Per Giovanni Nadiani

By Nevio Spadoni

©inTRAlinea & Nevio Spadoni (2019).
"Per Giovanni Nadiani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2446

Nadiani è stato il primo ad incoraggiarmi e ad invitarmi a pubblicare poesia, a uscire per così dire allo scoperto, ed era presente in giuria quando vinsi più di trent’anni fa il Premio Boncellino, che segnò un po’ la mia partenza artistica. A lui  che è stato anche mio collega di tedesco al liceo linguistico “Europa” di Forlì per tanti anni, devo tanto anche in questo senso. Non posso dimenticare il suo grande impegno che con l’amico, anche lui scomparso, Guido Leotta, ha profuso nel promuovere e condurre avanti per tantissimi anni Tratti, rivista attenta alla letteratura italiana e straniera, rivista che ha ospitato anche tanti giovani poeti, molti dei quali hanno poi pubblicato con Moby Dick, la casa editrice faentina diretta dallo stesso Leotta. Nadiani, anche in questo era bravo: era uno scopritore di talenti, e posso testimoniare che sapeva suscitare, specie nei giovani, interesse e amore per la cultura. Chi come il sottoscritto l’ha avuto come compagno di viaggio nel cammino poetico per più di trent’anni, non può dimenticare i tratti dell’uomo affabile, disponibile, di un  amico che sapeva incoraggiare e se necessario criticare; aveva una grande capacità d’ironia e anche di sarcasmo, perché teneva non solo alle sorti della nostra lingua romagnola, ma che si mirasse ad una poesia alta, fuori dagli stereotipi comuni e dalle banalità cui spesso veniva e viene relegata. E mi diceva tante volte: “certa gente fa un cattivo servizio non solo alla poesia, ma al nostro dialetto e alla nostra Romagna”. Su questo ero pienamente d’accordo con lui, anche se le scelte poetiche ci hanno portato ad operare camminando per sentieri differenti.

Debbo dire inoltre che due anni fa avevamo iniziato a scrivere un lavoro teatrale a quattro mani, ma quando ho saputo del suo male e dei devastanti interventi cui costantemente era sottoposto, non mi sono più sentito d’insistere nel continuare, per non affaticarlo ulteriormente. Mi sono limitato a telefonargli ogni tanto e ad inviargli alcune email alle quali puntualmente rispondeva, parlandomi dettagliatamente della sua sofferenza che in certi momenti era insopportabile. Abbiamo fatto assieme diverse letture pubbliche, non ultima, pochi mesi prima della sua dipartita, a Ravenna, nella piazzetta del Trebbo con Giuseppe Bellosi, Luciamo Benini Sforza, Elio Pezzi e Davide Rondoni, in una serata organizzata dalla Capit.

Giovanni  Nadiani nella panoramica della poesia in dialetto in Romagna è stato senz’altro una delle voci più sperimentali, se non il più sperimentale, attento alla contemporaneità in tutte le sue pieghe. La sua poesia infatti, fin dagli esordi, ha insistito sui temi dell’aridità della vita, sui gesti spesso banali del quotidiano, sull’incomunicabilità e sul disagio che disorientano l’uomo mercificato e massificato. In tutti i suoi lavori ha fotografato sacche di miseria del nostro tessuto sociale, la realtà multietnica e plurilinguistica di questo villaggio globale e anonimo,  e lo ha fatto con  un linguaggio asciutto, secco ed incisivo, con ricchezza di metafore e ricorrendo spesso a parole prese da altri idiomi. Una lingua meticcia la sua, con sintassi frantumata ed ecolalica; una poesia che si presta ad una recitazione accompagnata da musica dodecafonica, proprio perché rompe ogni misura; graffiante, con un ritmo tutto nuovo e insolito nel contesto della tradizione del dialetto romagnolo. Con la scomparsa di Nadiani, una gran fetta di Romagna se n’è andata, ma resta quella parola viva, forte, provocatoria, assolutamente aliena da retorica, da estetismi inopportuni, e orpelli sentimentali. Per lui una Romagna idillica non è mai esistita, e se il poeta ha ancora la funzione di antenna, di voce profetica che  scuote e grida nel deserto tra vociferanti votati al consumismo,  imbevuti di nichilismo, lui, sulla scia di Pier Paolo Pasolini ha saputo denunciare il vuoto di senso dell’oggi per recuperare alla vita la sua dimensione di sacralità autentica. Ho sempre saputo, fin dal primo momento che l’ho conosciuto, del suo essere intimamente cristiano, anche se l’ha manifestato con le opere e non con le parole, sia pure poetiche. Le ultime poesie, specie quelle raccolte in aNmarcurd (Non ricordo) sono improntate ad un radicale pessimismo, è vero,  ma non quelle che ha scritto  per l’omelia delle sue esequie, incentrate sul tema della resurrezione. Aveva predisposto con lucida cura tutto: letture, canti, musiche dell’amato Bach, e il discorso appunto di commiato. In tutti ha provocato un senso di commozione e al contempo infuso serenità. Ha fondato la sua speranza, anzi certezza di Resurrezione, sulla Resurrezione di Cristo, quasi a sottolineare il verbo paolino “Se Cristo non è risorto dai morti, vana è la nostra speranza”. Se n’è andato l’uomo fisico, ma la sua parola graffiante rimarrà.

©inTRAlinea & Nevio Spadoni (2019).
"Per Giovanni Nadiani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
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