Il monumento. La memoria contesa: Space of Synagogues, L’viv

By Sherry Simon (Concordia University, Canada)

Abstract

Keywords:

©inTRAlinea & Sherry Simon (2021).
"Il monumento. La memoria contesa: Space of Synagogues, L’viv"
inTRAlinea Special Issue: Space in Translation
Edited by: Lucia Quaquarelli, Licia Reggiani & Marc Silver
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2580

Chi viaggia a L’viv, transitando dall'aeroporto di Monaco di Baviera, reagirà con stupore di fronte al monitor che annuncia un volo per Lemberg, il nome asburgico con cui la città era nota fino alla caduta dell'Impero nel 1918. Volare oggi a L’viv è come prendere un aereo per Costantinopoli.

L'autore e avvocato per i diritti umani Philippe Sands evoca l’anomalo monitor dell’aeroporto di Monaco di Baviera nell'introduzione al suo libro del 2016 East West Street,[1] un’autorevole indagine che ci riporta alla storia imperiale della città. Sands coglie con esattezza le risonanze di questa apparizione del passato asburgico. Il suo libro è la storia delle vite intrecciate di tre uomini ebrei nati a Lwów tra le due guerre, quando la città era polacca. Nelle sue ricerche sulla vita del nonno Leon, Sands scoprì che anche due personalità straordinarie della storia della giurisprudenza moderna sui diritti umani avevano vissuto e studiato in città. Si trattava di Hersch Lauterpacht, l'inventore dei “crimini contro l'umanità”, e Rafael Lemkin, a cui si deve il termine “genocidio”. Entrambi hanno lasciato un’impronta significativa sullo svolgimento e sull'esito del Processo di Norimberga.

Con la precisione accurata dell’esperto legale, Sands ci consegna una cronaca straordinaria della città. Mostra che Lemberg / Lwów / L’vov fu, tra le due guerre, una città cosmopolita e moderna, terreno assai fertile per le nuove idee fino a quando il suo futuro fu travolto dalla Seconda guerra mondiale e da ciò che ne seguì. Nel settembre del 2017 Sands era a L’viv, per la presentazione della traduzione in ucraino di East West Street. In quell’occasione riuscì a trasmettere la sua passione per la città e a comunicare il suo entusiasmo, soprattutto ai giovani. A causa delle circostanze della storia, disse loro in sostanza, potreste ignorare gli uomini straordinari che nacquero qui e alcuni dei contributi della vostra città alla storia del XX secolo. Con le sue presentazioni e il suo libro, Sands stava cercando di supplire a tale dimenticanza. Quello che intendeva era: questa città ha vissuto eventi straordinari e i loro ricordi – brutti e buoni che siano – appartengono anche a voi. La traduzione del suo libro non era soltanto il resoconto di ciò che aveva scoperto, ma un invito ai lettori ucraini ad appropriarsi della storia della città.

La sua esortazione è particolarmente significativa in una città come L’viv, nella quale storia e memoria si incrociano per vie inusuali e il senso di appartenenza si carica di un bagaglio pesante. La traduzione, si tratti di un libro, di una testimonianza personale o di un'iscrizione pubblica, ha una risonanza significativa. Quando le lingue vengono eliminate, restituirle alla dimensione pubblica è operazione ancora più potente. Per essere efficaci, le traduzioni devono saldarsi al desiderio collettivo di ripristinare una memoria dimenticata, repressa o intenzionalmente soppressa. Sia il libro di Philippe Sands che il memoriale noto come Space of Synagogues a L’viv tentano di farlo, e testimoniano la volontà di re-iscrivere la presenza ebraica nel tessuto urbano della città.

Radici superficiali

La città oggi nota come L’viv (ucraino) è stata chiamata Leopoli (italiano), Lemberg (tedesco e yiddish), L’wów (polacco) e L’vov (russo). Fino al 1918 era Lemberg ed era stata la capitale della provincia della Galizia. Tra il 1918 e il 1945, la città è passata di mano in mano almeno otto volte.

Se diamo uno sguardo alla “renaming history” (storia delle rinominazioni) del sito web del Center for Urban History of East Central Europe, il nome della strada in cui si trova il Teatro dell’Opera è cambiato dieci volte tra il 1940 e oggi – da Untere Karl Ludwig Strasse in epoca asburgica a Opernstrasse, Adolf-Hitler-Ring e Prospekt Lenina, sino all'odierna Prospeckt Svobody. Le successive mappe della città, oggi consultabili con un semplice clic sul sito web, sono capitoli di una turbolenta storia di sanguinosi conflitti.

Gli ebrei di L’viv, un terzo della popolazione della città prima della Seconda guerra mondiale e una delle più grandi comunità ebraiche della Polonia, furono annientati dai nazisti. I polacchi residenti in città, che scomparvero dopo la guerra, vennero reinsediati con la forza in Polonia dopo che L’viv divenne territorio sovietico e ucraino. La popolazione ucraina costituiva una minoranza a L’viv fino al dopoguerra, quando le genti delle aree rurali circostanti cominciarono a stabilirsi in città, insieme agli sfollati dell'Ucraina orientale e della Russia, cambiandone il profilo in modo significativo. I nuovi cittadini di L’viv avevano pochi legami con il suo tessuto storico e le sue memorie.

Viaggiando nell'Europa dell’Est alla fine degli anni Novanta, la storica Anne Applebaum osservò che le persone in giro per le strade di L’viv sembravano estranee alla città. Spiccava il contrasto tra l'aspetto della popolazione e la grande città in cui abitavano. Non sono chiare le ragioni che hanno provocato le riflessioni di Applebaum. Tuttavia, qualsiasi esse fossero – gli abiti e le babushkas di cattivo gusto? l'esitazione nell’incedere dei pedoni? le file disordinate dei venditori ambulanti? –, Applebaum ha rivolto la sua attenzione su un'importante verità.

Figura 1.1 Questa immagine delle lingue di Lemberg (tedesco, polacco e yiddish) nella L’viv dei nostri giorni è puramente nostalgica. Non si tratta di un negozio di alimentari. È in realtà un negozio di fotocopie, come indicato in ucraino sopra le vetrine.

Al pari di molte altre città dell'Europa dell’Est (come ad esempio Vilnius, divenuta lituana solo alla fine della Seconda guerra mondiale), L’viv ha oggi una popolazione le cui radici urbane sono molto recenti. La loro conoscenza della città e del suo passato è inevitabilmente parziale.

L’viv plurilingue: Wittlin

L’viv ha avuto i suoi grandi cronisti, ma nessuno è stato così efficace quanto Jozef Wittlin. Scrittore e traduttore, egli ha vissuto gran parte della sua vita nella città che presto si sarebbe chiamata Lwów, prima di essere costretto a lasciare l’Europa come esule durante la Seconda guerra mondiale. My Lwów è un racconto pieno di fascino, intelligenza e nostalgia che narra le storie di quello che fu uno dei grandi centri culturali d'Europa tra le due guerre. Con l'ironia caratteristica dello scrittore dell'Europa orientale, Wittlin dà un senso alle strade poliglotte di Lwów mescolando nella sua storia lingue diverse.

Il libro di Wittlin è stato scritto in polacco e pubblicato a New York nel 1946. Le lingue presenti nella sua narrazione non sono soltanto quelle che si sarebbero potute sentire lungo i marciapiedi di Lwów: ci si sono anche il latino e il francese, le lingue dell'intellighenzia.

Des Lebens Ausgang! Exitus vitae. I was not born in Lwòw, but for a very long time I flirted with the idea that I’d spend the last Polish autumn of my life there, nodding quietly to myself. Point de reveries! (2016, 80)[2]

Ad ogni modo, grazie alla “voce” che ha aggiunto al “lessico del mio gergo nativo”, Wittlin spera che un giorno una stradina di Lwów avrà il suo nome.

Not a major thoroughfare with mansions, banks, a court, a prison, a school, a chamber of trade and commerce and a Turkish bath. God forbid! All I need is a small side street without any sewers and with just ten houses” (80).[3]

Wittlin ha effettivamente avuto successo nella vita. Era soprattutto noto per il suo romanzo contro la guerra Sale della terra, pubblicato per la prima volta in polacco nel 1936 con il titolo Sól ziemi e successivamente tradotto in quattordici lingue. Dopo averlo pubblicato in inglese nel 1939, l’autore era considerato un serio candidato per il premio Nobel. Seguendo l’esempio di Simplicissimus di Grimmelshausen e del Buon soldato Švejk di Jaroslav Hašek, Wittlin dà voce a un semplice coscritto dell'esercito di Francesco Giuseppe. In poche settimane dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, il cittadino analfabeta protagonista viene trasformato in un ingranaggio della macchina da guerra dell'imperatore.

Il ritratto compassionevole che Wittlin traccia di Peter Neviadomski, il cui cognome polacco significa “di origine sconosciuta”, apre una finestra sul mondo poliglotta degli Asburgo. Il romanzo è colmo di suoni e della sensibilità delle lingue del regno, una musica che è familiare e cara a Peter fino a quando non gli si rivolta contro. Peter si ritrova in una compagnia di sgangherati, composta da alcuni compaesani, anche loro arruolati, e viene sballottato da una parte all’altra dell’impero. Ogni fase del viaggio, ogni incontro con funzionari di alto grado, introduce nuove lingue. Il contadino analfabeta è tanto più sensibile a queste lingue perché non riesce a decifrare gli ordini scritti che alla fine determinano il suo destino. Pubblicato all'inizio di una nuova conflagrazione europea, il romanzo denuncia un apparato bellico che contamina con la violenza tutte le lingue ufficiali dell’impero.

Wittlin fu anche un prolifico e pluripremiato traduttore in polacco di Homer, Cervantes e molti altri classici. Era il traduttore polacco del suo buon amico Joseph Roth. Roth ha restituito il favore promuovendo la traduzione tedesca del romanzo di Wittlin.

Space of Synagogues

A causa delle molteplici stratificazioni che caratterizzano la storia di L’viv, il linguaggio diventa un importante veicolo di memoria. L'ucraino è la lingua della città odierna. Anche il russo svolge un ruolo importante, dovuto a una minoranza significativa di ucraini di lingua russa. Ma che dire delle lingue che una volta si vedevano e si ascoltavano per le strade della città e nei suoi negozi, le lingue così presenti negli scritti di Wittlin? Sulla scorta di quanto suggerito da Philippe Sands, possiamo chiederci se i ricordi di yiddish, polacco o tedesco possano essere compresi e condivisi da coloro il cui legame con il passato è semplicemente quello dell’appartenenza al tessuto urbano?

Figura 1.2 Lapidi nello Space of Synagogues. Le testimonianze su pietra sono in molte lingue e costituiscono la mappa del viaggio della memoria nelle terre dei profughi e della diaspora. I visitatori devono farsi strada tra le lastre di pietra e chinarsi per leggere le iscrizioni.

Queste lingue hanno effettivamente cominciato a farsi sentire di nuovo in città. Le conversazioni però non sono quelle dei locali, ma dei turisti che si fanno strada spostandosi da un punto di interesse simbolico all’altro. I visitatori sono diventati i portatori della memoria linguistica. Folti gruppi di chiassosi turisti polacchi visitano iconici ristoranti, palazzi e musei che celebrano la versione prebellica della città. Alcuni turisti di lingua tedesca – un po’ meno esuberanti - visitano i siti asburgici. Intanto i turisti ebrei hanno cominciato a tornare in città alla ricerca di un tragico passato.

Vi è quindi una rinnovata mescolanza di lingue, anche se resta il dubbio su quali lingue considerare autoctone e quali invece annoverare tra le lingue ospiti. In Landscapes of Guilt, Landscapes of Rescue (2018)[4] la poetessa Iryna Starovoyt esprime il suo timore rispetto alle spiegazioni dell’Olocausto presenti nei manuali scolastici, perché possono risuonare come parole distanti o “esterne”, e non come testimonianze proprie degli spazi "interni" dei quartieri e degli edifici che appartengono ancora alla L’viv di oggi. La storia del passato, la storia ebraica di L’viv, deve essere raccontata nel linguaggio di una cittadinanza condivisa piuttosto che in quella di una lontana realtà straniera, sostiene Iryna Starovoyt.

Di tutte le lingue di L’viv, lo yiddish è quella con la minor presenza pubblica. Parlata da una delle comunità più numerose di L’viv prima della guerra, questa lingua è assente dalla città, come lo è da tutto il territorio dell'Europa centrale. Un unico memoriale in yiddish, risalente al 1989 e ai momenti finali dell'era sovietica, rende omaggio allo scrittore russo di lingua yiddish Sholem Aleichem che ha trascorso un periodo di tempo in città.

Il progetto chiamato Space of Synagogues cerca di re-iscrivere la storia ebraica nel tessuto urbano. Il memoriale, inaugurato ufficialmente nel 2016, si trova in via Staroievreiska ("strada vecchia degli ebrei") vicino alla centrale Piazza Rynok. Lo Spazio esibisce le tracce di tre sinagoghe che furono distrutte nella Seconda guerra mondiale: La Sinagoga della Grande Città, la Beis Midrash e la Sinagoga della Rosa d'Oro che risale al Rinascimento (1582). La zona è stata in gran parte trascurata durante il periodo sovietico, abbandonata e dimenticata, anziché conservata. Quindi, il progetto di ripristino della zona iniziato nel 2008 ha segnato una svolta significativa nella storia della città. Il monumento è stato progettato ad arte come un giardino minimalista, che reca le tracce del passato e al contempo presenta spazi vuoti in cui l'assenza può farsi sentire con forza.

Con The Space of Synagogues, per la prima volta in Ucraina un'amministrazione cittadina ha commemorato un luogo storico ebraico in collaborazione con vari gruppi della comunità e con un impegno condiviso. In città si è svolto un dibattito e il progetto dell'architetto tedesco Franz Reschke vincitore di un premio (2010) è scaturito da un ampio dialogo con esperti internazionali di studi ebraici, storici e organizzazioni ebraiche locali. Tutto ciò è in netto contrasto con i precedenti sporadici tentativi del regime sovietico di porre placche commemorative minimaliste o di avviare iniziative commerciali come il ristorante a tema ebraico "La rosa d'oro", che offre un’imitazione della cucina ebraica e una mostra di cimeli prebellici. L'effettivo ritorno della memoria ebraica a L’viv è il risultato, invece, di uno sforzo concertato e collettivo.

Tradurre l’assenza

Al centro dello Space of Synagogues sono disposte trentanove tavolette di pietra che ricordano le pietre tombali. Alcune sono incise con immagini sgranate (sbiadite) di negozi e case di L’viv prima della guerra. Altre recano la testimonianza di ex residenti sulla loro vita a L’viv, la loro esperienza della Shoah o la vita dopo la guerra. Sono sedici citazioni che conducono i visitatori in un viaggio fisico tra le pietre – e scandiscono un viaggio emotivo nei drammi della storia raccontati dai suoi testimoni. Per osservare le immagini e leggere il testo, i visitatori sono obbligati a chinarsi, a spostarsi tra le tavolette, a compiere uno sforzo per addentrarsi nelle testimonianze. Ogni citazione è in lingua originale – tedesco, ebraico, yiddish, polacco, russo, ucraino, olandese e francese – ed è accompagnata da traduzioni in inglese, ebraico e ucraino.

Questi frammenti di linguaggio evocano eventi, ordinari e straordinari. Ricordano la vita quotidiana a L’viv prima della guerra, quando le diverse popolazioni condividevano gli spazi dei marciapiedi e dei caffè, ed evocano gli eventi della guerra e dell'Olocausto. Tre esempi sono particolarmente suggestivi per le loro risonanze traslazionali.

La testimonianza di Inka Katz è stata pubblicata per la prima volta nel libro di East West Street di Philippe Sands. Inka Katz è nipote dello studioso di diritto Hersch Lauterpacht, che ha perso i suoi genitori a causa della violenza nazista a L’viv all'inizio della guerra. Oggi vive in Francia e ha raccontato la sua storia a Philippe Sands; ricorda con queste parole lo sconvolgente omicidio dei suoi genitori:

My mother had been taken. . . I saw everything looking out of the window. I was twelve, not a child anymore. . . I saw my father running after my mother,

behind her, on the street. . . I understood it was over. . . I knew what was happening. I can still visualize the scene, my mother’s dress, her high heels. (Sands 2016a, 105)[5]

Trasmessa in francese, la lingua diasporica in cui Inka Katz fu costretta a tradursi da sopravvissuta alla guerra, sul monumento la sua testimonianza è anche in inglese, ucraino ed ebraico. Le lingue creano un circuito di trasmissione, che dalla lingua in cui si è svolto l'evento (yiddish) conduce alla nuova lingua del luogo in cui è accaduto (ucraino) e alla nuova lingua vissuta (francese) fino alle lingue della memoria internazionale (inglese, ebraico).

Recuperato al linguaggio attraverso il dialogo con Philippe Sands, un parente appena scoperto, le parole di Inka Katz entrano in un circuito di conversazione, con lingue diversamente cariche di significato. Ogni strato di traduzione porta con sé nuove informazioni, ricontestualizzando l'evento, posizionandolo a diversi gradi di distanza.

Il secondo esempio, un poema in lingua yiddish di Israel Ashendorf inciso su una lastra di pietra, non è tanto un ricordo diretto degli eventi a L’viv quanto un ritorno immaginario a una "casa" che è stata occupata da estranei. Quale sensazione più inquietante che immaginare la propria casa e trovarla occupata da persone con cui non si hanno legami e che dormono nel tuo letto, cucinano nella tua cucina? La casa in cui torna il sognatore di Ashendorf ha sul tavolo “cibo straniero” e un'icona sulla parete.

La casa sarà probabilmente la stessa / aprirò la porta / I vicini verranno / Ma dei miei parenti – nessuno / Vedrò i vecchi mobili / usati da persone nuove / Nel letto dormiranno estranei / cibo straniero sul tavolo / Quando mi avvicinerò alla finestra / Vedrò un vaso / Sulla parete ci sarà / un'icona silenziosa (trad. mia dall’inglese)

Questa memoria immaginata evoca la situazione di tutti coloro che hanno visto le loro case e i loro beni sottratti, che sono stati esclusi dal loro passato dall’irruzione di nuove storie e lingue. Il poema drammatizza la doppia ingiustizia dell'appropriazione. A essere portato via non è solo lo spazio fisico di appartenenza, ma il diritto alla memoria. Che cosa succede dei ricordi di quelli del passato che non sono più presenti per reclamare il posto? Come James Young che chiede: “How does a city ‘house’ the memory of a people no longer at ‘home there?” (2006, 8).[6]

Il progetto The Space of Synagogues risponde a questa domanda allargando la comunità di coloro che sono i detentori della memoria. Una tale comunità deve estendersi ai nuovi proprietari del luogo, che vi partecipano direttamente.

Deborah Vogel

Il frammento di poesia di Deborah Vogel illustra una storia vissuta attraverso strati di traduzione e, oggi, è ravvivata. Vogel era una studiosa e poeta modernista yiddish. Era vicina a Bruno Schulz e intratteneva con lui un intenso scambio letterario.

Figura 1.3 Tra le prime donne ebree a ottenere un dottorato in letteratura polacca, Debora Vogel fu una delle poetesse moderniste più affermate in lingua yiddish.

Fu assassinata con il marito e il figlio nel ghetto di L’viv nel 1942. Le sue parole, incise su un'altra delle lastre di pietra, sono tratte da un suo testo degli anni Trenta:

Le strade sono come il mare: / riflettono il colore del desiderio / e la difficoltà dell’attesa. (trad. mia dall’inglese)

La citazione è in yiddish, la lingua letteraria che Vogel imparò soltanto da adulta. Lo yiddish non era la sua lingua madre e nemmeno la lingua della sua adolescenza. Era nata in una famiglia ebrea di lingua polacca e, insolitamente per un ebreo in quel periodo, ottenne un dottorato in letteratura polacca. Era attiva nei circoli modernisti e, negli anni '30, fu influenzata da un poeta di lingua yiddish, imparò la lingua e continuò a pubblicare sia la prosa che la poesia in yiddish. Era particolarmente attratta dalla tecnica modernista del montaggio.

L'auto-traduzione di Vogel in yiddish testimonia di un'epoca in cui la letteratura modernista yiddish era fiorente. Negli anni Venti e Trenta del Novecento l'attività letteraria era intensa – da Varsavia, Vilnius e Berlino, a New York e Montreal. Scegliere lo yiddish come linguaggio espressivo significava intraprendere un progetto lungimirante, basato su pratiche estetiche sperimentali e sulla convinzione che la cultura ebraica, laica e diasporica era vitale.

Solo di recente Vogel viene pubblicata in inglese, poiché il suo lavoro è stato scoperto da giovani lettori in grado di leggere lo yiddish. Anastasiya Lyubas è una di questi lettori, un’ucraina che ha imparato lo yiddish e ha pubblicato alcune versioni in lingua inglese delle poesie di Vogel. Nel 2015 una prima traduzione dell'opera di Vogel in ucraino è stata curata da Yurko Prokhasko. Secondo Lyubas, questa versione ucraina ha reso un servizio eccezionale alla poesia di Vogel perché ne ha rispettato il ritmo e il suo lessico riservando una particolare attenzione alla traduzione di dispositivi stilistici come la ripetizione e il parallelismo.

La traduzione di Vogel dallo yiddish all’ucraino, dallo yiddish all'inglese, diventa un'azione analoga all'esortazione di Philippe Sands: che i giovani di L’viv assumano queste storie come proprie. È un’offerta che presuppone una responsabilità condivisa e una distanza rispettosa da un tragico passato.

"La memoria” – scrive Eva Hoffman – è una "forza morale" per gli scrittori dell'Europa orientale che hanno combattuto a lungo contro le falsificazioni del passato. Veicolo della memoria, il linguaggio porta con sé una forza morale, la possibilità di restituire verità che sono state cancellate. La memorializzazione è quindi una storia di traduzioni che si estendono, di testi che si aprono verso l'esterno, da luoghi oscuri alla possibilità della luce. Queste versioni, come nello Space of Synagogues, si iscrivono proprio sui manufatti della vita urbana – sulle lapidi, sulla superficie dei marciapiedi, sulle assi di legno delle panchine, dove drammatizzano in modo dirompente il carattere conteso dello spazio urbano e il potere del linguaggio di segnare il possesso.

Józef Wittlin ricorda le panchine del parco di Lwów:

Blackened with age and rain, coarse and cracked like the bark of medieval olive trees. Generations of penknives have etched girlfriends’ names on you . . .

Where are you today? Who, and in what language, is now carving their lovers’ initials on you? (2016, 18) [7]

Traduzione di Marc Silver

Bibliografia

Applebaum, Anne (1994/2015) Between East and West: Across the Borderlands of Europe, London, Penguin.

Hašek, Jaroslav (2018) The Good Soldier Švejk, trad. C. Parrott. New York, Harper Perennial Modern Classics.

Hoffman, Eva (2016) “Preface” in City of Lions, London, Pushkin Press: 7–12.

Krytyka (2018) http://krytyka.com/en/reviews/day-figures-mannequins

Lyubas, Anastasiya (2016) “Debora Vogel. Day Figures. Mannequins.”

Sands, Philippe (2016a) East West Street, London, Weidenfeld & Nicolson.

——— (2016b) “My Lviv” in City of Lions, London, Pushkin Press: 95-156.

Starovoyt, Iryna (2018) “Landscapes of Guilt, Landscapes of Rescue”, Granice no. 2, Jan.: 23–36.

Vogel, Debora (2018) “Poetry by Debora Vogel”, in Translation, trans A. Lyubas, http://intranslation.brooklynrail.org/yiddish/poetry-by-debora-vogel

Wittlin, Jozef (1935/1970), Salt of the Earth, trans P. De Chary, Harrisburg, Stackpole Books.

——— (2016/1946) “My Lwow”, in City of Lions, trans A. Lloyd-Jones, London, Pushkin Press: 13–87.

Young, James Edward (2006) At Memory’s Edge: After-Images of the Holocaust in Contemporary Art and Architecture, New Haven, Yale University Press.

Note

[1] Traduzione italiana : Philippe Sands, La strada verso Est (2017), Milano : Guanda.

[2] Des Lebens Ausgang! Exitus vitae. Non sono nato a Lwòw, ma per molto tempo ho flirtato con l'idea che avrei passato l'ultimo autunno polacco della mia vita lì, annuendo dolcemente. Point de reveries! [trad. mia]

[3] “Mica un viale con ville, banche, un tribunale, una prigione, una scuola, una camera di commercio e un bagno turco. Per carità! Tutto ciò di cui ho bisogno è una viuzza senza fognature con solo dieci case”. [trad. mia]

[4] Scenari di colpa, scenari di salvezza.

[5] Mia madre è stata portata via… Ho visto tutto dalla finestra. Avevo dodici anni, non ero più una bambina… Ho visto mio padre in strada correre verso di lei… Ho capito che era finita…. Sapevo cosa stava succedendo. Riesco ancora a visualizzare la scena, la gonna di mia madre, i suoi tacchi alti. [trad. mia]

[6] "Come può la città essere il luogo di conservazione della memoria di un popolo quando quel popolo non si sente più a casa propria in quella città?" [trad. mia]

[7] Annerite dall'età e dalla pioggia, ruvide e screpolate come la corteccia degli ulivi medievali. Generazioni di coltellini vi hanno inciso i nomi delle fidanzate… Dove siete oggi? Chi, e in quale lingua, sta ora inscrivendo su di voi le iniziali dei loro amanti?

About the author(s)

Sherry Simon is Distingished University Research Professor in the French Department at Concordia University. She has published widely in the areas of intercultural and translation studies, most recently exploring the cultural history of linguistically divided cities and translation sites. Among her recent publications are Translating Montreal. Episodes in the Life of a Divided City (2006), Cities in Translation: Intersections of Language and Memory. (2012) and Translation Sites. A Field Guide.(2019) She has edited or co-edited numerous volumes, including Translation Effects: The Shaping of Modern Canadian Culture (with K. Mezei and L. von Flotow), (2014). She is a fellow of the Royal Society of Canada and a member of the Académie des lettres du Québec.

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©inTRAlinea & Sherry Simon (2021).
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