Leardo e’ re: un affresco teatrale a sei mani
By Giampiero Pizzol
©inTRAlinea & Giampiero Pizzol (2019).
"Leardo e’ re: un affresco teatrale a sei mani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2440
Il primo soggetto della storia risale ovviamente a Shakespeare, ma un’idea nuova era brillata nella mente di quell’irrequieto e geniale soggetto che è Tinin Mantegazza, genovese approdato a Cesenatico. La sua penna o forse meglio la sua matita di bozzettista aveva disegnato un Re romagnolo arricchito con il turismo del dopoguerra, un sovrano che estendeva il suo dominio sugli ombrelloni da spiaggia e sui cappelletti da tavola tenendo corte all’Hotel Britannia. Appena il vecchio Tinin me ne parlò, il mio pensiero corse e ricorse all’estro di Giovanni Nadiani compagno di studi e amico fraterno, creatore di uno slang comico e amaro che scorre nei Bar della Via Emilia, arteria portante del sangue romagnolo.
Dunque sui tratti di matita di Tinin, ecco, grazie alla penna di Giovanni, prendere forma il Personaggio del Re Leardo. La prima stesura era un monologo in cui questo Re ormai spodestato dalle novità imprenditoriali delle figlie (la nouvelle cuisine al posto delle tagliatelle, la techno music al posto del liscio, i bed and breakfast invece delle Pensioni tutto compreso, ecc.) si confidava con un folle barista. L’amarezza annegava nei bicchieri e il dialetto di Giovanni era più che mai aspro e nebbioso come un mare d’inverno.
Poi ecco la mia proposta teatrale di accendere le luci del palco rischiarando i fantasmi di questo Sovrano esiliato. Così ecco apparire un altro personaggio corrispondente al fedele Kent di shakespeariana memoria e in seguito anche un giovane attore desideroso di ascoltare e mettere in scena la tragedia. La trama ora affidata a tre interpreti era davvero un plot elisabettiano dove un paio di barboni gettavano sul palco tra porte di castelli e finestre di alberghi, sdrai da spiaggia e troni da reggia, tutte le vicende successe nella Romagna dagli anni ‘30 agli anni ‘80. Cinquant’ anni di regno e mille vicende: guerre, morti, liti, tradimenti, soldi, eredità, matrimoni, affari, musica e turismo in una giostra circense di felliniana memoria.
Qui Nadiani aveva campo libero per lasciar correre a briglia sciolta la sua lingua nobile e bastarda coniando parole figlie della lingua inglese e trapiantate in Riviera. Un linguaggio che sarebbe piaciuto anche al buon Bardo anglosassone abituato a contaminare i gerghi e i registri. Infatti anche la tragedia si stava mutando in commedia con alcune punte altissime di comicità irrefrenabile per precipitare poi nel baratro dell’amarezza. Le tre figlie: Gonilde, Reganda e Cordelia insieme alla regina dell’albergo la moglie Rosilde, ritraevano tutte le sfaccettature dei caratteri femminili romagnoli mentre il compagno di bevute Cin Cin, barista fallito prendeva a prestito citazioni del Fool shakespeariano con la naturalezza con cui un qualunque avventore cita la Gazzetta. Un Re cieco (o meglio falso invalido) aiutato da un giovane studente disoccupato denominato ironicamente Oxford descriveva visioni del passato e faceva risorgere sul palco eventi sepolti nel tempo come un tempestoso Prospero. Tutto avveniva nel lampo di una sera illuminata dal rosso del sipario e riscaldata dal rosso del vino. Il palco era osteria, balera, spiaggia, albergo, campagna, tribunale, strada e nebbia.
Chi ha visto e ascoltato questo Re Lear made in Romagna ha riconosciuto il cabaret di Giovanni ma anche la sua profonda poesia. Certamente Nadiani è stato uno scrittore e le molte opere nella sua troppo breve vita ci riconsegnano una parte della sua anima grazie alle numerose pubblicazioni. Ma chi ha la fortuna di averlo non solo letto ma anche ascoltato sa quanta parte espressiva della sua arte era affidata alla vocalità, alla pronuncia, al ritmo vivo del dialetto che come lingua orale è scritta più nell’aria che sulla carta .
Dunque quest’opera, affresco a sei mani dove al tratto di matita si aggiunge la penna e poi il colore del teatro ha la fortuna di conservare nelle sue repliche il sapore della poesia di Giovanni Nadiani come una musica conserva non nello spartito ma nell’esecuzione dal vivo la potenza dell’arte.
©inTRAlinea & Giampiero Pizzol (2019).
"Leardo e’ re: un affresco teatrale a sei mani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
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