Traduzione letteraria dal Medioevo al Novecento: prospettive catalane e ispaniche a confronto
By Veronica Orazi, Enric Bou, Patrizio Rigobon & Isabel Turull (1.Università di Torino; 2&3.Università Ca’ Foscari di Venezia; 4.Università La Sapienza di Roma, Italy)
Abstract
English:
Round table conference on “Traduzione letteraria dal Medioevo al Novecento: prospettive catalane e ispaniche a confronto”, directed by Veronica Orazi (Università degli Studi di Torino), with the participation of Enric Bou (Università Ca’ Foscari di Venezia), Patrizio Rigobon (Università Ca’ Foscari di Venezia) and Isabel Turull (Università di Roma “La Sapienza”). The speeches remember the phases of the genesis and the development of the translation practice from/into catalan, both on a national and international level, paying special attention to the Italian context. They recall the scholars’ and translators’ profound interest for Catalan literature, from its origins to the contemporary production. This phenomenon, which is constantly increasing, had a very good reception since its appearance among critics and readers; such trend is an essential completion of the academic activity carried out by the Italian scholars.
Italian:
Tavola rotonda sulla “Traduzione letteraria dal Medioevo al Novecento: prospettive catalane e ispaniche a confronto”, coordinata da Veronica Orazi (Università degli Studi di Torino), con la partecipazione di Enric Bou (Università Ca’ Foscari di Venezia), Patrizio Rigobon (Università Ca’ Foscari di Venezia) e Isabel Turull (Università di Roma “La Sapienza”). Gli interventi ripercorrono le fasi della genesi e dello sviluppo dell’attività di traduzione da/in catalano, a livello nazionale e internazionale, con speciale attenzione all’ambito italiano. Si rileva il radicato interesse da parte di studiosi e traduttori italiani per la letteratura catalana, dalle origini fino ai nostri giorni. Si tratta di un fenomeno in costante incremento, che ha riscosso fin dalla sua comparsa un notevole successo di critica e di pubblico, e che rappresenta il complemento indispensabile all’azione svolta dagli studiosi in ambito accademico.
Keywords: traduzione letteraria in catalano, lingua catalana, letteratura catalana, ricezione letteraria, Catalan language, Catalan literature, literary reception
©inTRAlinea & Veronica Orazi, Enric Bou, Patrizio Rigobon & Isabel Turull
(2019).
"Traduzione letteraria dal Medioevo al Novecento: prospettive catalane e ispaniche a confronto"
inTRAlinea Special Issue: Le ragioni del tradurre
Edited by: Rafael Lozano Miralles, Pietro Taravacci, Antonella Cancellier & Pilar Capanaga
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2369
Veronica Orazi
Sappiamo che oggi, come in ogni altra epoca e forse ancora di più, la traduzione costituisce un canale privilegiato e imprescindibile nel contatto tra culture diverse e nella diffusione del patrimonio artistico-letterario e culturale in senso lato tra ambiti linguistici differenti. La traduzione, dunque, si conferma una delle piattaforme più efficaci e suggestive per diffondere idee e prospettive complementari del nostro mondo globalizzato, grazie al superamento della dimensione mono-linguistica, che appiattirebbe su un'unica lingua veicolare, strumentale, una ricchezza che in questo modo andrebbe perduta. Al contrario, tradurre scongiura questo pericolo e garantisce l'esistenza di quella pluralità, riflesso del multiculturalismo, del multilinguismo e della dimensione multietnica delle nostre società contemporanee.
In questo quadro generale, la situazione della traduzione da/in catalano si profila come specchio dei tempi: da un lato, come fenomeno in crescita esponenziale e in forte consolidamento nell'ambito di quelle che per ragioni di praticità (e di consistenza numerica) vengono definite 'lingue minoritarie' in base al numero dei parlanti; dall'altro lato, per il rapporto con una peculiare situazione di bilinguismo in un contesto in cui accanto al catalano convive una 'lingua maggioritaria', il castigliano, così definita per le stesse ragioni di praticità e di consistenza numerica cui si accennava; ciò implica un fenomeno ulteriore e peculiare: l'auto-traduzione o la produzione originale in entrambe le lingue.
Prima di entrare nello specifico della realtà catalana, però, credo sia utile ripercorrere brevemente le vicende recenti relative allo studio della lingua e della letteratura catalana nelle università italiane, dove si formano le generazioni di traduttori.
Senza dubbio Patrizio Rigobon, Presidente dell'Associazione Italiana di Studi Catalani (AISC) nel triennio 2008-2011, è la persona più adatta a introdurre la questione, posto che la sua presidenza ha segnato una ripresa delle attività dell'Associazione con una svolta decisiva, certo, imposta dai tempi – e penso ai rapporti col Ministero, con l'ANVUR, con il CUN ma anche con le altre Associazioni e Consulte della nostra Area 10, oggi chiamate a svolgere un ruolo radicalmente diverso rispetto al passato – ma anche frutto della volontà di promuovere con rinnovate energie la catalanistica italiana.
Patrizio, come possiamo sintetizzare il passato recente di questo genere di studi a livello di disciplina e la sua attuale configurazione, con le luci e le ombre che la caratterizzano, e che influirà necessariamente sulle sue sorti future?
Patrizio Rigobon
Il mio intervento in questo senso e nella cornice del convegno dell’AISPI, sodalizio che noi dell’AISC sentiamo particolarmente vicino, si rifà, con le debite correzioni di tiro e qualche aggiornamento, a questioni che ho illustrato in diverse altre sedi. Mi scuso quindi con coloro che potrebbero giustamente obiettare sulla ripetitività di talune nozioni e informazioni (non sempre infatti repetita iuvant!). Vorrei cominciare citando l’assai noto Manual de catalanística di August Bover i Font, pubblicato giusto vent’anni fa, il cui inizio suona esattamente così:
“Ara com ara, la cultura catalana – com manifestació que és del poble català – es troba encara lluny, malauradament, d’una situació de normalitat. Una realitat com la nostra probablement només té un avantatge: no és fàcil que puguem caure en el triomfalisme. Sense triomfalismes, doncs, amb plena consciència del llarg camí que ens queda per recórrer – tant a l’exterior com a l’interior – i malgrat la crisi econòmica que, amb més o menys intensitat, ha afectat i afecta la comunitat universitària internacional – especialment en l’àrea de les humanitats [...] es pot afirmar que en els darrers anys la propagació internacional dels estudis catalans, és a dir, de la catalanística, ha experimentat un progrés esperançador”[1].
Com’è cambiata la situazione negli ultimi vent’anni e, in special modo, con quali prospettive future? Direi che l’ottimismo di August Bover i Font aveva ed ha solide ragioni: le situazioni locali variano enormemente tra loro, tutte però hanno beneficiato della rinascita delle istituzioni catalane e della creazione di nuovi enti ad hoc, che hanno aiutato in solido la catalanistica internazionale. Per quanto riguarda l’Italia, erano 30 i catalanisti italiani (o professori in Italia) censiti per il periodo 1983-1998 nel Repertori de catalanòfils[2]. Ce n’erano probabilmente di più, ma se confrontiamo questo dato con i 148 soci, la maggior parte dei quali professori universitari, che l’AISC conta oggi[3], c’è di sicuro una notevole differenza, pur considerando che i membri dell’AISC non sono tutti italiani, poiché il sodalizio, com’è noto, non pone confini nazionali. Ciò nondimento la tendenza è senza dubbio positiva. Al fine però di precisare alcune idee, vorrei porre la questione su un terreno più sistematico ovvero, facendo mia la definizione di catalanistica che August Bover adotta nel suo volume prima citato (cioè 'catalanistica' intesa come studi catalani e non soltanto come letteratura), tratterò sommariamente della catalanistica accademica, ma alluderò anche dell’immagine della Catalogna sulla stampa e sui mezzi di comunicazione (la quale dipende da variabili assai differenti, ma, in qualche caso, anche accademiche). La 'catalanistica', in quest’ultimo senso, rappresenta più una possibilità di sviluppo che un punto di partenza. Comincio dunque dagli studi universitari in lingua e letteratura catalana, da queste discipline che, prima della riforma dei piani di studio attuata in Italia a inizio millennio, costituivano una cosa sola, mentre oggi, come si sa, sono nettamente separate. Sette anni fa condussi una specie d’indagine per l’Institut Ramon Llull sulle università italiane che offrivano insegnamenti di catalano, sia di lingua che di letteratura. Il risultato fu allora il seguente: c’erano 15 sedi universitarie con tali insegnamenti. Tre anni più tardi questa cifra era salita a 19: un record. Si trattava degli atenei di Bologna, Cagliari, Firenze, Messina, Milano, Napoli “Federico II”, Napoli “L’Orientale”, Napoli “Suor Orsola Benincasa”, Pavia, Pisa, Roma “La Sapienza”, “Roma Tre”, Salerno, Sassari, Torino, Trento, Trieste, Venezia e Verona. Dal 2009, il numero è sceso fino a stabilizzarsi a 13 sedi. Credo sia opportuno sottolineare un fatto: la continuità storica della materia (ci sono università che possono vantare una presenza dell’insegnamento di 40 anni) è fondamentale. Essa è determinata da due ragioni principali: la presenza di un docente 'incardinato' che insegni la “letteratura o cultura catalana”, il contesto culturalmente favorevole e aperto dei Consigli di Dipartimento, già di Facoltà. A volte alcuni professori possono favorire o aiutare la nascita di un insegnamento di tale disciplina, ma magari non fanno nulla perché possa avere continuità. Insomma, si deve formare un tessuto, una rete e perciò serve la volontà. Se non c’è continuità, non ci saranno nemmeno nuove generazioni di catalanisti con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Proprio da questo punto di vista è per me fondamentale una positiva relazione con gli ispanisti italiani su terreni comuni facilmente individuabili. Molti catalanisti italiani, infatti, sono ispanisti per settore scientifico disciplinare oppure filologi romanzi. Com’è noto, nel 1999 ha cessato di esistere il settore disciplinare autonomo di “Lingua e Letteratura Catalana” e la catalanistica da allora è stata relegata esclusivamente nel settore L-FIL-LET/09 “Filologia e Linguistica Romanza”, insieme al provenzale (occitano), al friulano, al sardo, al siciliano e al ladino. Di conseguenza, è diventato impossibile per gli studenti inserire il catalano come lingua A o B, persino come annualità unica di una lingua C o addirittura – in alcuni casi – come esame d'area, nel loro percorso formativo. Infatti, una disciplina L-FIL-LET non contribuisce a soddisfare la quota di crediti che devono essere obbligatoriamente maturati in SSD L-LIN, nei piani di studio delle classi delle lauree triennali e magistrali in Lingue e Letterature/Culture Straniere/Moderne (L-11, LM-37)[4]. Si tratta di una motivazione che ha un’evidenza palmare. Per ovviare a questa grave limitazione, le singole sedi universitarie sono state costrette a trovare soluzioni più o meno originali, perché di fatto il catalano ha perso lo status di materia di insegnamento ufficiale, non costituendo un SSD autonomo, e la sua collocazione solo all'interno di un SSD L-FIL-LET lo relega a insegnamento di annualità unica, iterabile al massimo come 'esame a scelta'. In sintesi, la scomparsa del catalano come insegnamento indipendente di lingua e letteratura straniera e la sua esclusiva presenza all'interno della filologia romanza, ne impedisce la presenza come disciplina nelle tabelle ministeriali e nei piani carriera delle università italiane. Dal 1999-2000, con la definizione dei SSD, è diventato impossibile laurearsi ufficialmente in catalano e solo grazie all'impegno di alcuni docenti è stata garantita la possibilità di svolgere studi pluriennali di catalano. Urge, dunque, che il catalano recuperi il suo status di lingua e letteratura straniera, di lingua viva, come era in passato e al pari di tutte le altre lingue e letterature straniere insegnate negli atenei italiani. Da fatti tangibili e concreti come quelli illustrati dipende il futuro degli studi catalani in Italia. Da un punto di vista storico (sia pure di una storia recente), considerando la situazione precedente la riforma del 1999-2000, si può ragionevolmente affermare che l’età dell’oro degli studi catalani, almeno dal punto di vista accademico, è stata tra il 1994 e il 2000, pochi anni, troppo pochi per creare un gruppo significativo. Oggi nemmeno Sassari, pur con validissimi e incontestabili motivi culturali, riesce ad avere un professore incardinato di lingua e letteratura catalana, malgrado un appello dell’Associació Internacional de Llengua i Literatura Catalanes che, già nel 1982, aveva richiesto alle autorità italiane, in occasione del VI congresso del sodalizio svoltosi a Roma, che “es consider[és] l’interès de crear una càtedra de català a l’Universitat de Sàsser” al fine di “promoure l’estudi de la llengua i de la cultura catalanes” in quella terra che ospita Alghero e la sua comunità catalanofona, peraltro tutelata da una legge del 1999, eppure sostanzialmente disattesa a livello universitario[5]. Dopo più di trent’anni non si è riusciti, nonostante qualche recente tentativo e la buona volontà dimostrata dall’allora Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Sassari, a vedere realizzato questo auspicio, neppure al livello più basso del rango docente.
Se dall’ambito accademico passiamo a quello della presenza della letteratura catalana in Italia, il panorama appare senza dubbio più lusinghiero e le prospettive potrebbero essere addirittura ancora migliori. Alluderò a due temi specifici: la presenza della letteratura tradotta dal catalano e la presenza della cultura catalana sulla stampa quotidiana. Come già detto, non potrò che limitarmi a una visione d’insieme, senza entrare troppo nei dettagli. Il numero delle opere tradotte dal catalano all’italiano, grazie anche agli aiuti dell’Institut Ramon Llull, è considerevolmente cresciuto negli ultimi anni (ci siamo serviti della banca dati TRAC, che non riporta tutte le traduzioni ma prevalentemente quelle che hanno beneficiato di contributi): dalle 4 opere tradotte nel 2000 alle 17 del 2011. Fatta salva la considerazione sulle sovvenzioni, le opere tradotte dal catalano sono – come dicevo – certamente più di quelle indicate. In ogni caso il dato è indicativo. Tradurre di più vuol dire anche maggiore presenza sulle pagine dei giornali e più dibattito. Si veda, ad esempio, l’articolo di Cesare Segre di una pagina intera sul Corriere della Sera del 23 aprile del 2013 dedicato alla recente traduzione italiana di un classico della letteratura in catalano (modalità valenzana) come Tirant lo Blanc. Opera di grande rigore filologico che naturalmente dà lustro alla catalanistica italiana e alla casa editrice che l’ha pubblicato (Einaudi). Scrive Segre nella sua recensione:
“L'opera è stata finalmente tradotta da Paolo Cherchi, eccellente filologo e storico della letteratura, che le ha premesso un'approfondita introduzione (Joanot Martorell, Tirante il Bianco, a cura di Paolo Cherchi, Einaudi). Ci si racconta poi, sempre nel colophon, che il Tirant sarebbe stato scritto in inglese, poi tradotto in portoghese e infine in catalano (valenzano). Trafile che il Medioevo spesso ci ammannisce per aumentare il valore di opere molto meno esotiche. Tutto dice che il Tirant è stato scritto in catalano, e anzi costituisce un capolavoro di quella lingua”.
Dunque una presenza chiara e forte della cultura catalana in un importante giornale italiano. Ma purtroppo non sempre è così. La qualità informativa sovente precipita, rasentando la negligenza, quando non l’errore vero e proprio. Per esempio nel 2007, in occasione della partecipazione della cultura catalana, invitata d’onore alla Frankfurter Buchmesse. In quell'occasione, molti giornali italiani hanno pubblicato reportages o articoli, ma l’unica notizia che risaltava era l’assenza dalla kermesse degli scrittori catalani di lingua castigliana. Pochissime informazioni sulla cultura e sulla letteratura catalane, spesso inficiate da errori piuttosto rilevanti da parte dei giornalisti che firmavano i pezzi[6]. Molto più cospicua comunque la presenza della letteratura catalana contemporanea in traduzione. Abbiamo già rilevato la sua crescita ragguardevole negli ultimi anni, certo dovuta alle sovvenzioni ma anche a una moda culturale e letteraria: il romanzo storico con intreccio ricco di suspense, ambientato per lo più nella città di Barcellona e generalmente nel Medioevo o, comunque, in epoche diverse, ma sempre più o meno lontane. I libri stessi ne sono talora i protagonisti. La questione meriterebbe un’attenzione particolare e studi approfonditi che probabilmente non è ancora opportuno fare, trattandosi di un fenomeno in corso. Mi sembra tuttavia un dato di fatto, anche se questo andrebbe circostanziato partitamente, che il genere ha preso l’abbrivo dalla narrativa in lingua spagnola su Barcellona, con una curiosa mescolanza di temi ed elementi tra le due têtes de chapitre, cioè Falcones (con La catedral del mar) e Ruiz Zafón (con La sombra del viento). Romanzi di grandissimo successo in Italia e altrove. Hanno cavalcato l’onda lunga della fortuna editoriale di questi due libri molti testi successivi (scritti spesso da autori catalani ma quasi sempre in spagnolo), che sono stati tradotti rapidissimamente e venduti anche nei supermercati. Ne cito soltanto alcuni: due romanzi di José Lloréns (pubblicati in Italia con i titoli Il signore di Barcellona e Mare di Fuoco), altri due di Jorge Molist (Promettimi che sarai libero e I libri della tempesta). Dal catalano è stato invece tradotto Il mercante di stoffe (El mercader nell’originale) di Coia Valls la cui trama tocca “[l’]Amore, [l’]avidità e i segreti di una grande famiglia: i Miravall nella Barcellona del 1320”, oppure un’altra di Núria Esponellà La cattedrale del mistero. Il segreto della reliquia maledetta (2013), il cui titolo italiano già ci dice molto. C’è poi il tema monastico o ecclesiastico (riferito soprattutto a Montserrat o alle chiese barcellonesi). Víctor Amat ha pubblicato Il Monastero perduto del Santo Graal e Francisco J. De Lys, Il labirinto sepolto di Babele, entrambe tradotte dallo spagnolo, mentre dall’originale catalano viene L’archeologo, opera di Martí Gironell che presenta caratteristiche che esulano in parte dal genere, offrendo così numerosi spunti di notevole interesse. In tal senso altre città spagnole (ad esempio Siviglia e Madrid) non sembrano godere in Italia della stessa fortuna editoriale di Barcellona. Si veda, ad esempio, per la capitale andalusa il romanzo All’ombra della cattedrale di Nerea Riesco. Barcellona si trova già in una posizione privilegiata quanto a romanzi gialli, polizieschi o più o meno criminali, scritti per lo più in spagnolo, con opere di autrici quali Giménez Bartlett, Care Santos, ecc. Non va però dimenticata l’opera di Teresa Solana (Sette casi di sangue e una storia d’amore, ecc.) tradotta dal catalano. Naturalmente mancano numerosissimi titoli, ma non m’interessa proporre qui un elenco esaustivo degli ultimi romanzi storici e/o gialli che hanno come protagonista o sfondo Barcellona. M’interessa prima di tutto capire se il lettore italiano è in grado di recepire, leggendo questi romanzi, un’immagine reale della Catalogna, per quanto possa sembrare paradossale il termine, soprattutto se applicato a testi di ambito medievale o comunque retrospettivo. Se sia percepibile un'identità storica e capire quali siano i motivi profondi, magari antropologici o sociologici, di questa autentica valanga editoriale. Nei vari siti specializzati di Internet molti lettori commentano i romanzi citati (ed altri) e già questo potrebbe offrire qualche spunto di riflessione. Per non allungare eccessivamente il mio intervento, mi limito a constatare come per la maggior parte di essi non esiste un canone catalano, talora nemmeno spagnolo, anche se Cervantes è citato più o meno a sproposito in relazione a questi romanzi. Qualunque riferimento ad un 'classico' catalano è assente. Se solo consideriamo questo dato, che potremmo suffragare con numerose citazioni, si potrebbe dedurre che la catalanistica italiana (e magari non solo quella italiana) ha ancora molta strada da fare, sia dal punto di vista scientifico, con lo studio delle opere e degli autori 'classici' catalani, come abbiamo visto per il Tirant, sia dal punto di vista della diffusione e promozione delle conoscenze volte alla definizione di un corpus o addirittura di un canone, attraverso le traduzioni e gli articoli sui giornali maggiormente letti. L’altro elemento riguarda un’innovazione nell’atteggiamento delle grandi case editrici. Spinti soprattutto da ragioni commerciali e di convenienza economica (si tratta d’imprese e non deve meravigliare), i grandi gruppi editoriali italiani hanno cominciato a pubblicare traduzioni di letteratura catalana. Questo sta cambiando il punto di vista che, qualche tempo fa, difendeva a ragione Laura Mongiardo in un articolo sulla fortuna della letteratura catalana in Italia. L’autrice sosteneva che: “i catalani rimasero e rimangono, tranne rare eccezioni, terreno di caccia dell’editoria minore anche a partire dagli anni novanta, quando [...] furono in parte favoriti dalla voga dei generi femminile e poliziesco”[7]. Questo cambiamento riguarda la narrativa storica, come già detto, ma può indurre un certo ottimismo anche a proposito di altri generi, contribuendo così a delineare anche un’identità dell’ambito catalano presso il lettore colto 'generalista'. La situazione dunque è in costante e rapida evoluzione e, in quanto soggetta a mode (per definizione passeggere: anche quelle letterarie!), forse da rivedere o rivalutare completamente tra qualche anno. Sta però a noi individuare altre strade che possano mantenere alta l’attenzione sulla letteratura catalana, proponendo anche nuovi e diversi indirizzi editoriali.
Veronica Orazi
Come sottolinea molto opportunamente Patrizio Rigobon nella sua sintesi di una situazione variegata e articolata, la traduzione e di conseguenza la creazione di Collane, dunque le scelte editoriali internazionali e la diffusione culturale attraverso la rete o i social networks rappresentano elementi chiave del panorama contemporaneo, anche di quello della diffusione delle cultura e della letteratura.
Enric, come si profila a tuo avviso questo quadro, nella duplice prospettiva del catalano e del suo rapporto con il castigliano ma anche con altre lingue e delle stretegie di un'editoria globalizzata, con la conseguente ricaduta sui mezzi di comunicazione, per cui i media informatici si confermano il canale di diffusione e promozione irrinunciabile?
Enric Bou
Come succede in tutte la culture minoritarie, le traduzioni sono state tradizionalmente un elemento importante anche nel panorama letterario catalano. Per il periodo del Novecento va segnalato il lavoro immenso realizzato della “Biblioteca Popular de l’Avenç” tra il 1905 e il 1926. Nell'indice della Collana di 152 volumi compaiono le opere dei più importanti scrittori catalani di quel tempo e sono stati tradotti gli autori più rappresentativi della letteratura mondiale. In quell’epoca nasce una casa editrice come l’Editorial Catalana (1917-1924), con il sostegno di Francesc Cambó e la direzione di Josep Carner, che diventa dal 1924 l’Editorial Catalonia, diretta da Antoni López Llausàs. Quest’ultimo diede un importante impulso al mondo editoriale latinoamericano fondando e dirigendo l’Editorial Sudamericana di Buenos Aires nel 1939, con il contributo di Victoria Ocampo, Carlos Mayer, Oliverio Girondo, Alfredo González Garaño e Rafael Vehils. Prima della guerra di Spagna (1936-1939), grazie al fondamentale sostegno finanziario di Cambó, nasce la Fundació Bernat Metge, che si specializzò nella traduzione dei classici greci e latini in catalano. Nel dopoguerra, la Collana “Llibres del balancí” delle Edicions 62 è diventata fondamentale per la diffusione in catalano della letteratura straniera di alta qualità. Queste brevi informazioni ci parlano della fondamentale presenza e dell’interesse per la traduzione da sempre esistito nella cultura catalana.
L'importanza delle traduzioni in catalano va collegata alla volontà di creare un canone nazionale che trova la sua espressione nelle opere complete di alcuni autori, progetti che diventano un complemento fondamentale di più ampi progetti di traduzione, nello stabilizzarsi di un sistema letterario complesso. I progetti di traduzione e di opere complete danno vita a Collane preziose, che aiutano a definire un paese e una cultura. Alimentano il prestigio ma, economicamente, non rendono subito: unico e sacro principio degli attuali managers o dei direttori editoriali di qualsiasi casa editrice. Dal 1969 in Italia sono stati pubblicati i “Meridiani” (Mondadori), edizione elegante e scientificamente curata come, per esempio, lo straordinario volume dedicato all’edizione bilingue della poesia completa di Goethe. L'equivalente tedesco è rappresentato dalla “Deutscher Klassiker Verlag”, che contiene tra gli altri 40 volumi con le opere di Goethe e 12 dedicati a Schiller. Negli Stati Uniti esiste un progetto equivalente - “The Library of America” - che dal 1979 pubblica (in edizioni divulgative, cioè non edizioni critiche vòlte a fissare il testo in senso ecdotico) gli autori più importanti di quel paese. È questo il grande risultato o piuttosto il grande paradosso: nel Paese della libera impresa, della privatizzazione e dei pionieri del capitalismo selvaggio, due istituzioni - National Endowment for the Humanities e la Fondazione Ford - unendo le forze sono riuscite a creare un'azienda non-profit. Ma il miglior modello, non ancora superato, è quello della “Bibliothèque de la Pléiade” delle Editions Gallimard, che dal 1931 ha pubblicato oltre 500 volumi e ha stabilito tutta una serie di parametri editoriali: carta bibbia, apparato di note critiche al testo alla fine del volume, attenzione alla letteratura locale e globale. L'aspetto esteriore dei volumi è sempre stato lo stesso, pur cambiando il contenuto. Le varie edizioni dei diari di Gide o le due edizioni degli Essais di Montaigne, pubblicate nel 2007, ne sono la prova.
In catalano sono stati fatti alcuni tentativi: dalla "Biblioteca perenne" alla Editorial Selecta, dalle opere complete di Josep Pla ad alcuni progetti di Edicions 3i4 pubblicati a València. La casa editrice Edicions 62 ha interrotto da tempo le sue molte Collane iniziate negli anni Sessanta e Settanta, anche se non aveva mai raggiunto il livello dei corrispondenti progetti europei. Solo l’editore Jordi Cornudella, nonostante le molte difficoltà, riesce a pubblicare edizioni rigorose e di qualità. Accenno in breve a ciò che succede in lingua spagnola, posto che il panorama non sembra ugualmente ammirevole: nella Spagna della crisi si è capito che le parole non sono come i mattoni e che la costruzione della cultura non interessa (quasi) nessuno. Le opere incomplete (che si tratti del TGV o di opere letterarie) sono pagate con interessi miliardari: un vero disastro collettivo.
Ma voglio tornare rapidamente al problema della traduzione. Nel 2006 è stato pubblicato un rapporto molto utile, redatto da Carme Arenas e Simona Škrabec intitolato Catalan literature and translation in a globalized world (http://www.visat.cat/articles/eng/19/la-literatura-catalana-i-la-traduccio-en-un-mon-globalitzat.html). Lo scopo della relazione è quello di contribuire al dibattito sia sullo stato della traduzione letteraria in catalano in un mondo globalizzato, sia sull’importanza della traduzione. Questa è generalmente riconosciuta in tutte le culture come un mezzo per promuovere la conoscenza e come elemento di costruzione di una cultura e di un'identità letteraria. Nelle loro conclusioni, le due studiose forniscono dati sullo stato della traduzione dal catalano in altre lingue. Vorrei sottolineare quelli che mi sembrano gli aspetti più rilevanti:
- il 91% di tutte le traduzioni dal catalano sono in spagnolo;
- lo spagnolo, come lingua maggioritaria, non agisce come lingua ponte per promuovere un'opera letteraria sulla scena internazionale. Non vi sono indicazioni che i titoli tradotti in inglese siano stati poi tradotti sistematicamente in altre lingue. Ci sono autori catalani che hanno un importante riconoscimento internazionale, senza mai essere stati tradotti in spagnolo o in inglese;
- fuori dalla Spagna, la lingua in cui la maggior parte delle opere catalane viene tradotta è il francese, seguito dal tedesco, mentre l’inglese occupa solo il terzo posto;
- tra il 1998 e il 2003 opere letterarie catalane sono state tradotte in 24 lingue diverse;
- la proiezione della letteratura catalana all'estero è dovuta principalmente alla complicità culturale/letteraria, all'amicizia tra scrittori catalani e scrittori stranieri e ai traduttori o ai ricercatori e ai docenti universitari.
Per quanto riguarda le traduzioni della letteratura universale in catalano, ci sono delle difficoltà specifiche per la diffusione dei libri tradotti in catalano. Quella più importante riguarda il mercato: a causa dell’esistenza di una popolazione completamente bilingue, ogni libro può raggiungere senza problemi il pubblico catalano anche in traduzione spagnola.
È ovvio che viviamo in un mondo che cambia. Ed è altrettanto ovvio che la pressione dei media, della sempre appassionante televisione spazzatura che domina i mass-media, dello sport onnipresente, dei giochi a premi, ecc., rappresenta una concorrenza che non va sottovalutata. Gli inviti a non leggere sono troppi e troppo radicali. In ogni caso ci sono diversi dati che, pur non inclinando a un ottimismo esaltante, aprono visioni alternative. Seguendo la teoria della distruzione creativa, forse, possiamo acquisire la consapevolezza che il nostro modo di leggere sta cambiando. Si tratta di dati e fatti di solito non percepiti dal radar che rileva le trasformazioni lente e inesorabili che cambiano progressivamente questo mondo. I giovani leggono, trascorrono la loro vita intrappolati in qualche tipo di dispositivo digitale e hanno sviluppato modalità diverse – e per certi aspetti migliori – di lettura e di scrittura rispetto alle nostre. I media digitali hanno facilitato l'emergere di una sorta di 'scrilettori'. Con la diffusione delle e-mail, di twitter, di facebook, della chat, tutto è cambiato radicalmente. Scrivere lettere, attività quasi scomparsa, è un fenomeno che è riemerso ma con uno stile completamente nuovo grazie ad alcuni di questi programmi. Tuttavia, c'è una questione in sospeso: la distinzione tra cultura alta e bassa. Il modo di leggere i messaggi degli amici, molti dei quali sono pubblicati sui blog in rete, è molto diverso dal leggere Tirant lo Blanc, Gimferrer o altri classici della letteratura. Il livello di intimità e immediatezza suscitato dalla lettura dei primi coesiste con quest'ultimo, ma ha un effetto diverso. Leggere letteratura ci permette di sviluppare l'immaginazione, di vivere altre vite, in tempi e in paesi diversi. Le traduzioni costituiscono uno stimolo fondamentale in questo processo. Leggere risveglia la capacità di interpretare e di rispondere in modo critico al nostro mondo e migliora la nostra capacità d’intuizione. A tutto ciò si può arrivare trovando un equilibrio tra testi di successo internazionale e tradizione letteraria nazionale. Come sempre per tutto ciò che riguarda la contemporaneità, stiamo vivendo in un futuro che ancora non comprendiamo, un futuro che rivoluziona l'atto stesso di leggere, nel quale – personalmente, non ho soluzioni da offrire – la scuola, la lettura dovranno avere un ruolo trainante, senza andare a rimorchio, per posizionarsi in prima linea in questa rivoluzione in corso.
Veronica Orazi
È senz'altro così: stiamo vivendo una fase di radicale mutamento delle tecnologie applicate alla comunicazione, quindi alla cultura, alla letteratura e alla traduzione. Entrambi i vostri interventi mettono a fuoco la situazione attuale in modo molto lucido e suggestivo, rendendo conto sia delle tendenze globali sia del naturale confluire delle singole realtà identitarie (quindi linguistico-culturali) in questo movimento sovra-nazionale, che inevitabilmente coinvolge anche le lettere catalane e la loro ricezione a livello internazionale, anche grazie alla traduzione. Ci sono però altri ambiti in cui la riflessione teorica e la pratica traduttologica si sta profilando in modo ancora una volta rivoluzionario, come accennavate nei vostri interventi riferendovi ad aspetti chiave di questo fenomeno in atto. Sto pensando, ad esempio, a tutti quei settori in cui si sta sperimentando un approccio collettivo, di gruppo, alla traduzione, sia concepito come workshops o tallers, sia in forma seminariale, dunque a livello di produzione del testo tradotto e/o del suo approfondimento e studio tanto per gli addetti ai lavori come per studenti, studiosi e accademici. Un caso emblematico, in questo senso, è rappresentato dalla traduzione collettiva di testi teatrali, che – per la loro stessa natura – rendono necessario il coinvolgimento di autori, traduttori ma anche e specialmente registi, attori, persino tecnici talvolta; perché il testo da portare in scena è in realtà un copione, cioè materiale da recitare, da trasmettere oralmente, attraverso la parola (o la sua assenza, i silenzi, le pause), il gesto, la mimica e ogni altra forma di espressione/espressività che da tempo arriva a coinvolgere persino le arti coreutiche.
Isabel Turull, che da anni frequenta questa dimensione così particolare della pratica traduttologica, può illustrarci la sua recente esperienza personale in questo senso. Isabel, cosa significa lavorare in gruppo a una traduzione teatrale, in cui sono coinvolte figure così diverse, dal profilo, dalla formazione e dalle abitudini professionali tanto dissimili e in apparenza lontane, che poi in fin dei conti si rivelano complementari?
Isabel Turull Crexells
Direi che, senza toccare aspetti troppo tecnici, per mettere a fuoco la questione è indispensabile accennare ad alcune peculiarità della traduzione teatrale, che nel caso della lingua catalana sono particolarmente rilevanti.
Il teatro, essendo un evento sociale, richiede un linguaggio che stabilisca una comunicazione immediata con il pubblico. Non a caso Manzoni, quando parlava con invidia della situazione linguistica dei francesi – forse dovremmo dire dei parigini –, si riferiva a Molière:
“Vi confesso ch’io veggo con un piacere misto d’invidia il popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière” (lettera a Fauriel, 9 febbraio 1806).
Nel caso del catalano dunque il teatro diventa il luogo dove le regole fabriane, di cui nel 2013 si celebra il centenario, possono dimostrare al meglio la loro validità. Al contempo, e ricollegandoci con il tema della centralità dello sviluppo e del mutamento delle nuove tecnologie applicate alla comunicazione, ai media, e dunque anche alla comunicazione della cultura, va sottolineata la rilevanza delle serie televisive. In effetti, dalla creazione di TV3 nel 1983, la televisione è stata un'ottima palestra per gli scrittori. Così è stato ad esempio per Josep M. Benet i Jornet, per citare solo un caso emblematico, uno degli autori più prestigiosi, insignito nel 2013 col Premi d'Honor de les Lletres Catalanes, cui si devono opere come Sotterraneo o Salamandra, per riferirci soltanto a quelle tradotte in italiano, che per TV3 ha scritto Poble Nou, Nissaga de Poder, ecc.
Per lo stesso motivo, una traduzione teatrale non sarà completa fino al momento della sua messa in scena. Infatti, il regista o gli attori stessi possono decidere di apportare delle modifiche prima della rappresentazione e forse per questo spesso i traduttori sono a loro volta scrittori o comunque persone che hanno familiarità con il mondo del teatro. Pensiamo a Davide Carnevali, autore pluripremiato in Italia, collegato con l'Institut del Teatre di Barcellona e traduttore di cui parleremo più avanti.
Anche la rete, anche internet, contribuiscono a veicolare questo filone letterario e le innovazioni in ambito traduttologico con cui ci si confronta nel lavorare con questo genere di testi. Parliamo quindi di alcuni siti dove trovare informazioni interessanti sulle traduzioni teatrali dal catalano in italiano.
Il primo è TRAC, sito ospitato nella pagina dell'Institut Ramon Llull ([url=http://www.llull.cat]http://www.llull.cat[/url]), che raccoglie tutte le traduzioni di testi catalani in varie lingue e offre la possibilità di indicare dei parametri per raffinare le ricerche, limitandole all'italiano e al teatro.
Simile a questo è TORSIMANY, ospite della Càtedra Màrius Torres dell'Universitat de Lleida (www.catedramariustorres.cat). Qui vediamo come i più recenti autori catalani presenti in italiano sono Carles Batlle e Lluïsa Cunillé, entrambi tradotti da Laura Bernardini, una delle traduttrici più prolifiche in questo momento, ma sono solo gli ultimi di una lunga serie che vede un'abbondanza di titoli, in particolare dal 2000 in poi. Il problema è: quali di questi testi tradotti sono stati poi effettivamente messi in scena?
In questo senso dobbiamo parlare di un altro sito che troviamo in internet, che raccoglie le traduzioni usate per mettere in scena le opere, che siano state pubblicate o meno. In effetti, a volte del testo viene realizzata una traduzione in vista dell'allestimento, ma nessuna casa editrice si fa carico della pubblicazione. Per mettere questi testi a disposizione del pubblico, la Sala Beckett, Obrador Internacional de Dramatúrgia, ha creato una base dati alla pagina [url=http://www.catalandrama.cat]http://www.catalandrama.cat[/url], dove questi materiali possono essere richiesti gratuitamente in formato pdf.
Se parliamo ora di testi effettivamente messi in scena, dobbiamo citare innanzittutto un grande successo del 2007: Il metodo Gronholm, di Jordi Galceran, tradotto da Enrico Ianniello, per la produzione del Nuovo Teatro/Vesuvio Teatro di Napoli, con Nicoletta Braschi. L'anno successivo il testo è stato incluso in un'antologia di teatro catalano insieme ad altre tre opere: Transiti, di Carles Batlle, Après moi le déluge, di Lluïsa Cunillé e La macchina da parlare di Victoria Szumperg, traduzioni di Davide Carnevali e di Laura Bernardini.
Non possiamo inoltre non citare uno degli autori più prolifici e più rappresentati in Italia, Sergi Belbel, noto già nel 1994 con Carícies, poi con Dopo la pioggia (nel 2000 e 2007-2008), Mòbil (nel 2007) o Morir (nel 2008).
Ma non voglio fare un elenco di opere e vorrei invece finire questo intervento raccontandovi un'esperienza personale legata alla traduzione di Sotterraneo, di Josep M. Benet i Jornet, rappresentata poi nel 2009 a Viterbo in occasione del Festival Quartieri dell'Arte.
I finanziamenti della Institució de les Lletres Catalanes per sostenere la traduzione contribuiscono a sovvenzionare anche i laboratori di traduzione teatrale organizzati a Farrera de Pallars, un borgo dei Pirenei. Durante il laboratorio, l'autore convive e collabora per quattro giorni con i futuri traduttori della sua opera, i quali possono non essere traduttori professionisti ma autori come lui oppure possono persino non conoscere la sua lingua. Nel nostro caso, l'autore era Gianmaria Cervo e tra gli otto o nove traduttori presenti c'era anche chi non aveva una padronanza completa dell'italiano. Durante il soggiorno in questo luogo isolato e bellissimo si creava un'atmosfera di intimità che favoriva la concentrazione, ma condividere le decisioni traduttive con altre nove persone e addirittura con l'autore, richiedeva anche un enorme autrocontrollo. Alla fine dei quattro giorni la traduzione era pronta, come previsto.
Lo scopo dell'incontro era anche creare dei legami tra le persone che vi partecipavano e, in effetti, Gianmaria Cervo in seguito organizzò qualcosa di simile a Viterbo, sebbene in formato leggermente ridotto. Così ci siamo ritrovati a confrontarci con la traduzione di Sotterraneo insieme a lui, con Laura Bernardini, Davide Carnevale e l'autore, Benet i Jornet.
Vi posso assicurare che, nonostante il numero di persone coinvolte fosse inferiore, gli scontri sulle decisioni da prendere furono molti e furibondi!
Il traduttore, infatti, è abituato a sbagliare in solitudine e ad essere l'unico responsabile delle scelte che fa (forse insieme all'editore) e questo ci fa capire quanto un'esperienza di questo tipo possa essere formativa. Personalmente, dalla prospettiva di una lunga esperienza di traduttrice, posso dire che si è trattato di una grande lezione di umiltà e che alcune delle migliori soluzioni trovate a Farrera per tradurre il testo di Cervo sono state proposte da Pere Riera, autore teatrale di grande successo in questo momento, importante sceneggiatore di TV3, ma che non conosce (o almeno allora non conosceva) bene l'italiano.
Veronica Orazi
Anche le considerazioni e il racconto dell'esperienza personale di Isabel dimostrano il grande dinamismo del mondo della cultura, della letteratura in particolare, e della sua capacità di adattare le modalità di diffusione e dunque di ricezione dei testi alla società contemporanea, nel suo evolversi incessante, profondamente correlato con lo sviluppo tecnologico. La traduzione, ovviamente, è coinvolta in questo delicato dinamismo e forse ne rappresenta la componente e al contempo uno dei vettori strategici, per la sua duttilità nel seguire le esigenze del mondo attuale, dimostrando di essere in grado di cogliere e adattarsi ai mutamenti locali e globali delle tendenze in atto, della sensibilità, dei codici culturali, dell'immaginario collettivo del lettore/fruitore di oggi. Altrettanto determinante risulta essere il forte radicamento dell'attività traduttologica – connessa con l'attività critica ed ermeneutica – della catalanistica in Italia. Fin dalla sua istituzione come ambito di ricerca e di studio, questo settore dell'accademia italiana ha mostrato una grande capacità di interagire in modo proficuo col mondo culturale, col mondo dell'editoria – scientifica ma anche divulgativa –, di sapersi rapportare anche a quel pubblico di lettori 'curiosi' interessati dalle culture e dalle lingue altre e di saperlo fare promuovendo una parte fondamentale della cultura, della lingua e della letteratura catalane, rappresentata proprio dal Medioevo, che ha prodotto opere di rilevanza universale, trascendendo i confini nazionali.
L'interesse per la letteratura catalana medievale, corredato da preziose traduzioni, ha visto attivi filologi e studiosi di grande levatura, a cominciare da Giuseppe Sansone per finire con Paolo Cherchi[8], per fare solo due nomi. Queste figure e coloro che ne hanno raccolto il lascito intellettuale hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo importante nella diffusione – anche attraverso la traduzione – del patromonio culturale e identitario catalano.
L'attenzione precoce per questa epoca si colloca nel XIX secolo[9], per proiettarsi poi nei primi decenni del secolo successivo[10]. Si tratta di una tensione mai venuta meno, sostenuta in modo incessante e che ha toccato autori e generi diversi. Penso ad esempio ad autori di spicco come Ramon Llull, abbondantemente e ripeturamente tradotto[11]; Francesc Eiximenis[12], le cui opere sono state più volte pubblicate in traduzione, nella versione completa o in selezione; o ancora Bernat Metge[13]. Alla lirica è stato concesso ampio spazio, in edizioni/traduzioni di poeti come Jordi de Sant Jordi[14], Ausiàs March[15] oppure offrendo un panorama generale della produzione medievale[16]. Anche la narrativa ha catalizzato l'interesse di critici e traduttori, sia quella di carattere cortese[17] sia quella di matrice folclorica o di altro genere[18].
Insomma, si tratta di iniziative che spaziano dall'interesse di filologi, studiosi e traduttori per i classici della letteratura catalana medievale all'attenzione crescente per l'incontenibile fenomeno rappresentato dalla fortuna della produzione contemporanea, con alcuni autori e opere che per pregio letterario vengono considerati transnazionali, pur continuando a essere espressione fedele di un profilo identitario culturalmente forte e definito. La traduzione ha registrato e continua a registrare tutto questo, confermandosi lo specchio di quella contemporaneità che riflette in modo puntuale i mutamenti in corso; mutamenti culturali, sociali ed economici - perché no? posto che la traduzione e l'editoria che la sostiene sono espressione di quel meccanismo economico alla base della società, oggi come in tutti i tempi, a dimostrazione di come questa prospettiva, il business traduttologico, possa concretizzarsi a livelli alti e colti, senza asservirsi alla logica 'povera' (culturalmente e quindi eticamente povera) del profitto fine a se stesso. L'operazione di promozione e diffusione identitaria di una cultura e delle sue manifestazioni artistiche, in primis quelle letterarie, non vuole certo appiattirsi su uno scadimento commerciale, riempiendo pagine e pagine con prodotti di scarso livello professionale (opere e traduzioni), ma ambisce invece a collocarsi sul piano più elevato di quella cultura, che rappresenta – anche se in certi momenti può sembrare il contrario – il vero motore economico di ogni società. Perché la qualità paga sempre e resta il solo elemento in grado di garantire un'economia editoriale solida, riuscendo a riflettere al contempo in modo efficace il profilo identitario, cioè linguistico, artistico e culturale in senso lato. Tutto ciò è dimostrato dallo stretto connubio fra editoria, letteratura, produzione critico-scientifica, metodologie traduttologiche avanzate e ricerca artistica sperimentale, i cui protagonisti indiscussi sono gli editori, gli autori, i traduttori, gli studiosi e tutte quelle figure chiave che popolano il mondo variegato della traduzione letteraria editoriale e accademica e che si oppongono al rischio di scadimento nel concetto perdente di 'un tanto a peso'.
Note
[1] Barcelona, Diputació de Tarragona – Abadia de Montserrat, “Biblioteca de Serra d’Or”, 1993: 11.
[2] Repertori de catalanòfils/5. Estudis de llengua i literatura catalanes/XXXVII, a cura di Jenny Brumme, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1998, 237 pp.
[3] Cfr. il sito [url=http://www.aisc.cat]http://www.aisc.cat[/url], consultato il 7 maggio 2013.
[4] Cfr. Decreto 22 ottobre 2004, n. 270, Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 novembre 2004, n. 266 in [url=http://www.cun.it/media/77611/lauree_triennali.pdf]http://www.cun.it/media/77611/lauree_triennali.pdf[/url] , consultato 7 maggio 2013.
[5] L’Associació internacional de llengua i literatura catalanes 1968-1986, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1986: 129.
[6] Cfr. “La presenza della cultura catalana alla Fiera del Libro di Francoforte e le traduzioni italiane di letteratura catalana”, in Empar Devís e Lídia Carol, Studi catalani. Suoni e parole. Atti delle Giornate di Studi Catalani. Bologna, 20-21 novembre 2007, Bologna, Bononia University Press, 2009: 145-157.
[7] Rivista tradurre. In [url=http://rivistatradurre.it/2012/05/omaggio-alla-catalogna/]http://rivistatradurre.it/2012/05/omaggio-alla-catalogna/[/url], consultato il 7 maggio 2013.
[8] Alla cui traduzione del Tirant lo Blanch – Torino, Einaudi, “I Millenni”, 2013 – ha accennato Patrizio Rigobon, già Tirante il Bianco, Roma, La Tipografica, 1984, trad. Lelio Di Manfredi.
[9] Si ricordino almeno le Cronache di Bernat Desclot e Ramon Muntaner pubblicate in Cronache catalane del secolo XIII e XIV, Firenze, Tip. Galileiana, 1844, trad. Filippo Moisè, poi Palermo, Sellerio, 1984, la seconda parzialmente apparsa poi in Dell'antica letteratura catalana. ... Traduzione della vita di Giacomo I tolta dalla cronaca catalana di Ramon Muntaner, Napoli, 1878, s.e., trad. Enrico Cardona e La conquista della Sardegna nelle cronache catalane, Nuoro, Ilisso, 1999, trad. M. Corrias.
[10] Si pensi ad esempio al Libro dell'amico e dell'amato, di Ramon Llull, apparso in due traduzioni diverse nel 1932: Genova, Vita Francescana, trad. Umile da Genova e Lanciano, Carabba, trad. Eugenio Mele.
[11] Ramon Llull, Il libro dell'ordine di cavalleria, Roma, Edizioni Francescane, 1972, trad. Giovanni Allegra, poi Carmagnola, Arktos, 1983; Il libro dell'amante e dell'amato, Reggio Emilia, Città Armoniosa, 1978, trad. Vera Passeri Pignoni, poi col titolo Il libro dell'amico e dell'amato, Roma città Nuova, 1991 e ancora 1996, trad. Adelaide Baracco, quindi Chieti, Edizioni Noubs, 2011, trad. Federica D'Amato; Il libro del Gentile e dei tre Savi, Torino, Gribaudi, 1986, trad. Massimo Candellero; Il libro delle bestie, Palermo, Novecento, 1987, trad. Loretta Frattale; Dottrina puerile, Pisa, Gardini, 2003, trad. Anna Baggiani Cases e Anna Maria Saludes i Amat; Consolazione dei Veneti, Padova, Antenore, 2008, trad. Patrizio Rigobon.
[12] Francesc Eiximenis, Estetica medievale. Dell'eros, della mensa, della città, Milano, Jaka Book, 1986; Regiment de la cosa pública, Siena, Cantagalli, 1986, trad. Gabriella Zanoletti; Racconti e favole, Genova, ECIG, 1988, trad. Gabriella Zanoletti; Doctrina compendiosa, Palermo, Sellerio, 1991, trad. Gabriella Zanoletti.
[13] Bernat Metge, Il sogno, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2006, trad. Lola Badia e Giorgio Faggin.
[14] Jordi de Sant Jordi, L'amoroso cerchio, Milano-Trento, Luni, 1997, trad. Donatella Siviero.
[15] Ausiàs March, Pagine dal canzoniere, Milano-Trento, Luni, 1998, trad. Costanzo Di Girolamo, in parte già in Homenatge europeu a Ausiàs March, Gandia, CEIC – Alfons el Vell, 1995, trad. Costanzo Di Girolamo.
[16] Poesia catalana del Medioevo, Novara, Interlinea, 2001, trad. Giuseppe Sansone.
[17] Blandin di Cornovaglia, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2004, trad. Sabrina Galano; Guillem de Torroella, La favola, Roma, Carocci, 2004, trad. Anna Maria Compagna; Curial e Güelfa, Peter Lang, Berna, 2011, trad. Anna Giordano e Cesáreo Calvo.
[18] Storie di virtù insidiata, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2006, trad. Veronica Orazi; La storia di Jacob Xalabin, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2010, trad. Anna Maria Compagna.
©inTRAlinea & Veronica Orazi, Enric Bou, Patrizio Rigobon & Isabel Turull
(2019).
"Traduzione letteraria dal Medioevo al Novecento: prospettive catalane e ispaniche a confronto"
inTRAlinea Special Issue: Le ragioni del tradurre
Edited by: Rafael Lozano Miralles, Pietro Taravacci, Antonella Cancellier & Pilar Capanaga
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