Nella città di Le Mans, forse venticinque o forse quarant'anni fa, viveva un avvocato di nome La Roche Thomas, uno dei più noti di quella città piena, a quei tempi, di tante persone dotte, che persino dall'università di Angers si recavano fino a Le Mans a chiedere consigli. Messer La Roche era un uomo allegro e sapeva conciliare il divertimento con le cose serie. In casa era cordiale e quando era di buon umore, cioè molto spesso, parlando, latinizzava il francese e francesizzava il latino, e si divertiva così tanto nel farlo che parlava un latino misto al volgare perfino al suo valletto e alla sua fante, che chiamava 'Pedissequa'. Quando la fante non capiva quello che le diceva, non osava chiedergli la spiegazione delle parole, poiché La Roche Thomas le rispondeva: “Enorme beota arcadica, non capisci il mio idioma?” A quelle parole la povera fante rimaneva di stucco, poiché pensava che le lanciasse la più grande maledizione del mondo. Ed è vero che egli usava talvolta dei termini così ostici, che persino i polli sarebbero rimasti come degli allocchi. Ma la fante trovò il modo di porvi rimedio; infatti si era legata a un giovane di studio che le faceva entrare nella testa il significato delle parole partendo dal basso, e si adoperava, se era necessario, per penetrarla, volevo dire… dalle pene trarla. Perciò ogni volta che il signore le diceva qualche parola che lei non conosceva, subito si recava dal suo interprete che le toglieva ogni dubbio.
Un giorno a La Roche Thomas fu regalato un pasticcio di cacciagione; egli, per poterlo mettere da parte, ne mangiò solo due o tre fettine insieme a quelli che cenavano con lui. Mentre la sua fante sparecchiava, le disse: “Pedissequa, serve per me questo farcime ferino che non venga famulato.” La fante capì perfettamente che le parlava del pasticcio, poiché gli aveva già sentito dire la parola farcime e perché lui glielo indicava; ma la parola famulato, che ricordò perché aveva prestato attenzione mentre ascoltava, proprio non sapeva cosa significasse. Prese il pasticcio e, facendo finta di avere capito, disse: “Va bene, Signore.”
Quando tutti si erano allontanati, si recò dal giovane di studio che aveva assistito, per caso, all'ordine del signore, per chiedergli di spiegarle la parola famulato. E fu davvero sfortunata, poiché quella volta non fu sincero, infatti le disse: “Cara, ti ha detto di dare quel pasticcio ai giovani di studio e di conservare ciò che resta.” La fante gli credette, poiché le sue spiegazioni le erano state sempre utili; perciò mise il pasticcio davanti ai giovani di studio, che non ne lasciarono da parte neppure una fetta, come avevano fatto quelli ai quali era già stato presentato: era evidente che avevano messo le mani su qualcosa di squisito.
Il giorno successivo La Roche Thomas, pensando che il suo pasticcio fosse proprio il cibo adeguato, invitò a pranzo i notabili del palazzo di giustizia di Le Mans (noto allora come ‘La sala’), cantando le lodi del pasticcio. Gli ospiti arrivarono, si misero a tavola e quando venne il momento di servire il pasticcio, si accorsero immediatamente che altri ci avevano già messo le mani sopra.
È difficile dire se fu trattata peggio Pedissequa da La Roche Thomas per aver lasciato famulare il farcime, oppure lui stesso, che venne preso in giro dai suoi ospiti per aver parlato in latino alla sua fante, raccomandandole un delizioso pasticcio, o infine, se fu più arrabbiata la fante con il giovane di studio che l'aveva ingannata. Ma a loro due, almeno, la rabbia non durò quanto a La Roche Thomas; infatti Pedissequa, dopo aver ingiuriato il giovane di studio per un giorno e una notte e averlo minacciato, decisa a non dargli più niente, capì che non poteva fare a meno di lui. La domenica mattina, mentre loro due non erano andati a messa insieme a tutti gli altri, fu costretta a mettersi d’accordo. Mangiarono quello che era rimasto il giovedì e fissarono i loro appuntamenti da buoni amici.
Un altro giorno La Roche Thomas andò a mangiare in città da uno dei suoi vicini e in quei posti vi era l'abitudine di mangiare gli uni con gli altri, ma di portare il pranzo o la cena, in modo che l'ospite non affrontasse nessuna spesa, dovendo provvedere solo ad apparecchiare. La Roche Thomas, non essendo sposato, aveva fatto preparare per la sua cena solo un pollo arrostito, che la fante gli portò tra due piatti. Egli le chiese tutto allegro: “Cosa afferi lì, Pedissequa?” Lei rispose: “Signore, un pollo.” Lui, che non voleva sfigurare, non fu soddisfatto di quella risposta e la tenne a mente fino a quando non fu di ritorno a casa, dove, arrabbiatissimo, chiamò la fante. Dal tono del signore Pedissequa capì che avrebbe ricevuto qualche lezione, perciò andò in fretta a chiamare il suo interprete affinché assistesse al rimprovero e le riferisse quello che il signore le diceva, poiché molto spesso egli la ammoniva in latino. Quando la fante arrivò, La Roche Thomas
le disse: “Vieni qui, bestia incolta, idiota e inetta, insulse, nugigerulle, imperite!” e tutte le parole del Donato. “Quando mi invitano in città e ti chiedo cosa mi afferi , chi ti ha insegnato a rispondere 'un pollo'? Un'altra volta usa il plurale, il plurale, grosso quadrupede, usa il plurale. Un pollo! È quella la cena adatta a uno come La Roche Thomas?” Pedissequa non era mai stata nutrita con la parola 'plurale', perciò se la fece spiegare dal giovane di studio che le rispose: “Cosa dice? È arrabbiato perché oggi, portandogli la cena, quando ti ha chiesto cosa gli portavi, tu gli hai risposto: un pollo. Lui vuole che tu dica dei polli e non un pollo. Questo significa parlare al plurale, capisci?” Pedissequa imparò la lezione.
Alcuni giorni dopo, La Roche Thomas andò di nuovo a mangiare da un suo vicino (non so se si trattasse dello stesso dell'altra volta), e la fante gli portò la cena. La Roche Thomas le chiese, come faceva di solito, quello che afferiva. Pedissequa, ricordando bene la lezione, rispose subito: “Signore, buoi e montoni.” Fece ridere tutti i presenti, soprattutto quando seppero che lui stava insegnando alla sua fante a parlare al plurale.
Il y ha environ vingt-cinq ou quarante ans qu'en la ville du Mans y avoit un advocat qui s'appeloit La Roche Thomas, l'un des plus renommez de la ville, comme que de ce temps y en eust bon nombre de sçavants; tellement qu'on venoit bien à conseil jusques au Mans de l'université d'Angers. Celuy sieur de La Roche estoit homme joyeux, et accordoit bien les recreations avec les choses serieuses; il faisoit bonne chère en sa maison, et, quand il estoit en ses bonnes, qui estoit bien souvent, il latinisoit le françois et francisoit le latin, et s'y plaisoit tant qu'il parloit demy latin à son valet et à sa chambrière aussi, laquelle il appeloit Pedissèque. Et quand elle n'entendoit pas ce qu'il luy disoit, si n'osoit-elle pas luy faire interpreter ses motz, car La Roche Thomas luy disoit : Grosse pecore arcadicque, n'entends-tu point mon idiome? Des quels mots la povre chambrière estoit estonnée des quatre pieds, car elle pensoit que c'estoit la plus grande malediction du monde. Et à la verité il usoit quelquesfois de si rudes termes, que les poules s'en fussent levées du juc. Mais elle trouva façon d'y remedier, car elle s'accointa de l'un des clercs, lequel luy mettoit par aventure l'intelligence de ces motz en la teste par le bas, et la secouoit, dis-je la secouroit au besoin : car quand son maistre lui avoit dit quelque mot, elle ne faisoit que s'en aller à son truchement, qui l'en faisoit sçavante. Un jour de par le monde il fut donné un pasté de venaison à La Roche Thomas, duquel ayant mangé deux ou trois lesches à l'espargne avec ceulx qui disnèrent quand luy, il dit à sa chambrière en desservant : Pedissèque, serve moi ce farcime de ferine, qu'il ne soit point famulé. La chambrière entendit assez bien qu'il luy parloit d'un pasté, car elle luy avoit aultrefois ouy dire le mot de farcime, et puis il le luy monstroit; mais ce mot de famulé, qu'elle retint en se hastant d'escouter, elle ne sçavoit encores qu'il vouloit dire. Elle print ce pasté, et, ayant fait semblant d'avoir bien entendu, dit : Bien, Monsieur. Et vint à ce clerc quand ilz furent à part, lequel d'adventure avoit esté present au commandement du maistre, pour luy demander l'exposition de ce mot famulé. Mais le mal fut que, pour celle fois, il ne luy fut pas fidelle, car il luy dit : M'amie, il t'ha dit que tu donnasses de ce pasté aux clercs, et puis que tu serrasses le demeurant. La chambrière le creut, car jamais elle ne s'estoit mal trouvée de rapport qu'il luy eust faict. Elle met ce pasté devant les clercs, qui ne l'espargnèrent pas, comme on avoit fait à la première table, car ils mirent la main en si bon lieu qu'il y parut. Le lendemain La Roche Thomas, cuidant que son pasté fust bien en nature, appelle à disner des plus apparens du palais du Mans (qui ne s'appeloit pour alors que la sale) et leur fist grande feste de ce pasté. Ilz viennent, ilz se mettent à table. Quand ce fut à presenter ce pasté, il estoit aisé de voir qu'il avoit passé par de bonnes mains. On ne sauroit dire si la Pedissèque fut plus mal menée de son maistre d'avoir laissé famuler ce farcime, ou si ledit maistre fut mieulx gaudy de ceux qu'il avoit conviez pour avoir parlé latin à sa chambrière en luy recommandant un friand pasté, ou si la chambrière fut plus marrie contre le clerc qui l'avoit trompée; mais, pour le moins, les deux ne durèrent pas tant comme le tiers, car elle fongna au clerc plus d'un jour et une nuict, et le menassa fort et ferme qu'elle ne luy presteroit jamais chose qu'elle eust. Mais, quand elle se fut bien ravisée qu'elle ne se pouvoit passer de luy, elle fut contrainte d'appointer le dimanche matin, que tout le monde estoit à la grand messe, fors qu'eulx deux, et mangèrent ensemble ce qui estoit demeuré du jeudy, et raccordèrent leurs vielles comme bons amis.
Advint un autre jour que La Roche Thomas estoit allé disner en la ville chez un de ses voisins, comme la coustume ha tousjours esté en ces quartiers là de manger les uns avec les aultres et de porter son disner et son soupper, tellement que l'hoste n'est point foulé, si non qu'il met la nappe. La Roche Thomas, qui pour lors estoit sans femme, avoit faict mettre pour son disner seulement un poulet rosty, que sa chambrière luy apporta entre deux platz. Il luy dit tout joyeusement : Qu'est-ce que tu m'affères là, Pedissèque? Elle luy respondit : Monsieur, c'est un poulet. Luy, qui vouloit estre veu magnifique, ne trouve pas cette response bonne, et la note jusques à tant qu'il fut retourné en sa maison, qu'il appella sa chambrière tout fascheusement Pedissèque, laquelle entendit bien à l'accent de son maistre qu'elle auroit quelque leçon, et va incontinent querir son truchement pour assister à la lecture et luy pouvoir rapporter ce que son maistre luy diroit, car il tensoit bien souvent en latin et tout. Quand elle fut comparue, La Roche Thomas luy va dire : Viens-çà, gros animal brutal, idiote, inepte, insulse, nugigerulle, imperite, et tous les mots du Donat. Quand je disne à la ville et que je te demande que c'est que tu m'affères, qui t'a monstré à respondre : un poullet? Parle, parle une aultre foys en plurier nombre, grosse quadrupède, parle en plurier nombre. Un poulet! voylà un beau disner d'un tel homme que La Roche Thomas! La Pedissèque n'avoit jamais esté desjeunée de ce mot de plurier nombre, par quoy elle se fit explicquer par son clerc, qui luy dit : Sçaiz-tu que c'est? Il est marry qu'aujourd'huy, en luy portant son disner, quand il t'ha demandé que c'estoit que tu luy apportoys, que tu luy ayes respondu : un poulet, et il veut que tu dies des pouletz, et non pas un poulet. Voilà ce qu'il veut dire par plurier nombre, entends-tu? La Pedissèque retint bien cela. De là à quelques jours La Roche Thomas estant encor allé disner chez un sien voisin (ne sçay si c'estoit chez le mesme de l'autre jour), sa chambrière luy porte son disner. La Roche Thomas luy demande, selon sa coustume, que c'est qu'elle afféroit. Elle, se souvenant bien de sa leçon, respondit incontinent : Monsieur, ce sont des beufs et des moutons. Dont elle appresta à rire à toute la présence, principalement quand ilz eurent entendu qu'il apprenoit à sa chambrière à parler en plurier nombre.
Nella città di Le Mans, forse venticinque o forse quarant'anni fa, viveva un avvocato di nome La Roche Thomas, uno dei più noti di quella città piena, a quei tempi, di tante persone dotte, che persino dall'università di Angers si recavano fino a Le Mans a chiedere consigli. Messer La Roche era un uomo allegro e sapeva conciliare il divertimento con le cose serie. In casa era cordiale e quando era di buon umore, cioè molto spesso, parlando, latinizzava il francese e francesizzava il latino, e si divertiva così tanto nel farlo che parlava un latino misto al volgare perfino al suo valletto e alla sua fante, che chiamava 'Pedissequa'. Quando la fante non capiva quello che le diceva, non osava chiedergli la spiegazione delle parole, poiché La Roche Thomas le rispondeva: “Enorme beota arcadica, non capisci il mio idioma?” A quelle parole la povera fante rimaneva di stucco, poiché pensava che le lanciasse la più grande maledizione del mondo. Ed è vero che egli usava talvolta dei termini così ostici, che persino i polli sarebbero rimasti come degli allocchi. Ma la fante trovò il modo di porvi rimedio; infatti si era legata a un giovane di studio che le faceva entrare nella testa il significato delle parole partendo dal basso, e si adoperava, se era necessario, per penetrarla, volevo dire… dalle pene trarla. Perciò ogni volta che il signore le diceva qualche parola che lei non conosceva, subito si recava dal suo interprete che le toglieva ogni dubbio.
Un giorno a La Roche Thomas fu regalato un pasticcio di cacciagione; egli, per poterlo mettere da parte, ne mangiò solo due o tre fettine insieme a quelli che cenavano con lui. Mentre la sua fante sparecchiava, le disse: “Pedissequa, serve per me questo farcime ferino che non venga famulato.” La fante capì perfettamente che le parlava del pasticcio, poiché gli aveva già sentito dire la parola farcime e perché lui glielo indicava; ma la parola famulato, che ricordò perché aveva prestato attenzione mentre ascoltava, proprio non sapeva cosa significasse. Prese il pasticcio e, facendo finta di avere capito, disse: “Va bene, Signore.”
Quando tutti si erano allontanati, si recò dal giovane di studio che aveva assistito, per caso, all'ordine del signore, per chiedergli di spiegarle la parola famulato. E fu davvero sfortunata, poiché quella volta non fu sincero, infatti le disse: “Cara, ti ha detto di dare quel pasticcio ai giovani di studio e di conservare ciò che resta.” La fante gli credette, poiché le sue spiegazioni le erano state sempre utili; perciò mise il pasticcio davanti ai giovani di studio, che non ne lasciarono da parte neppure una fetta, come avevano fatto quelli ai quali era già stato presentato: era evidente che avevano messo le mani su qualcosa di squisito.
Il giorno successivo La Roche Thomas, pensando che il suo pasticcio fosse proprio il cibo adeguato, invitò a pranzo i notabili del palazzo di giustizia di Le Mans (noto allora come ‘La sala’), cantando le lodi del pasticcio. Gli ospiti arrivarono, si misero a tavola e quando venne il momento di servire il pasticcio, si accorsero immediatamente che altri ci avevano già messo le mani sopra.
È difficile dire se fu trattata peggio Pedissequa da La Roche Thomas per aver lasciato famulare il farcime, oppure lui stesso, che venne preso in giro dai suoi ospiti per aver parlato in latino alla sua fante, raccomandandole un delizioso pasticcio, o infine, se fu più arrabbiata la fante con il giovane di studio che l'aveva ingannata. Ma a loro due, almeno, la rabbia non durò quanto a La Roche Thomas; infatti Pedissequa, dopo aver ingiuriato il giovane di studio per un giorno e una notte e averlo minacciato, decisa a non dargli più niente, capì che non poteva fare a meno di lui. La domenica mattina, mentre loro due non erano andati a messa insieme a tutti gli altri, fu costretta a mettersi d’accordo. Mangiarono quello che era rimasto il giovedì e fissarono i loro appuntamenti da buoni amici.
Un altro giorno La Roche Thomas andò a mangiare in città da uno dei suoi vicini e in quei posti vi era l'abitudine di mangiare gli uni con gli altri, ma di portare il pranzo o la cena, in modo che l'ospite non affrontasse nessuna spesa, dovendo provvedere solo ad apparecchiare. La Roche Thomas, non essendo sposato, aveva fatto preparare per la sua cena solo un pollo arrostito, che la fante gli portò tra due piatti. Egli le chiese tutto allegro: “Cosa afferi lì, Pedissequa?” Lei rispose: “Signore, un pollo.” Lui, che non voleva sfigurare, non fu soddisfatto di quella risposta e la tenne a mente fino a quando non fu di ritorno a casa, dove, arrabbiatissimo, chiamò la fante. Dal tono del signore Pedissequa capì che avrebbe ricevuto qualche lezione, perciò andò in fretta a chiamare il suo interprete affinché assistesse al rimprovero e le riferisse quello che il signore le diceva, poiché molto spesso egli la ammoniva in latino. Quando la fante arrivò, La Roche Thomas
le disse: “Vieni qui, bestia incolta, idiota e inetta, insulse, nugigerulle, imperite!” e tutte le parole del Donato. “Quando mi invitano in città e ti chiedo cosa mi afferi , chi ti ha insegnato a rispondere 'un pollo'? Un'altra volta usa il plurale, il plurale, grosso quadrupede, usa il plurale. Un pollo! È quella la cena adatta a uno come La Roche Thomas?” Pedissequa non era mai stata nutrita con la parola 'plurale', perciò se la fece spiegare dal giovane di studio che le rispose: “Cosa dice? È arrabbiato perché oggi, portandogli la cena, quando ti ha chiesto cosa gli portavi, tu gli hai risposto: un pollo. Lui vuole che tu dica dei polli e non un pollo. Questo significa parlare al plurale, capisci?” Pedissequa imparò la lezione.
Alcuni giorni dopo, La Roche Thomas andò di nuovo a mangiare da un suo vicino (non so se si trattasse dello stesso dell'altra volta), e la fante gli portò la cena. La Roche Thomas le chiese, come faceva di solito, quello che afferiva. Pedissequa, ricordando bene la lezione, rispose subito: “Signore, buoi e montoni.” Fece ridere tutti i presenti, soprattutto quando seppero che lui stava insegnando alla sua fante a parlare al plurale. |
Il y ha environ vingt-cinq ou quarante ans qu'en la ville du Mans y avoit un advocat qui s'appeloit La Roche Thomas, l'un des plus renommez de la ville, comme que de ce temps y en eust bon nombre de sçavants; tellement qu'on venoit bien à conseil jusques au Mans de l'université d'Angers. Celuy sieur de La Roche estoit homme joyeux, et accordoit bien les recreations avec les choses serieuses; il faisoit bonne chère en sa maison, et, quand il estoit en ses bonnes, qui estoit bien souvent, il latinisoit le françois et francisoit le latin, et s'y plaisoit tant qu'il parloit demy latin à son valet et à sa chambrière aussi, laquelle il appeloit Pedissèque. Et quand elle n'entendoit pas ce qu'il luy disoit, si n'osoit-elle pas luy faire interpreter ses motz, car La Roche Thomas luy disoit : Grosse pecore arcadicque, n'entends-tu point mon idiome? Des quels mots la povre chambrière estoit estonnée des quatre pieds, car elle pensoit que c'estoit la plus grande malediction du monde. Et à la verité il usoit quelquesfois de si rudes termes, que les poules s'en fussent levées du juc. Mais elle trouva façon d'y remedier, car elle s'accointa de l'un des clercs, lequel luy mettoit par aventure l'intelligence de ces motz en la teste par le bas, et la secouoit, dis-je la secouroit au besoin : car quand son maistre lui avoit dit quelque mot, elle ne faisoit que s'en aller à son truchement, qui l'en faisoit sçavante. Un jour de par le monde il fut donné un pasté de venaison à La Roche Thomas, duquel ayant mangé deux ou trois lesches à l'espargne avec ceulx qui disnèrent quand luy, il dit à sa chambrière en desservant : Pedissèque, serve moi ce farcime de ferine, qu'il ne soit point famulé. La chambrière entendit assez bien qu'il luy parloit d'un pasté, car elle luy avoit aultrefois ouy dire le mot de farcime, et puis il le luy monstroit; mais ce mot de famulé, qu'elle retint en se hastant d'escouter, elle ne sçavoit encores qu'il vouloit dire. Elle print ce pasté, et, ayant fait semblant d'avoir bien entendu, dit : Bien, Monsieur. Et vint à ce clerc quand ilz furent à part, lequel d'adventure avoit esté present au commandement du maistre, pour luy demander l'exposition de ce mot famulé. Mais le mal fut que, pour celle fois, il ne luy fut pas fidelle, car il luy dit : M'amie, il t'ha dit que tu donnasses de ce pasté aux clercs, et puis que tu serrasses le demeurant. La chambrière le creut, car jamais elle ne s'estoit mal trouvée de rapport qu'il luy eust faict. Elle met ce pasté devant les clercs, qui ne l'espargnèrent pas, comme on avoit fait à la première table, car ils mirent la main en si bon lieu qu'il y parut. Le lendemain La Roche Thomas, cuidant que son pasté fust bien en nature, appelle à disner des plus apparens du palais du Mans (qui ne s'appeloit pour alors que la sale) et leur fist grande feste de ce pasté. Ilz viennent, ilz se mettent à table. Quand ce fut à presenter ce pasté, il estoit aisé de voir qu'il avoit passé par de bonnes mains. On ne sauroit dire si la Pedissèque fut plus mal menée de son maistre d'avoir laissé famuler ce farcime, ou si ledit maistre fut mieulx gaudy de ceux qu'il avoit conviez pour avoir parlé latin à sa chambrière en luy recommandant un friand pasté, ou si la chambrière fut plus marrie contre le clerc qui l'avoit trompée; mais, pour le moins, les deux ne durèrent pas tant comme le tiers, car elle fongna au clerc plus d'un jour et une nuict, et le menassa fort et ferme qu'elle ne luy presteroit jamais chose qu'elle eust. Mais, quand elle se fut bien ravisée qu'elle ne se pouvoit passer de luy, elle fut contrainte d'appointer le dimanche matin, que tout le monde estoit à la grand messe, fors qu'eulx deux, et mangèrent ensemble ce qui estoit demeuré du jeudy, et raccordèrent leurs vielles comme bons amis.
Advint un autre jour que La Roche Thomas estoit allé disner en la ville chez un de ses voisins, comme la coustume ha tousjours esté en ces quartiers là de manger les uns avec les aultres et de porter son disner et son soupper, tellement que l'hoste n'est point foulé, si non qu'il met la nappe. La Roche Thomas, qui pour lors estoit sans femme, avoit faict mettre pour son disner seulement un poulet rosty, que sa chambrière luy apporta entre deux platz. Il luy dit tout joyeusement : Qu'est-ce que tu m'affères là, Pedissèque? Elle luy respondit : Monsieur, c'est un poulet. Luy, qui vouloit estre veu magnifique, ne trouve pas cette response bonne, et la note jusques à tant qu'il fut retourné en sa maison, qu'il appella sa chambrière tout fascheusement Pedissèque, laquelle entendit bien à l'accent de son maistre qu'elle auroit quelque leçon, et va incontinent querir son truchement pour assister à la lecture et luy pouvoir rapporter ce que son maistre luy diroit, car il tensoit bien souvent en latin et tout. Quand elle fut comparue, La Roche Thomas luy va dire : Viens-çà, gros animal brutal, idiote, inepte, insulse, nugigerulle, imperite, et tous les mots du Donat. Quand je disne à la ville et que je te demande que c'est que tu m'affères, qui t'a monstré à respondre : un poullet? Parle, parle une aultre foys en plurier nombre, grosse quadrupède, parle en plurier nombre. Un poulet! voylà un beau disner d'un tel homme que La Roche Thomas! La Pedissèque n'avoit jamais esté desjeunée de ce mot de plurier nombre, par quoy elle se fit explicquer par son clerc, qui luy dit : Sçaiz-tu que c'est? Il est marry qu'aujourd'huy, en luy portant son disner, quand il t'ha demandé que c'estoit que tu luy apportoys, que tu luy ayes respondu : un poulet, et il veut que tu dies des pouletz, et non pas un poulet. Voilà ce qu'il veut dire par plurier nombre, entends-tu? La Pedissèque retint bien cela. De là à quelques jours La Roche Thomas estant encor allé disner chez un sien voisin (ne sçay si c'estoit chez le mesme de l'autre jour), sa chambrière luy porte son disner. La Roche Thomas luy demande, selon sa coustume, que c'est qu'elle afféroit. Elle, se souvenant bien de sa leçon, respondit incontinent : Monsieur, ce sont des beufs et des moutons. Dont elle appresta à rire à toute la présence, principalement quand ilz eurent entendu qu'il apprenoit à sa chambrière à parler en plurier nombre. |
Della vita e dell’opera di Bonaventure Des Périers molti aspetti restano ancora sconosciuti; è certo che egli collaborò con il gruppo diretto da Olivétan alla traduzione francese della Bibbia (1535) e con Etienne Dolet alla redazione del primo volume dei Commentarii linguae latinae (1536 tomo primo, 1538 tomo secondo); sappiamo inoltre che per qualche tempo fu “valet de chambre” di Margherita di Navarra. Risulta invece controversa l’attribuzione all’umanista delle traduzioni di alcune commedie di Terenzio e dei dialoghi di Platone (Sozzi, 1965).
Egli scrisse sicuramente il dialogo Cymbalum Mundi (1537); l’opera fu stampata anonima a Parigi, ma venne sequestrata e bruciata perché dichiarata empia. Anche la paternità della raccolta Les nouvelles récréations et joyeux devis, pubblicata postuma (1558),
[1] viene messa in dubbio; tuttavia recenti studi critici, non escludendo la possibilità di aggiunte, hanno dimostrato che l’opera, nel complesso, è dovuta a Des Périers (Sozzi, 1965). È certo che egli sia l’autore delle 90 novelle della prima edizione, non è invece altrettanto certa la paternità delle altre 39 novelle aggiunte nell’edizione del 1568 (Sozzi, 1965).
L’opera fu molto apprezzata al momento della pubblicazione e durante tutto il XVI e il XVII secolo ; in seguito cadde in un oblio che durò fino alla metà del XIX secolo quando, nella nota introduttiva all’edizione dei Contes,
[2] Charles Nodier rende omaggio all’opera e all’autore, segnando l’inizio della riabilitazione del “talent le plus naïf, le plus original et le plus piquant de son époque”.
Nei racconti, la tradizione dei fabliaux si intreccia con la tradizione letteraria italiana del XV e del XVI secolo (Poggio Bracciolini, Ariosto, Castiglione…), come dimostrano una serie di evidenti analogie. Oltre a sottolineare il debito nei confronti della tradizione, bisogna riconoscere gli elementi di originalità introdotti da Des Périers nella raccolta, sia nelle innovazioni apportate al genere (l’eliminazione della cornice e le intrusioni della voce narrante nella narrazione), sia nella creazione degli effetti comici. Le situazioni comiche sono generate quasi sempre da procedimenti verbali: sono soprattutto i giochi di parole, le espressioni figurate e il latino, storpiato o corrotto dai diversi personaggi, a suscitare il riso. Come nella Novella XIV nella quale l'avvocato parla una lingua costituita da uno strano miscuglio di latino e volgare oppure nella Novella XXI nella quale un prete si vanta addirittura di conoscere “des motz dont ilz [les regens] n’ouyrent jamais parler à Paris”.
Nel ritrarre i personaggi di diverse professioni e ambienti sociali, il narratore conserva un tono ironico, irriverente e disincantato, ed è proprio quell’allegria leggera di chi non vuole pronunciare massime o lezioni morali a fare di Des Périers un autore che esprime pienamente lo spirito rinascimentale.
Nota al testo
La traduzione è fondata sull’edizione: Bonaventure Des Périers (1965). Les nouvelles récréations et joyeux devis. Conteurs français du XVIe siècle, a cura di Pierre Jourda. Paris: Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard. 361-594.
La versione italiana presenta una maggiore articolazione del testo in paragrafi rispetto a quella originale che ha, invece, una struttura più compatta. Nella punteggiatura e nel discorso diretto si sono seguiti i criteri moderni, introducendo, ad esempio, le virgolette all’inizio e alla fine di ogni replica, ma le repliche non sono state divise l’una dall’altra con l’introduzione degli a capo (ad eccezione della Novella XXI).
Non sembrano esistere traduzioni dell'intera raccolta di novelle successive al 1932, non essendo attestate dai cataloghi bibliografici consultati
[3].
Traduzioni
Studi
Chenevière, A. ( 1886). B. Des Périers, sa vie, ses poésies. Thèse de Sorbonne, Paris: Plon.
Frank, F., Chenevière, A. (1889). Lexique de la langue de B. Des Périers. Paris: L. Cerf.
Kasprzyk, K. (1980). Nouvelles récréations et joyeux devis, I-XC. Paris: Champion.
Nodier, C.(1841). B. Des Périers, Cyrano de Bergerac. Paris: Techener.
Pertile, L. (1967). "Bonaventure Des Périers e la novella francese del Cinquecento". Studi di letteratura francese, I. 151-155.
Sozzi, L. (1965). Les Contes de Bonaventure Des Périers. Contribution à l’étude de la nouvelle française de la Renaissance. Torino: Giappichelli. (riediz. Genève, Slatkine Reprints,1998)
Sozzi, L. (1981). La nouvelle française à la Renaissance. Genève: Slatkine.
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[1] Les Nouvelles Recreations et Joyeux Devis de feu Bonaventure Des Periers valet de chambre de la Royne de Navarre, A Lyon, de l’Imprimerie de Robert Granjon, 1558 [B.N. Rés. Y2. 735].
[2] Les Contes, ou Les Nouvelles Récréations et Joyeux Devis (1841) avec un choix des anciennes notes de B. de La Monnoye et de Saint-Hyacinte, revue et augmentée par P.L. Jacob, et une notice littéraire par Ch. Nodier. Paris: Gosselin.
[3] Sono stati esaminati l’Index Translationum (1932-1986), il catalogo della Biblioteca Nazionale di Firenze e le bibliografie: Bogliolo Giovanni, Carile Paolo, Matucci Mario, a cura di (1992). Francesistica. Bibliografia delle opere e degli studi di letteratura francese e francofona in Italia 1980-1989. Bari: Schena-Slatkine; Bogliolo Giovanni, Carile Paolo, Matucci Mario, a cura di (1996). Francesistica. Bibliografia delle opere e degli studi di letteratura francese e francofona in Italia 1990-1994. Bari: Schena-Slatkine.