsi la definizione/delimitazione di testo, senza voler qui abolire il concetto vulgato di questo, prescindendo dalle produzioni non verbali - cioè di successione di segni linguistici, di enunciato scritto autonomo e autosufficiente entro una vasta gamma che può andare da una frase a un’intera opera, elastico, nomade, ballerino, elettronico insomma - , nonché quella di autore; e se la libertà del lettore viene ad ampliarsi (nonostante il giusto ridimensionamento di tali fenomeni occorso negli ultimi tempi), tanto più tutto questo varrà per il testo tradotto, per il rispettivo traduttore e per il fruitore della traduzione. L’opera tradotta - di per sé, come ogni traduttore sa e sente per esperienza, un work in progress - , soggetta a continui ripensamenti e potenziali aggiustamenti, bloccata però di volta in volta temporalmente e spazialmente nella rigidità della stampa, di fatto, ora, diventa un testo infinitamente mobile, un documento vivo, secondo la definizione di Nelson (1992: 2/58). Una delle principali caratteristiche del testo tradotto e pubblicato a stampa è la sua deperibilità, dovuta alla menzionata staticità spazio-temporale dei supporti di pubblicazione finora impiegati: le traduzioni, in genere, invecchiano precocemente. A tale caratteristica negativa, con l’avvento del testo traduttivo elettronico, viene a sostituirsi quella della potenziale, continua, economicissima (sotto diversi punti di vista) manipolabilità-aggiornabilità cui è sottoposto ogni testo virtuale. Un fenomeno questo sotto gli occhi di tutti, anche senza richiamarsi alla visione futuribile di Nelson, secondo la quale: “l’ipertesto a finestre ci offre la possibilità che tutti gli scritti possano essere per sempre riveduti, reinterpretati da nuovi studiosi, divulgatori” (Nelson, 1992: 2/44). Mediante il possibile confronto in tempo reale (la rapidità, anzi l’immediatezza, e la comodità di determinate operazioni concesse al lettore dai nuovi strumenti, impensabili con il libro, sono determinanti per quanto si sta dicendo) sullo stesso schermo del testo tradotto con tutte le sue varianti precedenti, oppure - nel caso di opere già tradotte - con testi concorrenti (appena due tra le molteplici operazioni possibili), il testo subisce tutti quegli scombussolamenti riassumibili in modo insufficiente col termine derridiano di débordement, o con quello più tecnico e avveniristico di transclusione. Tale fenomeno, inglobando tutte le possibili operazioni di manomissione da parte di tutti i potenziali specialisti che vorranno confrontarsi con quel testo in quella data lingua (e più questa sarà diffusa, maggiore sarà la probabilità della revisione/correzione personalizzata del testo proposto in traduzione), verrà ad ampliarsi a dismisura fino a disgregare il concetto stesso di testo d’arrivo, già di per sé transeunte. Si potrebbe stabilire un parallelo, con i relativi aggiustamenti, con quanto sta già accadendo, ad esempio, nel campo della critica letteraria di impostazione filologica. Scrive Alberto Cadioli:
Tutti i più vari elementi che contribuiscono a definire la storia del testo possono entrare a far parte della struttura di un ipertesto critico: in esso [...] la presenza delle diverse scelte dell’autore, la loro trascrizione accompagnata dalla presenza dei testi manoscritti, la registrazione delle eventuali varianti delle edizioni, la documentazione degli interventi di un editore <- nel senso di editor e di publisher - nella riproposta di opere del passato, la testimonianza della Wirkungsgeschichte, cioè della storia degli effetti, di ogni opera, possono trovare non solo un nuovo supporto, ma una ricollocazione che, grazie all’interazione, aumenta il valore dei singoli elementi. La novità ipertestuale non è infatti data, naturalmente, dalla somma di tanti documenti - possibilità, tuttavia, di grande rilievo - quanto dalla ricchezza di senso generata dalla presenza contestuale di materiali diversi, fondamentali per la conoscenza di un testo e della sua storia complessiva (Cadioli, 1998: 51).
Se, dunque, nonostante tutto lo straripamento a cui è o potrebbe essere sottoposto inter- e ipertestualmente l'originale, si potrà, forse, continuare ancora a parlare di testo di partenza, cambiando lo statuto del testo nonché la sua essenza editoriale (testo privo di fisicità esistente solo come insieme di impulsi elettrici, lasciate da parte per il momento le problematiche connesse con la traduzione di ipertesti digitali), sempre meno sarà però possibile usare la consueta definizione di testo d'arrivo (Zieltext, target text, texte cible ecc.). Infatti questo - in fieri - nel momento stesso in cui, codificato in una certa maniera, arriva ad un utente/lettore qualificato, può essere da questi immediatamente manomesso: ogni lettore, come ha scritto Mario Ricciardi è al tempo stesso un disseminatore e un dissipatore; può travolgere le regole fissate, può stravolgere e fraintendere e manipolare, ma così facendo trasmette, comunica, partecipa del messaggio, dello scritto, dell’opera dello scrittore. È attore di un oggetto non di sua proprietà, ma è colui che lo fa vivere nel tempo e oltre il tempo di vita dello scrittore; è colui che davvero lo fornisce di valore aggiunto (Ricciardi, 1995: 50). Il testo, insomma, più che arrivare al lettore, gli transita momentaneamente davanti. Per restare all'obsoleta metafora del viaggio, invece di testo d'arrivo si dovrà, pertanto, sempre più parlare di testo in transito, o forse meglio - volendo sottolineare questa (solo parzialmente) nuova condizione di apparente stabilità momentanea - di testo di scalo, volendo sfruttare le immagini nautiche vigenti. Prescindendo dagli imperscrutabili sviluppi del mercato della traduzione, in linea di principio si potrebbe postulare la scomparsa del concetto di testo d'arrivo relativamente a qualsiasi tipologia testuale. Qualsiasi testo, riversato o no (a seconda dei parametri di trasmissione impiegati e della configurazione dei programmi usati) nella memoria elettronica di un qualsiasi utente/lettore, trasferito in un suo programma di scrittura, può essere da questi virtualmente modificato a piacere, e ciò sta già accadendo per quanto riguarda ambiti testuali tecnico-scientifici o comunque pratici, d’uso - e voglio sottolineare che questa è veramente tutt’altra operazione dal glossare a penna una traduzione su supporto cartaceo secondo quanto verificato sul campo da prime empiriche, limitate, ricerche sull’approccio del lettore al testo digitale e sulle trasformazioni delle modalità di leggere e recepire il testo. "L’opera aperta, aperta cioè alle più varie possibilità di lettura, si trasforma così nella scrittura aperta, che concede al lettore di diventare co-autore di un testo: naturalmente di un testo nuovo" (Cadioli, 1998: 116). Anche Bolter, in riferimento a testi digitalizzati, sottolinea il nuovo ruolo che il lettore viene ad assumere:
Il computer estende oggi il ruolo dell’esecutore/interprete ad ogni forma di scrittura. Nello spazio di scrittura elettronica ogni testo finisce per assumere lo status del lavoro teatrale o della partitura musicale. Il lettore interpreta il testo, magari soltanto per se stesso, o per un altro lettore, che può a propria volta decidere di rappresentare il testo nella versione del primo lettore di fronte ad altri. In tal modo la scrittura elettronica definisce un nuovo livello di creatività. (Bolter, 1993: 202).
Se da un punto di vista tecnico il postulare la scomparsa della categoria di testo d’arrivo potrebbe considerarsi come assoluto, da un punto di vista estetico-etico esso va relativizzato. Pur in presenza di uno smembramento, o meglio di diversificazione, di attenuazione più che di morte, del concetto di autore (e quindi anche di quello di autore della traduzione), in alcuni casi permarrà significativa l'autorialità (l'autorevolezza) del testo in traduzione, perché se di fronte all’ipertestualità, il dibattito tra soggettività e oggettività della lettura sembra risolversi a favore della soggettività, "è proprio vero che la libertà del lettore coincida immediatamente - e inevitabilmente - con la posizione di chi esclude" (Cadioli, 1998: 37) "che il testo possa dirci qualcosa riguardo a ciò che esso vuole, piuttosto che offrire semplicemente degli stimoli" (Rorty, 1995: 126)? La libertà del lettore assumerà caratteri diversi "quando in campo scende l’interesse per la conoscenza di un’alterità, quale è quella rappresentata da un autore che si esprime in un testo o dal testo stesso preso nella sua autonomia linguistica e semantica, nella sua collocazione temporale e spaziale" (Cadioli, 1998: 120). Bisognerà, dunque, sfumare il concetto di testo di scalo. E' questo, ad esempio, il caso della traduzione poetica, quando, cioè, ci si trovi di fronte al lavoro di un poeta-traduttore e al suo
desiderio del testo, poiché più che poter godere di cosa esistente, si cerca e si insegue qualcosa che ci seduce attraverso la lingua; da un'altra lingua. Non si è neppure convinti che in questo modo si sia lì a tradurre un testo o soltanto il testo; proprio perché il libro che si cercava era un autore, quell'autore, più che la cosa scritta di un autore; insomma un'anima, più che un manufatto di essa. (D’Elia, 1990: 59-60).
In tal caso, in questo viaggio da Autore 1 a Autore 2, (estremizzando) si realizza il passaggio da un Originale 1 a un Originale 2: ci troviamo di fronte a un testo di partenza 2, più che a un testo d'arrivo, eventualmente suscettibile soltanto dello straripamento cui è soggetto qualsiasi testo di partenza. Per fare questo basterebbero, insomma, l’hardware e il software di Enzensberger, la matita e le lettere dell’alfabeto. Ma, escluso questo specialissimo caso e relative gradazioni autoriali/editoriali (come la nota collana blu dell’Einaudi Scrittori tradotti da scrittori ), sarà sempre più improprio sostenere la definitezza implicita nel concetto di testo d'arrivo e, come evidenzia anche Alberto Cadioli, "la considerazione di una continua oscillazione tra testo stabile e testo manipolabile deve essere già ora assunta come un importante punto di riferimento e di confronto, che permette il contatto tra orizzonti culturali differenti" (Cadioli, 1998: 118).
3. Un nuovo imballatore di parole
Quanto si è appena detto ha come ovvio corollario la trasformazione del concetto di traduttore, della sua autocoscienza/autoconsiderazione e del suo status. Con la scomparsa del testo d’arrivo si offusca sempre più anche la figura del traduttore d’arrivo, ovvero della sua autorialità. Se questa finora veniva intaccata o messa in discussione principalmente da un punto di vista professionale (dal malmercato, dagli editor delle case editrici, da più o meno competenti revisori, dalla mancanza in paesi come l’Italia di un albo professionale ecc.), l’avvento della testualità e ipertestualità digitale ne intacca l’aura autoriale e relativa autostima (comprensibile compensazione morale al mancato riconoscimento sociale, cioè economico), costringendolo a viaggiare in classe economica sul transatlantico testuale, anzi a restare a terra. Sempre di più, l’imballatore di parole (secondo la bella immagine del poeta Valerio Magrelli) sarà costretto a considerare se stesso alla stregua del tanto vituperato traduttore di servizio: uno scaricatore di porto, uno scaricatore di bit, un addetto allo scalo, insomma. Data però l’importanza dello scalo, il nostro traduttore dovrà, serenamente, riconsiderare il proprio ruolo, sottolineando la propria abilità di dispensatore di un duplice servizio: verso il testo di partenza con l’approntamento del relativo testo di scalo per il supporto elettronico o la rete, arricchito di tutte le connessioni ipermediali (l’apparato) che egli riterrà utili per mettere in particolare luce sia l’opera originale sia le proprie prestazioni o eventuali insufficienze; e verso l’utente - che si può ipotizzare anche nelle vesti di uno o altri colleghi, in una sorta di collettività traduttiva in cui la depersonalizzazione autoriale viene recuperata in una comunità di intenti a più mani - mettendo a disposizione di tale utente uno strumento in grado di condurlo verso orizzonti di lettura (di riformulazione) finora impensabili. Così facendo, egli potrà vedersi però, nel caso ad esempio della produzione di un ipertesto con traduzioni, nelle nuove vesti professionali di co-artefice di un’opera di gruppo (nella pratica è, infatti, quasi impossibile padroneggiare la quantità dei materiali, degli strumenti e dei codici solitamente impiegati nella realizzazione di un ipertesto anche di non grandi dimensioni), che trascende il tradurre in senso tradizionale. Il lavoro del traduttore-dispensatore di un servizio base (sostanzialmente, un tipo del tutto nuovo di artigianalità, se si vuole, di una diversa autorialità, di una diversa autorità dell’autore), rimarrà pur sempre un significativo punto di partenza verso la continua attualizzazione del riprodotto (nel nostro caso della traduzione), concorrendo a quella fondamentale e sempre troppo misconosciuta operazione preannunciata da Benjamin: “di venire incontro [sullo schermo] al ricevente nella sua particolare situazione”.
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