“Per illimitata fantasia”:
pratiche di censura della letteratura per l’infanzia nell’ultima dittatura argentina
By Valeria Cassino (Independent)
Abstract
English:
This article examines the strategy of cultural repression of the last civic-military dictatorship in Argentina (1976-83) as a form of symbolic destruction that complemented physical violence and forced disappearance. The article will investigate the reasons that led the Junta to focus particularly on children's literature, considered a vehicle for subversive ideologies and therefore a priority target for censorship. Finally, it will analyse some censored books (fiction and school books) that best exemplify the strategies adopted and the aims pursued by the National Reorganisation Process.
Italian:
Il contributo prende in esame la strategia di repressione culturale dell’ultima dittatura civico-militare argentina (1976-83) come forma di distruzione simbolica complementare alla violenza fisica e alla sparizione forzata. Si indagheranno le ragioni che portarono la Giunta ad accanirsi in maniera particolare sulla letteratura per l’infanzia, considerato veicolo di ideologie sovversive e dunque bersaglio prioritario della censura; infine, si analizzeranno alcuni libri censurati (testi narrativi e scolastici) particolarmente esemplificativi delle strategie adottate e degli obiettivi perseguiti dal Processo di Riorganizzazione Nazionale.
Keywords: children's literature, censorship, cultural repression, Argentina, dictatorship, letteratura per l'infanzia, censura, repressione culturale, dittatura
©inTRAlinea & Valeria Cassino (2023).
"“Per illimitata fantasia”: pratiche di censura della letteratura per l’infanzia nell’ultima dittatura argentina"
inTRAlinea Special Issue: Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza
Edited by: Mirella Piacentini, Roberta Pederzoli & Raffaella Tonin
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2613
1. Premesse
Il 24 marzo del 1976, con un colpo di stato che destituì il governo di Isabel Martínez de Perón, in Argentina salì al potere l’ultima dittatura civico-militare, con a capo Jorge Rafael Videla. Il ‘Processo di Riorganizzazione Nazionale’, nome con cui l’ultima dittatura argentina si autodefinì, mise in atto fin dal suo insediamento una brutale politica repressiva, materiale e culturale, ancorata all’immaginario di una guerra contro il comunismo e la ‘sovversione’. Mentre la violenza fisica del regime è da tempo oggetto di ricerche, la violenza simbolica, meritevole di studi approfonditi per la sua complessità, ha destato in proporzione un interesse inferiore da parte del mondo accademico. Sebbene sia in atto un notevole avanzamento nella ricostruzione della storia recente argentina, la maggior parte degli studi dedicati presenta due limiti principali: a livello tematico si prediligono approcci correlati alla brutalità del regime e a livello geografico sono nettamente prevalenti studi limitati alla zona di Buenos Aires (González 2014b; 2019).
2. La politica culturale della dittatura
La politica culturale della Giunta si sviluppava su due fronti: da un lato, l’azione distruttiva volta a eliminare le persone e le idee considerate ‘sovversive’, dall’altro un’azione costruttiva che aveva l’obiettivo di imporre un altro discorso socio-culturale e di (ri)fondare un ordine sociale tradizionale alla luce dei valori cristiani (González 2014a: 61).
La ‘sovversione’ era la denominazione attribuita dalla destra argentina alle organizzazioni rivoluzionarie armate che operarono alla fine degli anni ‘60 e negli anni ‘70, tra cui spiccarono i Montoneros, guerriglieri appartenenti alla sinistra peronista, e l’Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), componente armata del Partido Revolucionario de los Trabajadores (PRT), di ispirazione marxista e guevarista.
Bisogna tuttavia precisare che la categoria ‘sovversivo’ presentava limiti estremamente labili ed elastici: in termini ideologici si poteva definire a grandi linee come l’intero universo di idee che metteva in discussione e, di conseguenza, in pericolo, il modello occidentale e cristiano auspicato dal regime (Gociol & Invernizzi 2015: 52-53); ciò nonostante, potenzialmente tutto poteva essere considerato ‘sovversivo’. All’interno della categoria era poi inglobato il marxismo, ritenuto l’ideologia più pericolosa; esso godeva tuttavia di una consistenza teorica e argomentativa più delineata, che si rifaceva a un corpus di autori più definito: Marx, Engels, Che Guevara, Mao, Lenin, Trotsky, solo per citare alcuni tra quelli che la censura colpì più duramente.
È importante premettere che, a differenza della Spagna franchista che si dotò di istituzioni specifiche per la censura, in Argentina non ci fu mai un organismo censore ufficiale e centralizzato, con un modus operandi lineare e programmatico. Questa ‘ubiquità’ divenne il tratto caratteristico del discorso argentino della censura culturale ed è anche ciò che lo rese così efficace e imponente: una repressione esercitata in maniera capillare, oscura e indiscriminata, apparentemente senza fondamenti, che portò il popolo argentino a interiorizzare un senso generalizzato di paura e di punizione (Avellaneda 2006: 33).
Il supporto burocratico creato dal regime per la repressione culturale e educativa prese il nome di ‘Operación Claridad’. La Giunta Militare percepiva la cultura come il campo in cui i ‘sovversivi’ stavano vincendo e riconosceva che, per eliminare definitivamente il nemico e imporre un modello duraturo, la lotta intellettuale richiedeva molto più tempo di quella armata; se sul piano fisico la militanza armata si considerava praticamente eliminata a seguito di anni di violentissima azione repressiva, si sentiva tuttavia la necessità di potenziare le strategie culturali, perché l’uccisione di tutti i guerriglieri non sarebbe bastata senza la disarticolazione di una tradizione culturale critica e progressista e lo smantellamento degli spazi di partecipazione socio-politica. La metodologia adottata dall’‘Operación Claridad’ fu quindi non solo l’eliminazione fisica delle persone sospettate di dedicarsi alla militanza politica, ma anche il sequestro e la distruzione dei loro beni culturali e del loro universo simbolico e ideologico.
Per cogliere la portata della strategia di repressione culturale del regime, risultano emblematiche le premesse che Gociol e Invernizzi, tra i principali studiosi del tema, fanno al loro lavoro di ricerca, confluito nel testo cardine Golpe ai libri:
Pur con le dovute differenze in termini di orrore e crudeltà, la presente ricerca muove dalla convinzione che, alla sparizione sistematica delle persone, sia corrisposta una altrettanto sistematica sparizione di simboli, discorsi, immagini e tradizioni. In altre parole: la strategia verso la cultura è stata funzionale e necessaria per il compimento integrale del terrorismo di stato, come strategia di controllo e disciplinamento della società argentina. Da un lato c’erano i campi di concentramento, le prigioni, i sequestri e le torture. Dall’altro, una complessa infrastruttura per il controllo culturale ed educativo. […] Due infrastrutture concepite come complementari e inseparabili. Due facce della stessa medaglia. (Gociol e Invernizzi 2015: 21)
Come la strategia culturale del regime, caratterizzata da un doppio piano di distruzione e costruzione, anche l’atto materiale di censura si divideva in due parti: la prima consisteva nell’eliminazione di qualsiasi prodotto o atto culturale che potesse essere considerato ‘sovversivo’, mentre la seconda risultava nell’imposizione dell’ideologia di regime attraverso l’elaborazione e la diffusione di materiale e l’intervento di istituzioni culturali come scuole, università e mezzi di comunicazione statali (Raggio 2009: 5).
La prima fase era un meccanismo piuttosto articolato che metteva in campo diverse forze e che vedeva la Direzione Generale per le Pubblicazioni (DGP) come responsabile dello sviluppo della politica di controllo e censura. La DGP fu l’organo per eccellenza del controllo culturale, dipendente dal Ministero degli Interni e creato per ispezionare tutti i tipi di materiale stampato (a parte i quotidiani), spettacoli o registrazioni; si avvaleva inoltre della collaborazione della Polizia, delle Forze Armate e della Segreteria di Intelligence di Stato (SIDE) per le operazioni di controllo.
Tra i metodi utilizzati dai militari figuravano perquisizioni a intellettuali, ispezioni nelle biblioteche pubbliche e nelle librerie in cerca di libri sospetti, interventi drastici nelle case editrici. Uno dei metodi più utilizzati fu il rogo: vennero bruciati titoli proibiti, opere sequestrate, interi cataloghi editoriali e perfino biblioteche personali. Tra i casi più eclatanti si ricordano il rogo del 29 aprile 1976 a La Calera, in provincia di Córdoba, dove si bruciarono migliaia di riviste e libri considerati marxisti[1], il caso EUDEBA (Editorial de la Universidad de Buenos Aires) del 27 febbraio 1977 durante il quale andarono distrutti circa 80000 esemplari e il clamoroso episodio del CEAL[2] (Centro Editor de América Latina) del 26 giugno 1980, che vide circa un milione e mezzo di libri e fascicoli dati alle fiamme in un terreno incolto di Sarandí, in provincia di Buenos Aires. È interessante notare in questo caso l’intento di legittimazione del regime, che pubblicò un atto formale e obbligò un impiegato della casa editrice, Ricardo Figueira, a ricoprire il ruolo di fotografo ufficiale.
Tutti questi atti rientrano nella definizione di ‘biblioclastia fondamentalista’ coniata da Umberto Eco (2007): una spinta distruttiva mossa dall’odio per i libri, non come oggetto in sé, ma come veicolo di idee che spaventano il biblioclasta a tal punto da volerne impedire la diffusione. Pertanto, il libro non viene distrutto come oggetto fisico, ma con l’obiettivo di annichilire la memoria che racchiude e il patrimonio di idee che rappresenta e che mette in pericolo un sistema di valori considerato superiore (Baez 2004: 22).
Attraverso queste pratiche il regime, che voleva affermare l’inutilità del libro, paradossalmente rafforzò l’idea contraria, ossia che un libro conteneva in sé una forza sufficiente per essere veicolo di ideologie ‘sovversive’: nel tentativo di distruggerlo, riconobbe nel libro un “simbolo di pensiero, di possibilità di cambiamento e di sogni di vita” (Gociol 2001: 51).
3. La letteratura per l’infanzia: un obiettivo prioritario della repressione
La letteratura per l’infanzia si è a lungo contraddistinta come territorio di incontro tra principi morali, politici e pedagogici e come strumento di disciplina attraverso cui imporre un codice etico; non è un caso, dunque, che essa abbia costituito da sempre uno spazio che l’occhio censore indaga con particolare attenzione.
Secondo la critica argentina María Adelia Díaz Rönner, la letteratura per l’infanzia costituisce “un universo estetico, ideologico e sociale in costante belligeranza” poiché in esso convergono il mondo degli adulti e quello dei bambini in maniera totalmente asimmetrica (2011: 201). Una delle sue caratteristiche principali è infatti la costruzione binaria del destinatario: da una parte il bambino, che dovrebbe essere la ragione primaria di questa letteratura, e dall’altra l’adulto che – pur essendo destinatario indiretto – fa valere le sue ragioni attraverso un’opera di mediazione e selezione (Arpes & Ricaud 2008: 19-20). L’adulto, sia come destinatario indiretto sia come autore del testo, agisce come custode dei valori di riferimento e lo fa spesso con pretesa egemonica, non riconoscendo al bambino autonomia e soggettività. La Giunta sentiva pertanto l’obbligo morale di preservare l’infanzia da quei testi che rischiavano di mettere in discussione valori sacri come religione, patria e famiglia e che si facevano largo sempre più nella produzione editoriale destinata ai bambini e alle bambine, considerata ’sovversiva’ e ‘marxista’[3].
Gli anni ‘70 avevano rappresentato anche in Argentina un periodo di lotte e di resistenza e questo aveva influito enormemente sulle creazioni culturali dell’epoca: stava emergendo di conseguenza anche una visione diversa della letteratura per l’infanzia, grazie a una nuova generazione di autori, la cosiddetta Banda de los Cronopios[4] che, pur rivendicando autonomia creativa, si caratterizzava per alcuni tratti comuni, primo fra tutti quello di lavorare dalla letteratura e per la letteratura (Díaz Rönner 2011: 161-162). Questi autori possono definirsi eredi della figura pionieristica di María Elena Walsh, scrittrice, compositrice, cantante che negli anni ‘60 aveva rifiutato categoricamente il didattismo imperante nella letteratura latinoamericana per l’infanzia, sovvertendo attraverso le infinite risorse della lingua gli ordini prestabiliti e dimostrando le infinite potenzialità estetiche, politiche e sociali di questa letteratura (Dunbar 2014). Per comprendere la portata rivoluzionaria di questo gruppo di autori è importante sottolineare che essi si dedicarono anche alla riflessione critica, tramite la scrittura di saggi e l’organizzazione di convegni, con l’obiettivo di creare uno spazio di legittimazione teorica e garantire finalmente un’autonomia estetica alla letteratura per l’infanzia, fino ad allora subordinata a quella ‘per adulti’ e considerata un mero veicolo didattico-pedagogico.
Ad ambientazioni neutre e “astoriche”[5] la Banda de los Cronopios preferiva narrazioni calate in contesti reali, contemporanei e riconoscibili, spesso segnati da problemi, conflitti e discriminazioni sociali riconducibili alla realtà del paese. A livello linguistico, risaltavano le impronte rioplatensi come l’uso del vos – all’epoca proibito nelle scuole – e l’abolizione dei diminutivi utilizzati per creare un linguaggio infantile forzato e artificioso; per le tecniche narrative, si ricorreva a una certa intertestualità, all’uso dello humour e della parodia (Arpes & Ricaud 2008: 88). Infine, un altro tratto rivoluzionario era l’instaurazione di un rapporto più diretto con il lettore, che veniva chiamato in causa e sollecitato a porsi interrogativi: il bambino iniziava finalmente a essere considerato un soggetto autonomo con una propria identità e un proprio gusto, non più una sorta di tabula rasa o un contenitore vuoto dentro il quale gli adulti dovevano riversare valori etici destinati alla tutela della morale imposta.
La Giunta di Videla, attraverso i libri destinati ai più piccoli, voleva imporre un percorso ideologico e una formazione civica che garantisse la persistenza di determinati valori e la sopravvivenza del regime stesso, ed è per questo che considerò tutti i tratti sopra elencati estremamente sovversivi e si accanì dunque in maniera particolarmente aggressiva – molto più delle dittature che l’avevano preceduta – sulla letteratura per l’infanzia e sugli autori che di questa Banda facevano parte.
In questo processo di repressione giocò un ruolo fondamentale anche il mondo civile: se da un lato molti militari non agivano spinti da senso critico, ma erano solo automi e burocrati alla spasmodica ricerca di libri da censurare, dall’altro la dittatura poté contare sulla collaborazione di tantissimi civili, intellettuali e pensatori autorevoli, ben coscienti delle idee e dei valori contenuti nei libri che distruggevano (Bossié 2008). Il loro apporto fu fondamentale per il piano culturale del regime, impersonando così quello che Avellaneda (1986a) chiama “discorso di appoggio”: un discorso non ufficiale che vedeva i civili non solo manifestare il loro entusiasmo per le decisioni del governo, ma talvolta addirittura denunciare opere o sollecitare essi stessi misure da prendere.
I controlli destinati alla letteratura per l’infanzia e al settore educativo furono affidati alla Commissione per l’Orientamento dei Mezzi Educativi, istituita nel 1979 all’interno della Segreteria di Stato per l’Educazione. Il compito della Commissione era quello di pronunciarsi sul materiale didattico e stilare liste nere dei libri proibiti oppure liste contenenti il materiale approvato a cui gli insegnanti dovevano attenersi rigidamente. Queste liste diedero avvio anche a un meccanismo di censura per omissione, poiché i libri che non comparivano in nessuna delle due per prudenza venivano automaticamente eliminati dai programmi scolastici. Pertanto, oltre ai libri apertamente proibiti attraverso liste nere e decreti di censura, esiste tutto un substrato di opere eliminate come risultato di un processo silenzioso e occulto di autocensura. Per tale motivo, dunque, non si conoscono i limiti di questa operazione e risulta estremamente difficile quantificare le opere censurate dalla dittatura. Una lista incalcolabile di opere ha smesso di circolare a causa della repressione del regime e non è stata più ripubblicata, neppure dopo il ritorno alla democrazia.
Si procederà ora all’analisi di alcuni libri di narrativa e testi scolastici censurati durante gli anni della dittatura. Per la narrativa, a livello metodologico si sono privilegiati i libri che dopo la fine della dittatura sono stati nuovamente pubblicati, perché ciò ha permesso una ricerca più approfondita e un’analisi comparata delle edizioni. Per quanto concerne invece i libri scolastici, sono state scelte alcune opere più esemplificative delle strategie di repressione del regime.
Si segnala che per il presente contributo è stata operata una selezione di un più ampio corpus di testi analizzati, frutto di un’approfondita ricerca condotta da agosto a dicembre 2016 in Argentina, per la stesura della tesi di laurea magistrale, presso archivi e biblioteche delle città di Córdoba, Buenos Aires e La Plata. Uno dei luoghi più significativi della ricerca è stata la Biblioteca Popular La Chicharra di La Plata, presso cui è stato possibile consultare questi libri e in molti casi confrontarne le edizioni pre e post censura. Nella biblioteca opera il collettivo La Grieta, i cui membri si sono dedicati al primo lavoro sistematico di ricerca, raccolta e catalogazione dei testi per l’infanzia censurati dall’ultima dittatura argentina, mossi dall’esigenza di recuperare quei testi per preservarli, promuoverne lo studio e la diffusione e utilizzarli nei processi di costruzione della memoria collettiva.
4. I testi censurati
Di seguito si riportano alcuni tra i casi più significativi di testi per l'infanzia sottoposti a censura.
4.1 Laura Devetach, La torre de cubos
Immagine 1: Copertina de La torre de cubos di Laura Devetach (edizione del 1973)
La torre de cubos di Laura Devetach (Immagine 1) è una raccolta di otto racconti pubblicata per la prima volta nel 1966 da Eudecor, casa editrice dell’università di Córdoba. Per meglio contestualizzare l’accanimento della Giunta verso questo libro, è importante sottolineare che l’autrice appartiene alla sopracitata Banda de los Cronopios e che insieme ai suoi compagni rivoluzionò la letteratura argentina per l’infanzia, innovandone il linguaggio, l’estetica e i temi trattati.
Devetach si dedica alla creazione letteraria, oltre che alla professione di insegnante, mossa da due bisogni principali: ricercare una risposta agli interessi profondi dell’infanzia e le possibili vie di comunicazione (Devetach 2012: 76). Questa esigenza risulta evidente nella sua opera La torre de cubos, che a causa della sua impronta progressista e irriverente subì nel 1976 la prima censura nella provincia di Santa Fe, in seguito estesa anche ai territori di Córdoba, Buenos Aires e Mendoza, per poi diventare nazionale nel 1979. Leggiamo un estratto del decreto di censura:
[…] dall’analisi dell’opera La torre de cubos, si evincono gravi carenze, quali una simbologia confusa, contestazioni ideologico-sociali, obiettivi non adeguati al fine estetico, illimitata fantasia, carenza di stimoli spirituali e trascendenti; […] alcuni dei racconti-narrazioni inclusi nel libro citato minano direttamente lo scopo formativo che deve ispirare ogni intento comunicativo, focalizzandosi su aspetti sociali come la critica all’organizzazione del lavoro, alla proprietà privata e al principio d’autorità affrontando gruppi sociali, razziali o economici su base completamente materialistica, mettendo inoltre in discussione la vita familiare, con distorsioni e capovolgimenti di cattivo gusto che, anziché aiutare a costruire, portano alla distruzione dei valori tradizionali della nostra cultura. (in Devetach 2018: 17)
L’espressione che più colpisce leggendo il decreto di censura è ‘illimitata fantasia’, annoverata tra i motivi che ne impongono la proibizione. In tempi in cui doveva vigere il monologo autoritario, la fantasia era considerata veicolo di ideologie sovversive e dunque obiettivo prioritario della repressione: creatrice di alternative, polifonica e imprevedibile, pericolosa perché indomabile. Laura Devetach metteva la sua fantasia a servizio di ciò che si considerava ‘sovversione’: la difesa dell’uguaglianza di tutte le etnie; l’introduzione di nuovi paradigmi familiari, con una spartizione equa dei compiti domestici tra uomo e donna; lo stimolo all’autoaffermazione delle figure femminili, descritte come forti e indipendenti, senza la condiscendenza e la sottomissione che da sempre ne avevano permeato la caratterizzazione letteraria. Un’altra delle caratteristiche della scrittura di Laura Devetach è, oltre alla fusione tra l’immaginazione e le tematiche sociali, la valorizzazione di un linguaggio popolare e quotidiano, in cui spicca l’uso del ‘voseo’ tipicamente argentino, e il gioco con il significante che fa da contrappunto al significato unico imposto (Stapich & Cañón 2013; Devetach 2012). Di fatto, un’altra delle battaglie ideologiche del regime era proprio l’affermazione di un linguaggio neutro e uniforme, senza connotazioni sociali o regionalismi, e questa fu un’altra delle motivazioni che condannarono La torre de cubos alla censura. La stessa scrittrice ricorda il tentativo del regime di sbiadire la creatività linguistica e di imporsi nello spazio inviolabile della creazione letteraria:
Volevano che parlassimo e vivessimo in bianco e nero. Volevano penetrare nello spazio poetico in cui stanno le cose inalienabili, rendere neutro il linguaggio, non lasciare nemmeno una traccia della povertà sociale, della possibilità di un altro mondo. (Devetach 2018: 18)
Il racconto dell’antologia che destò maggiore scandalo fu La planta de Bartolo, la storia di un bambino che pianta un albero di quaderni da regalare agli amici del quartiere che non possono permetterseli. Interessato a fare affari con questa pianta, si avvicina a lui un ricco imprenditore, che però si vede rifiutata ogni possibilità di lucro da Bartolo. In questo racconto si toccano temi come la proprietà privata e il capitalismo e risulta evidente una critica all’abuso di potere.
Nonostante le proibizioni del regime, vale la pena menzionare come si creò uno spazio di resistenza e di disobbedienza, ben esemplificato da tutti quei maestri che negli anni della dittatura continuarono a far circolare e a proporre ai propri studenti e studentesse La torre de cubos, attraverso copie clandestine anonime: è proprio a questi insegnanti che Laura Devetach dedicherà la riedizione del suo libro dopo il ritorno alla democrazia (Devetach 2016: 7).
4.2 Ayax Barnes e Beatriz Doumerc, La línea
La línea, nata dal sodalizio artistico formato dall’illustratore Ayax Barnes e dalla scrittrice Beatriz Doumerc, venne pubblicata nel 1975 dalla casa editrice Granica e nello stesso anno le fu attribuito il prestigioso premio dell’istituzione cubana Casa de las Américas. Tra i motivi della premiazione, la giuria sottolineò l’originalità, il senso dell’umorismo e il potere di sintesi del libro, che riesce a dare una visione del mondo contemporaneo a un pubblico eterogeneo, di diverse fasce d’età (Krause in Doumerc & Barnes 2015).
Proprio lo humour sovversivo e il legame a ideologie opposte a quelle del regime portarono La línea a subire un inevitabile processo di censura nel 1976; la sua circolazione in Argentina sarà interrotta fino al 2003, anno della sua riedizione. La casa editrice Granica fu costretta a liberarsi delle copie de La línea e il direttore dovette lasciare l’Argentina; anche gli autori Doumerc e Barnes furono condannati all’esilio e si trasferirono in Europa, prima in Italia e in seguito in Spagna.
Il libro costituisce una riflessione sulle azioni umane attraverso l’interazione grafica tra un uomo e una linea che traccia diversi contorni e traiettorie. Nonostante l’apparente semplicità, la meditazione alla base, sulla direzione della storia e del destino dell’uomo, è estremamente profonda e potente. La línea è inoltre uno dei primi albi illustrati dell’epoca: il testo e le illustrazioni costituiscono infatti un connubio inscindibile. Secondo quanto afferma l’autrice Beatriz Doumerc, la gestazione de La línea durò una notte: dapprima Ayax Barnes disegnò l’uomo e la linea e poi insieme ne scoprirono tutte le potenzialità creative, di seguito descritte da Gabriela Pesclevi, membro del collettivo La Grieta:
La linea ha il potere di cambiare, di trasformare le cose. E la storia che racconta è la storia di un uomo con quella linea, quello che può fare con essa. Cosa genera la riga. Ci porta sul piano delle idee e della storia. Si possono disegnare alberi, uccelli, un ‘uomo nuovo’. La linea ci può aggrovigliare, dividere, attaccare. Riunire e sostenere. (2014: 181)
È interessante menzionare che quando fu rieditato, ormai nel XXI secolo e in piena democrazia, si scelse di sostituire il colore rosso originale della linea con l’azzurro (Immagine 2). Questa operazione, dovuta all’associazione del rosso con i movimenti politici di sinistra che poteva comprometterne la vendita nelle scuole, risulta piuttosto emblematica delle diverse forme di censura che La línea ha subito, non solo in epoca di dittatura, ma anche in democrazia. Nel 2015, a 40 anni dal premio Casa de las Américas, la casa editrice Eclipse ha deciso di pubblicare una versione commemorativa e di ritornare al colore rosso usato in origine da Barnes, per riabilitare pienamente il libro e rendergli definitiva giustizia (Immagine 3).
Immagine 2: Copertina de La línea (edizione 2013)
Immagine 3: Copertina de La línea (edizione commemorativa 2015)
4.3 Elsa Bornemann, Un elefante ocupa mucho espacio
Un altro libro di narrativa per l’infanzia fondamentale in Argentina è Un elefante ocupa mucho espacio di Elsa Bornemann, pubblicato da Editorial Fausto nel 1975 (Immagine 4) e subito acclamato con entusiasmo, tanto da essere il primo libro argentino a ottenere l’inserimento nel 1976 nella Lista d’Onore del Premio Internazionale Hans Christian Andersen, assegnatogli da Ibby come ‘eccellente esempio di letteratura con importanza internazionale’ (in Bornemann 2015: 101).
Immagine 4: Copertina di Un elefante ocupa mucho espacio di Elsa Bornemann (edizione 1975)
Un elefante ocupa mucho espacio fu censurato il 13 ottobre 1977 attraverso il decreto 3155 firmato da Videla e Harguindeguy, poiché a giudizio del regime era fautore di posizioni contrarie alla morale, alla famiglia, all’essere umano e alla società. Due giorni dopo, il quotidiano La Nación informò della proibizione, del sequestro di tutte le copie del libro e della chiusura della casa editrice Fausto per dieci giorni. Il libro fu rimesso in circolazione subito dopo il ritorno alla democrazia, nel 1984[6].
L’opera è una raccolta di quindici racconti, illustrati nella versione originale da Ayax Barnes. Il libro si caratterizza per una narrativa fresca che non contiene morali definitive, ma stimola la fantasia e la riflessione. Si tratta di un’altra delle opere che imprimono una nuova direzione alla letteratura per l’infanzia argentina, unendo temi innovativi e un uso rivoluzionario del linguaggio e del colore: anche Elsa Bornemann faceva parte della Banda de los Cronopios. Grazie al ritrovamento della dettagliata relazione che l’intelligence stilò su Un elefante ocupa mucho espacio, è stato possibile analizzare le motivazioni che il regime addusse per giustificarne la proibizione:
Questa pubblicazione comprende quindici storie scritte da Elsa Bornemann, destinate a un pubblico infantile. Sono tutte narrazioni brevi, agili, dove si mescolano umorismo, azione e fantasia.
Attraverso una breve sintesi possiamo enumerarli e analizzarli come segue: [...]
Un elefante ocupa mucho espacio:
In questa storia, si evidenza l’intenzione dell’autrice, attraverso una forma collaborativa di disgregazione sociale, di seminare idee dissolute nella mente dei bambini. [...]
Dall’analisi di questa pubblicazione emerge che [...] hanno una finalità di indottrinamento che è propedeutica al compito di reclutamento ideologico dell’azione sovversiva. (Decreto 1774/73)
Il primo racconto, che dà il nome alla raccolta, narra la storia di Víctor, un elefante che vive rinchiuso in un circo e decide – aiutato dagli altri animali – di organizzare uno sciopero per riacquistare la libertà e tornare nel proprio habitat naturale. Durante l’ammutinamento, si produce un’inversione carnevalesca: gli animali sottopongono gli umani alle stesse prove che hanno dovuto sopportare, per mostrare loro le sofferenze causate dalla cattività e dai maltrattamenti.
Fu questo probabilmente il racconto che suscitò l’indignazione più grande, per la presenza di rivendicazioni sociali e aspirazioni di libertà. All’epoca, tuttavia, come ricorda la stessa Bornemann, lo sciopero era un diritto perfettamente legale e riconosciuto e non certo una forma di disgregazione sociale o un atto di sovversione, espressioni presenti nella relazione dell’intelligence e nel decreto di censura. Inoltre, la scrittrice afferma che quando scrisse questo racconto non lo considerò come una metafora della dittatura, bensì una semplice storia in difesa degli animali; fu il regime a forzarne la lettura interpretando il testo come una parodia del Processo di Riorganizzazione Nazionale.
4.4. I testi scolastici censurati: Dulce de leche e Un libro juntos
Il controllo dei libri di testo adottati nei diversi livelli d’istruzione fu un’altra delle priorità della dittatura. Nei casi che saranno analizzati di seguito si rende evidente una delle strategie del regime, la censura por tijeretazo [per sforbiciata] che non dava luogo alla proibizione dell’opera, ma alla riedizione del testo a patto che venissero eliminate o sostituite le parti ritenute sconvenienti. Uno de casi più emblematici fu il libro di lettura per il quarto anno della scuola primaria Dulce de leche, scritto da Beatriz Tornadú e Carlos Joaquín Durán e illustrato da Mirtha Castillo (Immagine 5).
Immagine 5: Copertina di Dulce de leche di Beatriz Tornadú e Carlos Joaquín Durán (edizione 1974)
Questo libro condensava molte delle innovazioni introdotte nei libri di testo a partire dalla fine degli anni ‘50: un uso rivoluzionario dell’illustrazione, la predilezione per le tematiche sociali, l’inclusione di testi con finale aperto e senza morale, l’aggiunta di tratti colloquiali al linguaggio. Si notava quindi un sostanziale avvicinamento al lettore bambino, attraverso temi più affini al suo contesto e un linguaggio riconoscibile e familiare. L’autrice Tornadú definì Dulce de leche una ‘proposta ribelle’ poiché si distaccava dal canone formale e moraleggiante e si basava sul principio della rottura della distanza con il destinatario, con l’obiettivo di dare spazio ai suoi interrogativi e ai suoi interessi (in Pineau et al. 2006: 62).
Nel 1976 la casa editrice Estrada chiese agli autori di modificare alcuni testi, che avevano suscitato l’obiezione da parte delle autorità educative della provincia di San Juan. È stato possibile confrontare le due copie, e di conseguenza analizzare le modifiche imposte agli autori, presso la Biblioteca La Chicharra di La Plata, che possiede entrambe le versioni. In generale, possiamo affermare che vennero eliminati tutti i riferimenti alle differenze economiche e sociali tra i bambini, nel tentativo di costruire un’immagine idilliaca dell’infanzia e cancellare qualsiasi conflittualità della realtà contemporanea. A tal proposito, si segnala il racconto Una familia nómade, che descrive le dure condizioni di vita di una famiglia di braccianti stagionali e l’impossibilità per i loro figli di accedere a un’istruzione; nella versione epurata viene eliminato il riferimento alla mancata alfabetizzazione e il racconto si trasforma in una lode all’agricoltura, alla famiglia e alla patria. Di seguito si riportano i due differenti testi, la versione originale del 1974 e la versione con modifiche ripubblicata nel 1978:
Una familia nómade (1974) ¿Cuánto dura la vendimia? ¿Lleva mucho tiempo la esquila? Hay trabajos que son continuos. Duran poco tiempo. Como son trabajos que van de temporada en temporada, se los llama temporarios. Para ellos, se emplean obreros temporarios. Algunos trabajos temporarios son: la vendimia, la esquila, el corte de la caña de azúcar, la cosecha de duraznos, manzanas, naranjas, la cosecha de papa, la recolección del tabaco y del algodón, y la poda de la yerba mate. Trabajan hombres y mujeres. Muchas veces son matrimonios con hijos. La familia va de región en región, de trabajo en trabajo. Es una familia nómade. César es hijo de una de esas familias. Por eso nunca pudo ir a una escuela: debió acompañar a sus padres. César no sabe leer ni escribir. Para él, estas palabras son dibujitos misteriosos. César es analfabeto. |
Una familia nómade (1978) Ese es Lucho, el hijo menor. Recolecta algodón. Detrás están los demás: Rosendo y Juana, los padres; Aldo y Hugo, los hermanos. Más allá están los abuelos, doña Dominga y don Martín. Hacen trabajos temporarios. Trabajos que duran un tiempo. Algunas de estas tareas son: el corte de la caña de azúcar, las cosechas de duraznos, de manzanas, la recolección del tabaco, la poda de la yerba mate y la esquila. Acá están los hermanos mayores. Están vendimiando. El racimo maduro se desgrana entre sus dedos. Después se irán a cosechar naranjas. Van de región en región. Son una familia unida. Trabajan cosechando la patria. |
Si pone l’accento sui due finali diversi, che riassumono in maniera piuttosto emblematica l’operazione di censura effettuata e il contrasto essenziale tra la volontà originale degli autori di sensibilizzare bambini e bambine ai temi della contemporaneità e alle disparità socioeconomiche e quella del regime di veicolare invece l’esaltazione di valori patriottici e di edulcorare la realtà:
- 1974: “César non sa né leggere né scrivere. Per lui, queste parole sono scarabocchi misteriosi. César è analfabeta”;
- 1978: “Sono una famiglia unita. Lavorano raccogliendo la patria”.
Un’altra caratteristica della versione modificata è l’eliminazione dei finali aperti[7] e di altri stimoli per una lettura attiva e creativa da parte del bambino. Nel testo originale alla fine del libro c’era una foto degli autori con il loro indirizzo, affinché i bambini potessero inviare lettere con opinioni e suggerimenti; nella versione del 1978, la foto viene eliminata, togliendo ai lettori uno spazio di interazione e la possibilità di elaborare un pensiero personale.
Un ultimo cambiamento piuttosto interessante che ha subito Dulce de leche riguarda la storia intitolata “El gusano y el escarabajo”. Nella versione del 1974, un racconto a fumetti narra la storia di uno scarabeo che sfrutta un baco da seta, finché questo non si trasforma in farfalla e vola via dalla schiavitù (Immagine 6).
Immagine 6: Fumetto “El gusano y el escarabajo” contenuto in Dulce de leche (edizione 1974)
Immagine 7: “Fábula del gusano y el escarabajo” contenuta in Dulce de leche (edizione 1978)
Come è possibile vedere nelle immagini tratte dalle due versioni, nel testo modificato (Immagine 7) si racconta una storia completamente diversa, senza nessun riferimento allo sfruttamento e al capitalismo ma con un’esaltazione del valore della famiglia. Mentre il baco divide la sua giornata equamente fra il lavoro, la casa e i suoi cari, lo scarabeo non fa altro che lavorare giorno e notte e per questo i suoi familiari, sentendosi trascurati, lo abbandonano. Con l’aiuto del baco lo scarabeo ridefinirà la sua scala di valori e, fatta ammenda, recupererà l’amore della sua famiglia e imparerà a essere un buon padre e marito. Confrontiamo anche in questo caso i due diversi finali, che riassumono in maniera significativa l’operazione e le intenzioni alla base:
- 1974: ‘Se il lavoro non serve a essere liberi, allora è schiavitù!’;
- 1978: ‘Chi ama la sua famiglia è libero e felice’.
Inoltre, possiamo notare dalle immagini che anche la forma del fumetto viene eliminata poiché non considerata una forma valida di letteratura; si predilige un racconto scarno, senza nessuna illustrazione.
Il secondo testo scolastico che si analizza è Un libro juntos scritto da Beatriz Ferro e illustrato da Clara Urquijo (Immagine 8).
Immagine 8: Copertina di Un libro juntos di Beatriz Ferro, con le illustrazioni di Clara Urquijo (edizione 1976)
Come Dulce de leche, era destinato ai bambini della classe quarta della scuola primaria e fu pubblicato dalla casa editrice Estrada. Si considera un testo particolarmente meritevole di attenzione all’interno di questa analisi poiché fu oggetto di un tentativo di censura por tijeretazo piuttosto estremo. All’autrice venne consegnata da parte di un impiegato della casa editrice una copia del libro con 59 osservazioni diverse, segnate da due lettere chiave: S di sacar [togliere] e C di cambiar [cambiare]. Inoltre, vennero aggiunte note laterali o a piè di pagina, parole cerchiate o sottolineate, punti interrogativi. Grazie alla consultazione di questa copia con i suggerimenti custodita presso La Chicharra, è stato possibile rendersi conto che tutte queste modifiche non erano mere preferenze stilistiche, ma l’espressione di un’ideologia e di una maniera di concepire l’infanzia. Non si seppe mai se l’autore di queste correzioni appartenesse alla casa editrice oppure fosse un funzionario del Ministero o un ispettore municipale. È noto invece che l’autrice Beatriz Ferro non accettò mai tali cambiamenti perché avrebbero snaturato del tutto il suo libro, che fu condannato inevitabilmente alla proibizione.
Poiché operare un’analisi esaustiva caso per caso sarebbe pressoché impossibile, si è preferito individuare due macroaree che presentassero casi di censura particolarmente esemplificativi: i riferimenti culturali e le scelte lessicali.
La prima categoria più colpita sono i riferimenti alle tradizioni e alle culture indigene, che vengono completamente eliminati. Come possiamo vedere dall’immagine della lettura “Mi escuela, la tuya, la nuestra” (Immagine 9), viene richiesta l’eliminazione dei passi in cui si menzionano le culture autoctone e le lingue indigene come il quechua, il toba e il mataco.
Immagine 9: Lettura “Mi escuela, la tuya, la nuestra” contenuta in
Un libro juntos (versione con commenti, correzioni e indicazioni di parti da censurare)
Sul piano lessicale vengono eliminati tutti i colloquialismi, come la parola ‘compinche’ e l’intercalare ‘Y bueno’. Inoltre, si sopprime ogni riferimento alla fantasia e alla creatività linguistica, come ad esempio i passaggi in cui l’autrice invita i giovani lettori a creare un finale immaginario per un racconto e a inventare nuove parole come ‘parahojas’, ‘paralunas’ e ‘paranieves’, modellate su ‘paraguas’ y ‘parasol’.
In generale, possiamo affermare che viene eliminata ogni possibilità per il bambino di esprimere un’opinione, di esercitare la fantasia, di essere coinvolto in prima persona. Il bambino non era considerato dal regime un soggetto attivo del processo dell’apprendimento, come risulta evidente dal lapidario commento inserito in una delle attività del libro, che richiedeva l’elaborazione di un pensiero personale: ‘Non hanno l’età per esprimere un’opinione’.
Conclusioni
La selezione operata per il presente contributo non è che un corpus molto limitato di opere rispetto all’immensità di quelle censurate dall’ultima dittatura civico-militare argentina. Opere proibite con decreti ufficiali, tolte dalla circolazione perché omesse nelle liste dei testi approvati, rimaste inedite per un processo di autocensura. Molte autrici e autori furono esiliati, come Barnes e Doumerc; altri riuscirono a restare in Argentina, come Laura Devetach, ma furono “costretti al silenzio o al balbettio espressivo” (Avellaneda 1986b: 29), provarono a escogitare nuovi metodi di scrittura, lettura e circolazione delle opere, stratagemmi che fungessero da interstizi di resistenza, come l’uso di metafore e allegorie (Bossié 2009; González 2014a).
Il lavoro di ricerca del collettivo La Grieta ha riportato alla luce tantissimi di questi volumi creando una mostra itinerante dal nome ‘Libros que muerden’ [libri che mordono] ora nella collezione permanente della biblioteca La Chicharra di La Plata e confluita anche in un volume omonimo pubblicato nel 2014. L'intenzione era quella di ripercorrere sia il progetto nazionale costruito dal regime sulla base del terrore e dell'esclusione, sia l’idea di infanzia, cultura e educazione elaborata dalla dittatura. Attorno alla mostra sono stati creati dei laboratori di pedagogia della memoria, in cui questi libri un tempo proibiti vengono ora fatti circolare liberamente, fuori dalle vetrine, fra le strade dell’America Latina, per permettere ai partecipanti un contatto diretto e l’attribuzione di significati propri a quest’esperienza di incontro e narrazione, con l'obiettivo di arricchire il presente con la fantasia che questi testi possono ispirare ancora oggi. Testi che non sono innocui, pertanto sono stati colpiti, censurati, proibiti e bruciati, ma le cui pagine ancora oggi scuotono, resistono e sovvertono.
A conclusione di questo articolo, sembra pertanto significativo menzionare le parole con cui Gabriela Pesclevi de La Grieta spiega la scelta del nome ‘Libros que muerden’:
Volevamo provocare e dire che la letteratura può essere furiosa, può divorare i suoi lettori, produrre terremoti, generare diatribe, mettere in discussione qualsiasi tipo di certezza. Non leggiamo partendo dalla neutralità. Dietro questi libri, come dietro tanti altri, cogliamo una letteratura irriverente che stimola diversi sensi, che evoca e destabilizza, che zigzaga. (Pesclevi 2014: 15)
Disclaimer
Nonostante le accurate ricerche svolte, non è stato possibile mettersi in contatto con i detentori del diritto d'autore delle immagini pubblicate per richiedere la debita autorizzazione. L’autrice è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare.
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Libri censurati e riedizioni
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Devetach, Laura (1973) La torre de cubos, illustrazioni di V. Viano, Buenos Aires, Librería Huemul.
--- (2016) La torre de cubos, illustrazioni di N. Colombo, Buenos Aires, Santillana.
Doumerc, Beatriz, e Ayax Barnes (1975) La línea, Barnes, Buenos Aires, Editorial Granica.
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--- (2015) La línea (Edición conmemorativa 40 años Premio Casa de las Américas), Buenos Aires, Ediciones del Eclipse.
Durán, Carlos Joaquín, e Noemí Beatriz Tornadú (1974) Dulce de Leche, illustrazioni di M. Castillo e A. Hauscarriague, Buenos Aires, Editorial Estrada.
--- (1978) Dulce de Leche, illustrazioni di M. Castillo e A. Hauscarriague, Buenos Aires, Editorial Estrada.
Ferro, Beatriz (1976) Un libro juntos, illustrazioni di C. Urquijo, Buenos Aires, Editorial Estrada.
Note
[1] L’atto ufficiale pubblicato dalla Giunta recita: ‘Viene bruciata questa perniciosa documentazione che colpisce l’intelletto e il nostro essere cristiani, affinché non possa più ingannare la gioventù sulla nostra eredità spirituale più tradizionale: Dio, Patria e Famiglia’ [traduzione mia, come in tutte le citazioni dell’articolo, se non diversamente specificato in bibliografia] (in De los Santos Rojas, 2015: 59).
[2] La CEAL rappresenta una delle case editrici più prestigiose dell’America Latina, che segnò un’epoca per l’Argentina e per il resto del continente. Fu fondata nel 1966 da Boris Spivacow, precedente direttore di Eudeba, con l’obiettivo di offrire libri a prezzi accessibili attraverso circuiti poco tradizionali, come ad esempio le edicole. Nei trent’anni di attività, riassunti nello slogan “Más libros para más”, la CEAL promosse una politica sociale e culturale che rappresentò uno spazio democratico di resistenza alla censura del regime.
[3] Si legge in un pamphlet ministeriale: “Negli ultimi tempi si è notata una famigerata offensiva marxista nel campo della letteratura per l’infanzia. Si propone un tipo di messaggio che parte dal bambino e che gli permette di ‘autoeducarsi’ sulla base ‘della libertà e l’alternativa’. [...] Gli editori marxisti sostengono di offrire ‘libri utili’ per la crescita, libri che possano accompagnare i bambini nella loro lotta alla comprensione del mondo delle cose e degli adulti, che li aiutino a non avere paura della libertà, che li aiutino ad amare, a combattere, ad affermare il proprio essere” (Ministerio de Cultura y Educación, 1977: 49).
[4] La denominazione ‘Banda de los Cronopios’ fa riferimento al libro Historia de cronopios y de famas di Julio Cortázar. I cronopios sono creature ritratte dall’autore come sensibili, idealiste e anticonvenzionali. Il nome attribuito al gruppo è un omaggio, poiché i suoi membri erano a loro volta lettori accaniti della letteratura del boom latinoamericano (Cortázar in primis) e nelle loro opere giocavano con l’intertestualità, ma pone anche l’accento su un tratto comune tra gli scrittori e i cronopios: una personalità fuori dagli schemi, creativa e rivoluzionaria.
[5] Per approfondire il concetto della ahistoricidad che ha a lungo caratterizzato la visione dell’infanzia si veda Díaz Rönner (2011: 141; in Jitrik 2000: 517).
[6] Si segnala che nel 2020 Piemme ha pubblicato l’edizione italiana del libro nella collana del Battello a Vapore, con la traduzione di Loredana Serratore.
[7] Da un’intervista all’autrice: “Il libro conteneva troppe letture dal finale aperto, lasciava ai bambini la libertà di immaginare un finale diverso da quello prestabilito [...] emergevano gli aspetti sordidi della vita, come la miseria, la migrazione, l’analfabetismo, cose non adatte ai bambini. Inoltre, aveva un’impronta pessimista e il pessimismo era sovversivo” (Tornadú in Pesclevi 2014: 208).
©inTRAlinea & Valeria Cassino (2023).
"“Per illimitata fantasia”: pratiche di censura della letteratura per l’infanzia nell’ultima dittatura argentina"
inTRAlinea Special Issue: Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza
Edited by: Mirella Piacentini, Roberta Pederzoli & Raffaella Tonin
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