Torni domani
Translated by: Valentina Monaca (Firenze)
Pubblicato in Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes,
reperibile, insieme a tutta la sua produzione su [url=http://www.cervantesvirtual.com/servlet/SirveObras/lrr/]http://www.cervantesvirtual.com/servlet/SirveObras/lrr/[/url] by Mariano José de Larra
El Pobrecito Hablador, n.11, enero de 1833
Il primo che definì la pigrizia un peccato originale doveva essere un grand’uomo; questa volta non mi dilungherò in profonde ed interminabili analisi sulle origini di questo peccato, come in un articolo precedente, pur riconoscendo che ci sono peccati che hanno avuto un certo peso nella storia e che la storia dei peccati sarebbe sicuramente divertente. Non c’è dubbio che il fatto di peccare ha chiuso e chiuderà le porte del cielo a molti cristiani.
Per caso, facevo queste riflessioni qualche giorno fa, quando si presentò in casa mia uno di quegli stranieri che, a ragione o a torto, hanno sempre un’opinione del nostro Paese esagerata ed eccessiva, di quelli che credono che qui gli uomini siano ancora eccezionali, leali, generosi e cortesi come quelli di due secoli fa, o che vivano ancora come le tribù nomadi d’oltre oceano; nel primo caso, vengono con l’idea che il nostro carattere si sia conservato intatto come le nostre rovine; nel secondo caso, camminano per le nostre strade tremando, e si domandano se siano ladri, venuti a depredarli, gli stessi uomini del corpo di polizia istituito proprio per difenderli dai pericoli della strada, comuni a tutti i paesi.
È pur vero che il nostro Paese è di quelli che non si conoscono né a prima, né a seconda vista, e se non avessimo timore di essere definiti sfacciati, lo paragoneremmo di buon grado a quei giochi di prestigio, sorprendenti e misteriosi per chi ignora il trucco, che si basano su una grandissima burla; una burla che, solitamente, dopo essere stata scoperta, lascia stupefatto della poca perspicacia chi prima si era spremuto le meningi per capirne le cause misteriose. Molte volte la mancanza di una spiegazione plausibile ci porta a credere che ce ne siano di tanto profonde da non essere comprensibili. L’orgoglio dell’uomo è tale che egli preferisce dichiarare a gran voce che le cose sono oscure quando non riesce a comprenderle, piuttosto che confessare di ignorarle per stupidità.
Ciononostante, dato che proprio fra di noi molti ignorano quali siano i veri meccanismi interni che ci consentono di agire, non dovremmo stupirci del fatto che gli stranieri non li possano scoprire così facilmente.
Proprio uno di questi stranieri si presentò in casa mia, provvisto di lettere che me lo raccomandavano. Intricate faccende di famiglia, futuri reclami, e ancora, grandi progetti concepiti a Parigi per investire qui i suoi ingenti capitali in questa o in quella attività industriale o mercantile, erano i motivi che lo avevano condotto nella nostra patria.
Abituato all’operosità dei suoi connazionali, mi assicurò formalmente che pensava di fermarsi a Madrid per poco tempo, soprattutto se non fosse riuscito subito a trovare un oggetto sicuro per l’investimento dei suoi capitali. Lo straniero mi parve degno della mia stima: divenni presto suo amico e per questo tentai di persuaderlo a tornare a casa sua quanto prima, se non fosse intenzionato solo a perder tempo. Lodai i suoi buoni propositi, e, a quel punto, fui costretto a spiegargli più chiaramente la situazione.
– Guardi – gli dissi –, signor Sans-délai – così si chiamava – lei viene con l’intenzione di passare quindici giorni e di concludere in questo lasso di tempo i suoi affari.
– Certo – mi rispose –. Quindici giorni, ed è già tanto. Domattina cerchiamo un esperto di genealogia per risolvere le questioni di famiglia; nel pomeriggio mette sottosopra i suoi libri, cerca i miei ascendenti e in serata so già chi sono. Per quel che riguarda i reclami, dopodomani li presento con i relativi dati che quel tale mi fornirà, autenticati come si deve; e dal momento che saranno evidenti e giusti (e solo in questo caso farei valere i miei diritti), il terzo giorno si giudicherà sul mio caso e ritornerò ad essere padrone dei miei beni. Per quanto riguarda i miei affari, in cui intendo investire il mio patrimonio, il quarto giorno avrò già presentato le mie proposte. Buone o cattive che siano, ammesse o rigettate, siamo già al quinto giorno; il sesto, settimo e ottavo vedo quel che c’è da vedere a Madrid o mi riposo; il decimo prendo posto sulla mia diligenza, se non ho motivo di passare altro tempo qui, e torno a casa mia e mi restano ancora cinque giorni.
Arrivati a questo punto del resoconto del signor Sans-délai cercai di trattenere le risate che già da un po’ mi stavano per scoppiare e, se l’educazione riuscì a soffocare la mia inopportuna ilarità, non fu sufficiente ad impedire che affiorasse sulle mie labbra un lieve sorriso di stupore e compassione che i suoi piani, mio malgrado, suscitavano sul mio volto.
– Mi permetta signor Sans-délai – dissi fra il malizioso e il formale – mi permetta di invitarla a pranzo il giorno in cui cui celebreremo il suo quindicesimo mese di permanenza a Madrid.
– Prego?
– Fra quattro mesi sarà ancora qui.
– Mi prende in giro?
– Assolutamente no.
– Non sarò libero di andarmene quando voglio? Certo che la sua è un’idea bizzarra!
– Sa bene di non trovarsi nel suo paese attivo e operoso.
– Che cosa strana! Gli spagnoli che hanno viaggiato per il mondo hanno preso l’abitudine di parlare sempre male del proprio paese per un senso di superiorità nei confronti dei compatrioti.
– Le assicuro che in quei quindici giorni di cui dispone, alla fine, non sarà riuscito a parlare neanche con una sola delle persone di cui ha bisogno.
– Stupidaggini! Comunicherò a tutti le mie intenzioni.
– E tutti le comunicheranno la loro inerzia.
Mi resi conto che il signor Sans-délai non era tanto disposto a lasciarsi convincere se non dalla propria esperienza e per il momento mi zittii, sicuro che i fatti mi avrebbero presto dato ragione.
La mattina del giorno seguente andammo insieme alla ricerca di un esperto di genealogia, cosa che si può fare solo domandando fra amici e conoscenti: finalmente lo trovammo e il buon uomo, confuso dalla nostra fretta, dichiarò con sincerità di aver bisogno di un po’ di tempo; insistemmo, e, per venirci incontro, alla fine ci disse di ripassare dopo qualche giorno. Sorrisi e andammo via. Passarono tre giorni e ritornammo.
– Torni domani – ci rispose la domestica – , perché il mio padrone non si è ancora alzato.
– Torni domani – ci rispose il giorno seguente – , perché il padrone è appena uscito.
– Torni domani – ci rispose il giorno dopo ancora – perché il padrone sta facendo la siesta.
– Torni domani – ci rispose il lunedì successivo – perché oggi è andato alla corrida.
– In che giorno e a che ora è possibile incontrare uno spagnolo? Finalmente lo incontrammo e disse ‹‹Torni domani, mi son dimenticato. Torni domani, perché non l’ho ancora messo in bella copia››.
Dopo quindici giorni finalmente era pronto; ma il mio amico gli aveva chiesto di trovare informazioni sul cognome Díez, e lui aveva capito Díaz, quindi, quelle informazioni non servivano a nulla. In attesa di nuove notizie, non dissi nulla al mio amico, che aveva ormai perso ogni speranza di risalire ai suoi antenati.
Ovviamente, mancando questi elementi iniziali, non si diede corso ad alcun reclamo.
Per le proposte di stabilimenti vari e aziende utilissime che pensava di realizzare, era stato necessario cercare un traduttore, il quale ci fece passare le stesse pene dell’inferno dell’esperto di genealogia; e così, giorno dopo giorno si arrivò alla fine del mese. Scoprimmo che il traduttore aveva urgente bisogno di denaro per sfamarsi giornalmente; tuttavia non aveva mai tempo per mettersi al lavoro. Il copista poi, fece altrettanto con le copie, oltre a riempirle di errori, perché un copista che sappia copiare non esiste in questo Paese.
Non finisce qui; un sarto impiegò venti giorni per confezionargli un frac, che gli era stato chiesto di fare in ventiquattro ore; il calzolaio con il suo ritardo lo costrinse ad acquistare un paio di scarpe già fatte; la stiratrice impiegò quindici giorni per stirare il pettino; e il cappellaio, al quale aveva mandato il suo cappello per modificare la tesa, lo tenne due giorni con il capo al freddo e senza poter uscire di casa.
I conoscenti e gli amici non erano presenti a nessuno di questi appuntamenti, né lo avvisavano quando mancavano, e non rispondevano ai suoi biglietti. Quante formalità e che pignoleria!
– Che ne pensa di questo Paese signor Sans-délai? – gli chiesi arrivati a questo punto.
– Mi sembrano tutti un po’ strani…
– E così son tutti. Non mangerebbero pur di non dover portare il cibo alla bocca.
Dopo un lungo viavai, presentò, insieme al resto, la proposta di migliorie, in un ambito che non citerò, con una fortissima raccomandazione.
Quattro giorni dopo tornammo per conoscere l’esito della nostra proposta.
– Torni domani – disse il portiere – l’impiegato incaricato oggi non è venuto.
‹‹Un grave impedimento lo avrà trattenuto››, dissi fra me e me. Andammo a fare una passeggiata e, guarda caso, incontrammo l’impiegato nel parco del Ritiro, a passeggio con la sua signora, al tiepido sole dell’inverno madrileno. Il giorno dopo era martedì e il portiere ci disse:
– Torni domani perché oggi l’impiegato incaricato non riceve al pubblico.
– Sarà pieno di lavoro – dissi io.
E, dal momento che sono più sospettoso del diavolo, feci in modo di sbirciare dal buco della serratura. Sua signoria stava buttando una sigaretta nel braciere e, poiché aveva tra le mani il Corriere, gli veniva difficile centrare il bersaglio.
– Oggi sarà impossibile incontrarlo – dissi al mio amico – il signore in effetti è molto occupato.
Ci venne dato appuntamento il mercoledì successivo e – che assurda fatalità –, la documentazione era sfortunatamente passata al vaglio dell’unica persona ostile al signor Sans-délai e al suo progetto, perché ne sarebbe stata danneggiata. La documentazione rimase sotto istruttoria per due mesi e, come c’era da aspettarsi, si indagò molto. È anche vero che non ci eravamo dati per vinti fino a quando non avevamo incontrato una certa persona molto vicina a chi conduceva le indagini. Questa persona aveva degli occhi così belli che, senza alcun dubbio, lo avrebbero convinto, a tempo perso, della giustizia della nostra causa.
Terminate le indagini, la documentazione finì in una sezione di quel benedetto ufficio che però non aveva competenze in quell’ambito; era necessario correggere questo piccolo errore; la documentazione venne affidata al settore, alla stanza e alla scrivania a cui corrispondeva, ed eccoci, tre mesi dopo, in fila per la nostra documentazione, come il gatto che insegue il topo e, per di più senza poter cavare un ragno dal buco. Si dette il caso, infatti, che giunti a questo punto, la documentazione uscì dalla prima stanza e non arrivò mai alla seconda.
– Da qui venne inviata tal giorno – dicevano da una parte.
– Qui non è arrivato nulla – dicevano dall’altra.
– Scommettete – dissi al signor Sans-délai – che tutta la nostra documentazione è sospesa in aria e che in questo momento si sarà posata, come una colomba su uno dei tetti di questa efficiente popolazione?
Si dovette ricominciare daccapo. E di nuovo all’opera! E in fretta e furia! Che follia!
– È indispensabile – disse l’impiegato con voce grave – che queste cose seguano il loro normale iter.
In poche parole, la differenza consisteva nel fatto che le nostre pratiche dovevano necessariamente durare un centro periodo, come il servizio militare.
Alla fine, dopo circa sei mesi di andirivieni, in attesa della firma o del vaglio, dell’approvazione o della spedizione, o che semplicemente la documentazione uscisse dal cassetto, e tornando ogni volta l’indomani, il responso fu:
‹‹Pur riconoscendo la validità e l’utilità del piano proposto dal suo ideatore, il progetto viene respinto.››
– Ah, ah! Signor Sans-délai – dissi ridendo a crepapelle – questo è il nostro affare.
Ma il signor Sans-délai faceva il diavolo a quattro.
– A questo è servito un viaggio così lungo? Dopo sei mesi ho ottenuto solo che ogni giorno mi venisse detto: ‹‹Torni domani››, e quando alla fine questo ‹‹domani›› arriva ci rispondono con un ‹‹no›› categorico? E pensare che vengo a portare denaro! Che gli faccio solo un favore! Chissà quale sofisticato complotto è stato ordito per contrastare i nostri piani!
– Complotto, signor Sans-délai? Non c’è un solo uomo capace di portare avanti un complotto per più di due ore. La pigrizia è il vero complotto; le assicuro che non c’è nient’altro; questa è la vera causa nascosta: è più facile fingere di non vedere che ammettere la realtà.
A questo punto, è necessaria una digressione, seppur breve, su alcune delle spiegazioni che mi diedero per giustificare quel rifiuto.
– Quest’uomo finirà col rovinarsi – mi diceva un personaggio di un certo calibro e dal forte spirito patriottico.
– Questa non è una spiegazione plausibile – gli risposi – se lui cadrà in rovina, nulla, e dico nulla, sarà andato perduto per avergli concesso ciò che chiede; avrà il castigo che si merita per la sua temerarietà o per la sua ignoranza.
– Come può riuscire nel suo intento?
– Poniamo il caso che il signor Sans-délai voglia solo sperperare il suo denaro e andare in rovina, qui non lo si può neanche fare, se un impiegato deve mettersi al lavoro?
– Può danneggiare chi, finora, ha svolto in maniera diversa quello che questo signore straniero pretende fare.
– Chi ha fatto in maniera diversa, vale a dire, peggio?
– Sì, ma l’ha comunque fatto.
– Sarebbe davvero un peccato se si smettesse di fare le cose male! E allora, dato che le cose si son sempre fatte nel peggiore dei modi, bisogna che i posteri seguano l’esempio? Prima bisognerebbe verificare di non essere pregiudicati dagli antichi metodi.
– Così è stabilito; così s’è fatto finora e così continueremo a fare.
– E per questa ragione dovrebbero continuare a darle da mangiare le pappine come quando è nato.
– Insomma, signor Figaro, si tratta di uno straniero.
– E perché non lo fanno i nostri connazionali?
– Vengono a succhiarci il sangue come delle sanguisughe.
– Mio caro signore – esclamai spazientito – lei si sbaglia. Lei é uno di quelli che hanno il brutto vizio di mettere sempre i bastoni fra le ruote a chi fa qualcosa di buono. Nel nostro Paese abbiamo la superbia di non sapere nulla e di pretendere di indovinare tutto e di non riconoscere i maestri. Le nazioni che hanno avuto, non tanto il sapere, ma per lo meno il desiderio di sapere, non hanno trovato altra soluzione che quella di affidarsi a chi ne sapeva di più. – Uno straniero – continuai – che va in un paese che non conosce, per scommettere lì tutto il suo patrimonio, mette in circolo nuovi capitali, contribuisce alla crescita della società, a cui fa un gran bene con il proprio talento e il proprio denaro; se perde tutto, sarà comunque un eroe; se vince è più che giusto che venga premiato per il suo lavoro, perché ci fornisce dei vantaggi che non riusciremmo ad ottenere da soli. Questo straniero, che si trasferisce in questo Paese, non viene a portar via denaro, come pensa lei; vi si stabilisce e, necessariamente, mette radici e, nel giro di cinque o sei anni, non è più straniero, né lo sarà mai più; i suoi maggiori interessi e i suoi affetti lo legano al nuovo Paese di adozione; si è affezionato alla terra in cui ha fatto fortuna, al popolo in cui ha trovato la compagna della sua vita; i suoi figli sono spagnoli e lo saranno anche i suoi nipoti; invece di “estrarre” denaro è venuto a “seminare” un capitale proprio che portava con sé, investendolo e facendolo fruttare; ha portato anche il proprio talento, che vale tanto quanto il denaro; ha dato da vivere ai nostri connazionali, di cui si è dovuto necessariamente avvalere; ha apportato delle migliorie e ha contribuito persino ad aumentare la popolazione con la sua nuova famiglia. Convinti dell’importanza di tutto ciò, tutti i governi saggi e prudenti hanno chiamato a sé gli stranieri: la Francia deve il suo alto grado di splendore alla sua grande ospitalità; la Russia deve agli stranieri di tutto il mondo il fatto di essere diventata una delle prime nazioni in un tempo più breve rispetto a quello che hanno impiegato altre nazioni per diventare ultime; agli stranieri, gli Stati Uniti devono… Ma a quanto pare – conclusi, interrompendo opportunamente il mio discorso – è molto difficile convincere del contrario chi non sente ragioni. Certo, se solo lei cambiasse idea, potremmo riporre in lei grandi speranze!
Dopo questa predica, mi misi alla ricerca del mio caro Sans-délai.
– Me ne vado, signor Figaro – mi disse – . In questo paese ‹‹non c’è tempo›› di fare niente; mi limiterò a visitare quanto di meglio offre la capitale.
– Ah, amico mio! – risposi – che il buon Dio l’accompagni, e non perda la pazienza; stia ben attento perché la maggior parte delle nostre cose non si vedono.
– È mai possibile?
– Non mi vuole credere neanche questa volta? Si ricordi dei famosi quindici giorni…
Dall’espressione del signor Sans-délai capii che il ricordo non gli faceva piacere.
– Torni domani – ci dicevano da ogni parte – oggi non è possibile visitare…
– Scriva due righe affinché le concedano un permesso speciale.
Bisognava proprio vedere la faccia del mio amico quando gli dissero di scrivere “due righe”: gli passarono davanti agli occhi tutte le trafile per la documentazione, tutti gli affanni, i sei mesi passati e… Si limitò a dire:
– Sono straniero. Che bella raccomandazione per i miei cari compatrioti!
Il mo amico rimaneva ogni volta più sbalordito e comprendeva sempre meno il nostro modo di fare. Impiegammo giorni e giorni per visitare le poche rarità che teniamo nascoste. Alla fine, dopo sei lunghi mesi, ammesso che vi siano mesi più lunghi di altri, il mio protetto tornò in patria, maledicendo questa nostra terra e dandomi la ragione che già sapevo di avere; esportò fantastiche notizie sui nostri usi e costumi, ma soprattutto disse che in sei mesi non aveva fatto altro che ‹‹tornare sempre domani›› e dopo tanti ed eterni ‹‹domani›› la cosa migliore da fare, o per meglio dire l’unica, era stata quella di andarsene.
Avrà ragione, pigro lettore (sempre che tu sia arrivato a questo punto della lettura), avrà ragione il signor Sans-délai a parlar male di noi e della nostra pigrizia? Tornerà con piacere un domani a visitare il nostro paese? Rimandiamo a domani questo quesito, perché per oggi sarai già stanco di leggere: se domani o qualche altro giorno non ti farà fatica, come al solito, tornare in libreria, e non ti farà fatica tirare fuori il portafogli e non ti farà fatica aprire bene gli occhi per sfogliare le pagine che ti devo ancora consegnare, ti racconterò di come molte volte io stesso, che tutto ciò vedo, conosco e soprattutto taccio, ho perso, perché mi faceva fatica, più di una conquista amorosa, influenzato da questa tendenza, figlia di questo clima di negligenza e non solo; ho abbandonato più d’una aspirazione, le speranze di più di un lavoro che, con un po’ più di sforzo, forse, sarebbe stato accessibile; infine, ho rinunciato a fare una visita giusta e necessaria a persone che nella vita mi sarebbero state d’aiuto; ti confesserò anche che non c’è nulla che non posso fare oggi che mi lasci per domani; per di più ti dirò che mi alzo alle undici e faccio sempre la siesta dopo pranzo; come ogni spagnolo che si rispetti, non rinuncio alle mie giornate di almeno sette, otto ore al bar in cui sonnecchio o faccio quattro chiacchiere; a questo aggiungerò che quando il bar chiude mi trascino lentamente verso i salotti (questo perché di momenti di pigrizia ne ho più d’uno) e, una sigaretta dopo l’altra, rimango inchiodato su una poltrona, a sbadigliare senza tregua, fino a mezzanotte, l’una; molte volte per pigrizia non ceno e per pigrizia non vado a letto; insomma, mio amatissimo lettore, ti confiderò che in questa vita sono stato disperato tante volte e se non mi sono impiccato è stato solo per pigrizia. E concludo, per oggi, confessandoti che il titolo di questo articolo, che ho chiamato ‹‹Torni domani››, lo tenevo appuntato da più di tre mesi; tutte le sere e in molti dei miei pomeriggi, ho sentito il desiderio di scrivere qualcosa, ma tutte le sere spegnevo la luce e, confidando in me stesso, con candore puerile, mi dicevo: ‹‹Ma domani lo scriverò!››. Per fortuna questo “domani” è arrivato e non è così male: ah, ma che dire di quel domani che non arriverà mai!
Gran persona debió de ser el primero que llamó pecado mortal a la pereza; nosotros, que ya en uno de nuestros artículos anteriores estuvimos más serios de lo que nunca nos habíamos propuesto, no entraremos ahora en largas y profundas investigaciones acerca de la historia de este pecado, por más que conozcamos que hay pecados que pican en historia, y que la historia de los pecados sería un tanto cuanto divertida. Convengamos solamente en que esta institución ha cerrado y cerrará las puertas del cielo a más de un cristiano.
Estas reflexiones hacía yo casualmente no hace muchos días, cuando se presentó en mi casa un extranjero de estos que, en buena o en mala parte, han de tener siempre de nuestro país una idea exagerada e hiperbólica, de estos que, o creen que los hombres aquí son todavía los espléndidos, francos, generosos y caballerescos seres de hace dos siglos, o que son aún las tribus nómadas del otro lado del Atlante: en el primer caso vienen imaginando que nuestro carácter se conserva intacto como nuestra ruina; en el segundo vienen temblando por esos caminos, y pregunta si son los ladrones que los han de despojar los individuos de algún cuerpo de guardia establecido precisamente para defenderlos de los azares de un camino, comunes a todos los países.
Verdad es que nuestro país no es de aquellos que se conocen a primera ni a segunda vista, y si no temiéramos que nos llamasen atrevidos, lo compararíamos de buena gana a esos juegos de manos sorprendentes e inescrutables para el que ignora su artificio, que estribando en una grandísima bagatela, suelen después de sabidos dejar asombrado de su poca perspicacia al mismo que se devanó los sesos por buscarles causas extrañas. Muchas veces la falta de una causa determinante en las cosas nos hace creer que debe de haberlas profundas para mantenerlas al abrigo de nuestra penetración. Tal es el orgullo del hombre, que más quiere declarar en alta voz que las cosas son incomprensibles cuando no las comprende él, que confesar que el ignorarlas puede depender de su torpeza.
Esto no obstante, como quiera que entre nosotros mismos se hallen muchos en esta ignorancia de los verdaderos resortes que nos mueven, no tendremos derecho para extrañar que los extranjeros no los puedan tan fácilmente penetrar.
Un extranjero de estos fue el que se presentó en mi casa, provisto de competentes cartas de recomendación para mi persona. Asuntos intrincados de familia, reclamaciones futuras, y aun proyectos vastos concebidos en París de invertir aquí sus cuantiosos caudales en tal cual especulación industrial o mercantil, eran los motivos que a nuestra patria le conducían.
Acostumbrado a la actividad en que viven nuestros vecinos, me aseguró formalmente que pensaba permanecer aquí muy poco tiempo, sobre todo si no encontraba pronto objeto seguro en que invertir su capital. Pareciome el extranjero digno de alguna consideración, trabé presto amistad con él, y lleno de lástima traté de persuadirle a que se volviese a su casa cuanto antes, siempre que seriamente trajese otro fin que no fuese el de pasearse. Admirole la proposición, y fue preciso explicarme más claro.
-Mirad -le dije-, monsieur Sans-délai -que así se llamaba-; vos venís decidido a pasar quince días, y a solventar en ellos vuestros asuntos.
-Ciertamente -me contestó-. Quince días, y es mucho. Mañana por la mañana buscamos un genealogista para mis asuntos de familia; por la tarde revuelve sus libros, busca mis ascendientes, y por la noche ya sé quién soy. En cuanto a mis reclamaciones, pasado mañana las presento fundadas en los datos que aquél me dé, legalizadas en debida forma; y como será una cosa clara y de justicia innegable (pues sólo en este caso haré valer mis derechos), al tercer día se juzga el caso y soy dueño de lo mío. En cuanto a mis especulaciones, en que pienso invertir mis caudales, al cuarto día ya habré presentado mis proposiciones. Serán buenas o malas, y admitidas o desechadas en el acto, y son cinco días; en el sexto, séptimo y octavo, veo lo que hay que ver en Madrid; descanso el noveno; el décimo tomo mi asiento en la diligencia, si no me conviene estar más tiempo aquí, y me vuelvo a mi casa; aún me sobran de los quince cinco días.
Al llegar aquí monsieur Sans-délai traté de reprimir una carcajada que me andaba retozando ya hacía rato en el cuerpo, y si mi educación logró sofocar mi inoportuna jovialidad, no fue bastante a impedir que se asomase a mis labios una suave sonrisa de asombro y de lástima que sus planes ejecutivos me sacaban al rostro mal de mi grado.
-Permitidme, monsieur Sans-délai -le dije entre socarrón y formal-, permitidme que os convide a comer para el día en que llevéis quince meses de estancia en Madrid.
-¿Cómo?
-Dentro de quince meses estáis aquí todavía.
-¿Os burláis?
-No por cierto.
-¿No me podré marchar cuando quiera? ¡Cierto que la idea es graciosa!
-Sabed que no estáis en vuestro país activo y trabajador.
-¡Oh!, los españoles que han viajado por el extranjero han adquirido la costumbre de hablar mal siempre de su país por hacerse superiores a sus compatriotas.
-Os aseguro que en los quince días con que contáis, no habréis podido hablar siquiera a una sola de las personas cuya cooperación necesitáis.
-¡Hipérboles! Yo les comunicaré a todos mi actividad.
-Todos os comunicarán su inercia.
Conocí que no estaba el señor de Sans-délai muy dispuesto a dejarse convencer sino por la experiencia, y callé por entonces, bien seguro de que no tardarían mucho los hechos en hablar por mí.
Amaneció el día siguiente, y salimos entrambos a buscar un genealogista, lo cual sólo se pudo hacer preguntando de amigo en amigo y de conocido en conocido: encontrámosle por fin, y el buen señor, aturdido de ver nuestra precipitación, declaró francamente que necesitaba tomarse algún tiempo; instósele, y por mucho favor nos dijo definitivamente que nos diéramos una vuelta por allí dentro de unos días. Sonreíme y marchámonos. Pasaron tres días; fuimos.
-Vuelva usted mañana -nos respondió la criada-, porque el señor no se ha levantado todavía.
-Vuelva usted mañana -nos dijo al siguiente día-, porque el amo acaba de salir.
-Vuelva usted mañana -nos respondió al otro-, porque el amo está durmiendo la siesta.
-Vuelva usted mañana -nos respondió el lunes siguiente-, porque hoy ha ido a los toros.
-¿Qué día, a qué hora se ve a un español? Vímosle por fin, y «Vuelva usted mañana -nos dijo-, porque se me ha olvidado. Vuelva usted mañana, porque no está en limpio».
A los quince días ya estuvo; pero mi amigo le había pedido una noticia del apellido Díez, y él había entendido Díaz, y la noticia no servía. Esperando nuevas pruebas, nada dije a mi amigo, desesperado ya de dar jamás con sus abuelos.
Es claro que faltando este principio no tuvieron lugar las reclamaciones.
Para las proposiciones que acerca de varios establecimientos y empresas utilísimas pensaba hacer, había sido preciso buscar un traductor; por los mismos pasos que el genealogista nos hizo pasar el traductor; de mañana en mañana nos llevó hasta el fin del mes. Averiguamos que necesitaba dinero diariamente para comer, con la mayor urgencia; sin embargo, nunca encontraba momento oportuno para trabajar. El escribiente hizo después otro tanto con las copias, sobre llenarlas de mentiras, porque un escribiente que sepa escribir no le hay en este país.
No paró aquí; un sastre tardó veinte días en hacerle un frac, que le había mandado llevarle en veinticuatro horas; el zapatero le obligó con su tardanza a comprar botas hechas; la planchadora necesitó quince días para plancharle una camisola; y el sombrerero a quien le había enviado su sombrero a variar el ala, le tuvo dos días con la cabeza al aire y sin salir de casa.
Sus conocidos y amigos no le asistían a una sola cita, ni avisaban cuando faltaban, ni respondían a sus esquelas. ¡Qué formalidad y qué exactitud!
-¿Qué os parece de esta tierra, monsieur Sans-délai? -le dije al llegar a estas pruebas.
-Me parece que son hombres singulares...
-Pues así son todos. No comerán por no llevar la comida a la boca.
Presentose con todo, yendo y viniendo días, una proposición de mejoras para un ramo que no citaré, quedando recomendada eficacísimamente.
A los cuatro días volvimos a saber el éxito de nuestra pretensión.
-Vuelva usted mañana -nos dijo el portero-. El oficial de la mesa no ha venido hoy.
«Grande causa le habrá detenido», dije yo entre mí. Fuímonos a dar un paseo, y nos encontramos, ¡qué casualidad!, al oficial de la mesa en el Retiro, ocupadísimo en dar una vuelta con su señora al hermoso sol de los inviernos claros de Madrid. Martes era el día siguiente, y nos dijo el portero:
-Vuelva usted mañana, porque el señor oficial de la mesa no da audiencia hoy.
-Grandes negocios habrán cargado sobre él -dije yo.
Como soy el diablo y aun he sido duende, busqué ocasión de echar una ojeada por el agujero de una cerradura. Su señoría estaba echando un cigarrito al brasero, y con una charada del Correo entre manos que le debía costar trabajo el acertar.
-Es imposible verle hoy -le dije a mi compañero-; su señoría está en efecto ocupadísimo.
Dionos audiencia el miércoles inmediato, y, ¡qué fatalidad!, el expediente había pasado a informe, por desgracia, a la única persona enemiga indispensable de monsieur y de su plan, porque era quien debía salir en él perjudicado. Vivió el expediente dos meses en informe, y vino tan informado como era de esperar. Verdad es que nosotros no habíamos podido encontrar empeño para una persona muy amiga del informante. Esta persona tenía unos ojos muy hermosos, los cuales sin duda alguna le hubieran convencido en sus ratos perdidos de la justicia de nuestra causa.
Vuelto de informe se cayó en la cuenta en la sección de nuestra bendita oficina de que el tal expediente no correspondía a aquel ramo; era preciso rectificar este pequeño error; pasose al ramo, establecimiento y mesa correspondiente, y hétenos caminando después de tres meses a la cola siempre de nuestro expediente, como hurón que busca el conejo, y sin poderlo sacar muerto ni vivo de la huronera. Fue el caso al llegar aquí que el expediente salió del primer establecimiento y nunca llegó al otro.
-De aquí se remitió con fecha de tantos -decían en uno.
-Aquí no ha llegado nada -decían en otro.
-¡Voto va! -dije yo a monsieur Sans-délai, ¿sabéis que nuestro expediente se ha quedado en el aire como el alma de Garibay, y que debe de estar ahora posado como una paloma sobre algún tejado de esta activa población?
Hubo que hacer otro. ¡Vuelta a los empeños! ¡Vuelta a la prisa! ¡Qué delirio!
-Es indispensable -dijo el oficial con voz campanuda-, que esas cosas vayan por sus trámites regulares.
Es decir, que el toque estaba, como el toque del ejercicio militar, en llevar nuestro expediente tantos o cuantos años de servicio.
Por último, después de cerca de medio año de subir y bajar, y estar a la firma o al informe, o a la aprobación o al despacho, o debajo de la mesa, y de volver siempre mañana, salió con una notita al margen que decía:
«A pesar de la justicia y utilidad del plan del exponente, negado.»
-¡Ah, ah!, monsieur Sans-délai -exclamé riéndome a carcajadas-; éste es nuestro negocio.
Pero monsieur Sans-délai se daba a todos diablos.
-¿Para esto he echado yo mi viaje tan largo? ¿Después de seis meses no habré conseguido sino que me digan en todas partes diariamente: «Vuelva usted mañana», y cuando este dichoso «mañana» llega en fin, nos dicen redondamente que «no»? ¿Y vengo a darles dinero? ¿Y vengo a hacerles favor? Preciso es que la intriga más enredada se haya fraguado para oponerse a nuestras miras.
-¿Intriga, monsieur Sans-délai? No hay hombre capaz de seguir dos horas una intriga. La pereza es la verdadera intriga; os juro que no hay otra; ésa es la gran causa oculta: es más fácil negar las cosas que enterarse de ellas.
Al llegar aquí, no quiero pasar en silencio algunas razones de las que me dieron para la anterior negativa, aunque sea una pequeña digresión.
-Ese hombre se va a perder -me decía un personaje muy grave y muy patriótico.
-Esa no es una razón -le repuse-: si él se arruina, nada, nada se habrá perdido en concederle lo que pide; él llevará el castigo de su osadía o de su ignorancia.
-¿Cómo ha de salir con su intención?
-Y suponga usted que quiere tirar su dinero y perderse, ¿no puede uno aquí morirse siquiera, sin tener un empeño para el oficial de la mesa?
-Puede perjudicar a los que hasta ahora han hecho de otra manera eso mismo que ese señor extranjero quiere.
-¿A los que lo han hecho de otra manera, es decir, peor?
-Sí, pero lo han hecho.
-Sería lástima que se acabara el modo de hacer mal las cosas. ¿Conque, porque siempre se han hecho las cosas del modo peor posible, será preciso tener consideraciones con los perpetuadores del mal? Antes se debiera mirar si podrían perjudicar los antiguos al moderno.
-Así está establecido; así se ha hecho hasta aquí; así lo seguiremos haciendo.
-Por esa razón deberían darle a usted papilla todavía como cuando nació.
-En fin, señor Fígaro, es un extranjero.
-¿Y por qué no lo hacen los naturales del país?
-Con esas socaliñas vienen a sacarnos la sangre.
-Señor mío -exclamé, sin llevar más adelante mi paciencia-, está usted en un error harto general. Usted es como muchos que tienen la diabólica manía de empezar siempre por poner obstáculos a todo lo bueno, y el que pueda que los venza. Aquí tenemos el loco orgullo de no saber nada, de quererlo adivinar todo y no reconocer maestros. Las naciones que han tenido, ya que no el saber, deseos de él, no han encontrado otro remedio que el de recurrir a los que sabían más que ellas.
»Un extranjero -seguí- que corre a un país que le es desconocido, para arriesgar en él sus caudales, pone en circulación un capital nuevo, contribuye a la sociedad, a quien hace un inmenso beneficio con su talento y su dinero, si pierde es un héroe; si gana es muy justo que logre el premio de su trabajo, pues nos proporciona ventajas que no podíamos acarrearnos solos. Ese extranjero que se establece en este país, no viene a sacar de él el dinero, como usted supone; necesariamente se establece y se arraiga en él, y a la vuelta de media docena de años, ni es extranjero ya ni puede serlo; sus más caros intereses y su familia le ligan al nuevo país que ha adoptado; toma cariño al suelo donde ha hecho su fortuna, al pueblo donde ha escogido una compañera; sus hijos son españoles, y sus nietos lo serán; en vez de extraer el dinero, ha venido a dejar un capital suyo que traía, invirtiéndole y haciéndole producir; ha dejado otro capital de talento, que vale por lo menos tanto como el del dinero; ha dado de comer a los pocos o muchos naturales de quien ha tenido necesariamente que valerse; ha hecho una mejora, y hasta ha contribuido al aumento de la población con su nueva familia. Convencidos de estas importantes verdades, todos los Gobiernos sabios y prudentes han llamado a sí a los extranjeros: a su grande hospitalidad ha debido siempre la Francia su alto grado de esplendor; a los extranjeros de todo el mundo que ha llamado la Rusia, ha debido el llegar a ser una de las primeras naciones en muchísimo menos tiempo que el que han tardado otras en llegar a ser las últimas; a los extranjeros han debido los Estados Unidos... Pero veo por sus gestos de usted -concluí interrumpiéndome oportunamente a mí mismo- que es muy difícil convencer al que está persuadido de que no se debe convencer. ¡Por cierto, si usted mandara, podríamos fundar en usted grandes esperanzas!
Concluida esta filípica, fuime en busca de mi Sans-délai.
-Me marcho, señor Fígaro -me dijo-. En este país «no hay tiempo» para hacer nada; sólo me limitaré a ver lo que haya en la capital de más notable.
-¡Ay, mi amigo! -le dije-, idos en paz, y no queráis acabar con vuestra poca paciencia; mirad que la mayor parte de nuestras cosas no se ven.
-¿Es posible?
-¿Nunca me habéis de creer? Acordaos de los quince días...
Un gesto de monsieur Sans-délai me indicó que no le había gustado el recuerdo.
-Vuelva usted mañana -nos decían en todas partes-, porque hoy no se ve...
-Ponga usted un memorialito para que le den a usted permiso especial.
Era cosa de ver la cara de mi amigo al oír lo del memorialito: representábasele en la imaginación el informe, y el empeño, y los seis meses, y... Contentose con decir:
-Soy extranjero. ¡Buena recomendación entre los amables compatriotas míos!
Aturdíase mi amigo cada vez más, y cada vez nos comprendía menos. Días y días tardamos en ver las pocas rarezas que tenemos guardadas. Finalmente, después de medio año largo, si es que puede haber un medio año más largo que otro, se restituyó mi recomendado a su patria maldiciendo de esta tierra, y dándome la razón que yo ya antes me tenía, y llevando al extranjero noticias excelentes de nuestras costumbres; diciendo sobre todo que en seis meses no había podido hacer otra cosa sino «volver siempre mañana», y que a la vuelta de tanto «mañana», eternamente futuro, lo mejor, o más bien lo único que había podido hacer bueno, había sido marcharse.
¿Tendrá razón, perezoso lector (si es que has llegado ya a esto que estoy escribiendo), tendrá razón el buen monsieur Sans-délai en hablar mal de nosotros y de nuestra pereza? ¿Será cosa de que vuelva el día de mañana con gusto a visitar nuestros hogares? Dejemos esta cuestión para mañana, porque ya estarás cansado de leer hoy: si mañana u otro día no tienes, como sueles, pereza de volver a la librería, pereza de sacar tu bolsillo, y pereza de abrir los ojos para hojear las hojas que tengo que darte todavía, te contaré cómo a mí mismo, que todo esto veo y conozco y callo mucho más, me ha sucedido muchas veces, llevado de esta influencia, hija del clima y de otras causas, perder de pereza más de una conquista amorosa; abandonar más de una pretensión empezada, y las esperanzas de más de un empleo, que me hubiera sido acaso, con más actividad, poco menos que asequible; renunciar, en fin, por pereza de hacer una visita justa o necesaria, a relaciones sociales que hubieran podido valerme de mucho en el transcurso de mi vida; te confesaré que no hay negocio que no pueda hacer hoy que no deje para mañana; te referiré que me levanto a las once, y duermo siesta; que paso haciendo el quinto pie de la mesa de un café, hablando o roncando, como buen español, las siete y las ocho horas seguidas; te añadiré que cuando cierran el café, me arrastro lentamente a mi tertulia diaria (porque de pereza tengo más que una), y un cigarrito tras otro me alcanzan clavado en un sitial, y bostezando sin cesar, las doce o la una de la madrugada; que muchas noches no ceno de pereza, y de pereza no me acuesto; en fin, lector de mi alma, te declararé que de tantas veces como estuve en esta vida desesperado, ninguna me ahorqué y siempre fue de pereza. Y concluyo por hoy confesándote que ha más de tres meses que tengo, como la primera entre mis apuntaciones, el título de este artículo, que llamé «Vuelva usted mañana»; que todas las noches y muchas tardes he querido durante ese tiempo escribir algo en él, y todas las noches apagaba mi luz diciéndome a mí mismo con la más pueril credulidad en mis propias resoluciones: «¡Eh!, ¡mañana le escribiré!». Da gracias a que llegó por fin este mañana que no es del todo malo: pero ¡ay de aquel mañana que no ha de llegar jamás!
Il primo che definì la pigrizia un peccato originale doveva essere un grand’uomo; questa volta non mi dilungherò in profonde ed interminabili analisi sulle origini di questo peccato, come in un articolo precedente, pur riconoscendo che ci sono peccati che hanno avuto un certo peso nella storia e che la storia dei peccati sarebbe sicuramente divertente. Non c’è dubbio che il fatto di peccare ha chiuso e chiuderà le porte del cielo a molti cristiani. Per caso, facevo queste riflessioni qualche giorno fa, quando si presentò in casa mia uno di quegli stranieri che, a ragione o a torto, hanno sempre un’opinione del nostro Paese esagerata ed eccessiva, di quelli che credono che qui gli uomini siano ancora eccezionali, leali, generosi e cortesi come quelli di due secoli fa, o che vivano ancora come le tribù nomadi d’oltre oceano; nel primo caso, vengono con l’idea che il nostro carattere si sia conservato intatto come le nostre rovine; nel secondo caso, camminano per le nostre strade tremando, e si domandano se siano ladri, venuti a depredarli, gli stessi uomini del corpo di polizia istituito proprio per difenderli dai pericoli della strada, comuni a tutti i paesi. È pur vero che il nostro Paese è di quelli che non si conoscono né a prima, né a seconda vista, e se non avessimo timore di essere definiti sfacciati, lo paragoneremmo di buon grado a quei giochi di prestigio, sorprendenti e misteriosi per chi ignora il trucco, che si basano su una grandissima burla; una burla che, solitamente, dopo essere stata scoperta, lascia stupefatto della poca perspicacia chi prima si era spremuto le meningi per capirne le cause misteriose. Molte volte la mancanza di una spiegazione plausibile ci porta a credere che ce ne siano di tanto profonde da non essere comprensibili. L’orgoglio dell’uomo è tale che egli preferisce dichiarare a gran voce che le cose sono oscure quando non riesce a comprenderle, piuttosto che confessare di ignorarle per stupidità. Ciononostante, dato che proprio fra di noi molti ignorano quali siano i veri meccanismi interni che ci consentono di agire, non dovremmo stupirci del fatto che gli stranieri non li possano scoprire così facilmente. Proprio uno di questi stranieri si presentò in casa mia, provvisto di lettere che me lo raccomandavano. Intricate faccende di famiglia, futuri reclami, e ancora, grandi progetti concepiti a Parigi per investire qui i suoi ingenti capitali in questa o in quella attività industriale o mercantile, erano i motivi che lo avevano condotto nella nostra patria. Abituato all’operosità dei suoi connazionali, mi assicurò formalmente che pensava di fermarsi a Madrid per poco tempo, soprattutto se non fosse riuscito subito a trovare un oggetto sicuro per l’investimento dei suoi capitali. Lo straniero mi parve degno della mia stima: divenni presto suo amico e per questo tentai di persuaderlo a tornare a casa sua quanto prima, se non fosse intenzionato solo a perder tempo. Lodai i suoi buoni propositi, e, a quel punto, fui costretto a spiegargli più chiaramente la situazione. – Guardi – gli dissi –, signor Sans-délai – così si chiamava – lei viene con l’intenzione di passare quindici giorni e di concludere in questo lasso di tempo i suoi affari. – Certo – mi rispose –. Quindici giorni, ed è già tanto. Domattina cerchiamo un esperto di genealogia per risolvere le questioni di famiglia; nel pomeriggio mette sottosopra i suoi libri, cerca i miei ascendenti e in serata so già chi sono. Per quel che riguarda i reclami, dopodomani li presento con i relativi dati che quel tale mi fornirà, autenticati come si deve; e dal momento che saranno evidenti e giusti (e solo in questo caso farei valere i miei diritti), il terzo giorno si giudicherà sul mio caso e ritornerò ad essere padrone dei miei beni. Per quanto riguarda i miei affari, in cui intendo investire il mio patrimonio, il quarto giorno avrò già presentato le mie proposte. Buone o cattive che siano, ammesse o rigettate, siamo già al quinto giorno; il sesto, settimo e ottavo vedo quel che c’è da vedere a Madrid o mi riposo; il decimo prendo posto sulla mia diligenza, se non ho motivo di passare altro tempo qui, e torno a casa mia e mi restano ancora cinque giorni. Arrivati a questo punto del resoconto del signor Sans-délai cercai di trattenere le risate che già da un po’ mi stavano per scoppiare e, se l’educazione riuscì a soffocare la mia inopportuna ilarità, non fu sufficiente ad impedire che affiorasse sulle mie labbra un lieve sorriso di stupore e compassione che i suoi piani, mio malgrado, suscitavano sul mio volto. – Mi permetta signor Sans-délai – dissi fra il malizioso e il formale – mi permetta di invitarla a pranzo il giorno in cui cui celebreremo il suo quindicesimo mese di permanenza a Madrid. – Prego? – Fra quattro mesi sarà ancora qui. – Mi prende in giro? – Assolutamente no. – Non sarò libero di andarmene quando voglio? Certo che la sua è un’idea bizzarra! – Sa bene di non trovarsi nel suo paese attivo e operoso. – Che cosa strana! Gli spagnoli che hanno viaggiato per il mondo hanno preso l’abitudine di parlare sempre male del proprio paese per un senso di superiorità nei confronti dei compatrioti. – Le assicuro che in quei quindici giorni di cui dispone, alla fine, non sarà riuscito a parlare neanche con una sola delle persone di cui ha bisogno. – Stupidaggini! Comunicherò a tutti le mie intenzioni. – E tutti le comunicheranno la loro inerzia. Mi resi conto che il signor Sans-délai non era tanto disposto a lasciarsi convincere se non dalla propria esperienza e per il momento mi zittii, sicuro che i fatti mi avrebbero presto dato ragione. La mattina del giorno seguente andammo insieme alla ricerca di un esperto di genealogia, cosa che si può fare solo domandando fra amici e conoscenti: finalmente lo trovammo e il buon uomo, confuso dalla nostra fretta, dichiarò con sincerità di aver bisogno di un po’ di tempo; insistemmo, e, per venirci incontro, alla fine ci disse di ripassare dopo qualche giorno. Sorrisi e andammo via. Passarono tre giorni e ritornammo. – Torni domani – ci rispose la domestica – , perché il mio padrone non si è ancora alzato. – Torni domani – ci rispose il giorno seguente – , perché il padrone è appena uscito. – Torni domani – ci rispose il giorno dopo ancora – perché il padrone sta facendo la siesta. – Torni domani – ci rispose il lunedì successivo – perché oggi è andato alla corrida. – In che giorno e a che ora è possibile incontrare uno spagnolo? Finalmente lo incontrammo e disse ‹‹Torni domani, mi son dimenticato. Torni domani, perché non l’ho ancora messo in bella copia››. Dopo quindici giorni finalmente era pronto; ma il mio amico gli aveva chiesto di trovare informazioni sul cognome Díez, e lui aveva capito Díaz, quindi, quelle informazioni non servivano a nulla. In attesa di nuove notizie, non dissi nulla al mio amico, che aveva ormai perso ogni speranza di risalire ai suoi antenati. Ovviamente, mancando questi elementi iniziali, non si diede corso ad alcun reclamo. Per le proposte di stabilimenti vari e aziende utilissime che pensava di realizzare, era stato necessario cercare un traduttore, il quale ci fece passare le stesse pene dell’inferno dell’esperto di genealogia; e così, giorno dopo giorno si arrivò alla fine del mese. Scoprimmo che il traduttore aveva urgente bisogno di denaro per sfamarsi giornalmente; tuttavia non aveva mai tempo per mettersi al lavoro. Il copista poi, fece altrettanto con le copie, oltre a riempirle di errori, perché un copista che sappia copiare non esiste in questo Paese. Non finisce qui; un sarto impiegò venti giorni per confezionargli un frac, che gli era stato chiesto di fare in ventiquattro ore; il calzolaio con il suo ritardo lo costrinse ad acquistare un paio di scarpe già fatte; la stiratrice impiegò quindici giorni per stirare il pettino; e il cappellaio, al quale aveva mandato il suo cappello per modificare la tesa, lo tenne due giorni con il capo al freddo e senza poter uscire di casa. I conoscenti e gli amici non erano presenti a nessuno di questi appuntamenti, né lo avvisavano quando mancavano, e non rispondevano ai suoi biglietti. Quante formalità e che pignoleria! – Che ne pensa di questo Paese signor Sans-délai? – gli chiesi arrivati a questo punto. – Mi sembrano tutti un po’ strani… – E così son tutti. Non mangerebbero pur di non dover portare il cibo alla bocca. Dopo un lungo viavai, presentò, insieme al resto, la proposta di migliorie, in un ambito che non citerò, con una fortissima raccomandazione. Quattro giorni dopo tornammo per conoscere l’esito della nostra proposta. – Torni domani – disse il portiere – l’impiegato incaricato oggi non è venuto. ‹‹Un grave impedimento lo avrà trattenuto››, dissi fra me e me. Andammo a fare una passeggiata e, guarda caso, incontrammo l’impiegato nel parco del Ritiro, a passeggio con la sua signora, al tiepido sole dell’inverno madrileno. Il giorno dopo era martedì e il portiere ci disse: – Torni domani perché oggi l’impiegato incaricato non riceve al pubblico. – Sarà pieno di lavoro – dissi io. E, dal momento che sono più sospettoso del diavolo, feci in modo di sbirciare dal buco della serratura. Sua signoria stava buttando una sigaretta nel braciere e, poiché aveva tra le mani il Corriere, gli veniva difficile centrare il bersaglio. – Oggi sarà impossibile incontrarlo – dissi al mio amico – il signore in effetti è molto occupato. Ci venne dato appuntamento il mercoledì successivo e – che assurda fatalità –, la documentazione era sfortunatamente passata al vaglio dell’unica persona ostile al signor Sans-délai e al suo progetto, perché ne sarebbe stata danneggiata. La documentazione rimase sotto istruttoria per due mesi e, come c’era da aspettarsi, si indagò molto. È anche vero che non ci eravamo dati per vinti fino a quando non avevamo incontrato una certa persona molto vicina a chi conduceva le indagini. Questa persona aveva degli occhi così belli che, senza alcun dubbio, lo avrebbero convinto, a tempo perso, della giustizia della nostra causa. Terminate le indagini, la documentazione finì in una sezione di quel benedetto ufficio che però non aveva competenze in quell’ambito; era necessario correggere questo piccolo errore; la documentazione venne affidata al settore, alla stanza e alla scrivania a cui corrispondeva, ed eccoci, tre mesi dopo, in fila per la nostra documentazione, come il gatto che insegue il topo e, per di più senza poter cavare un ragno dal buco. Si dette il caso, infatti, che giunti a questo punto, la documentazione uscì dalla prima stanza e non arrivò mai alla seconda. – Da qui venne inviata tal giorno – dicevano da una parte. – Qui non è arrivato nulla – dicevano dall’altra. – Scommettete – dissi al signor Sans-délai – che tutta la nostra documentazione è sospesa in aria e che in questo momento si sarà posata, come una colomba su uno dei tetti di questa efficiente popolazione? Si dovette ricominciare daccapo. E di nuovo all’opera! E in fretta e furia! Che follia! – È indispensabile – disse l’impiegato con voce grave – che queste cose seguano il loro normale iter. In poche parole, la differenza consisteva nel fatto che le nostre pratiche dovevano necessariamente durare un centro periodo, come il servizio militare. Alla fine, dopo circa sei mesi di andirivieni, in attesa della firma o del vaglio, dell’approvazione o della spedizione, o che semplicemente la documentazione uscisse dal cassetto, e tornando ogni volta l’indomani, il responso fu: ‹‹Pur riconoscendo la validità e l’utilità del piano proposto dal suo ideatore, il progetto viene respinto.›› – Ah, ah! Signor Sans-délai – dissi ridendo a crepapelle – questo è il nostro affare. Ma il signor Sans-délai faceva il diavolo a quattro. – A questo è servito un viaggio così lungo? Dopo sei mesi ho ottenuto solo che ogni giorno mi venisse detto: ‹‹Torni domani››, e quando alla fine questo ‹‹domani›› arriva ci rispondono con un ‹‹no›› categorico? E pensare che vengo a portare denaro! Che gli faccio solo un favore! Chissà quale sofisticato complotto è stato ordito per contrastare i nostri piani! – Complotto, signor Sans-délai? Non c’è un solo uomo capace di portare avanti un complotto per più di due ore. La pigrizia è il vero complotto; le assicuro che non c’è nient’altro; questa è la vera causa nascosta: è più facile fingere di non vedere che ammettere la realtà. A questo punto, è necessaria una digressione, seppur breve, su alcune delle spiegazioni che mi diedero per giustificare quel rifiuto. – Quest’uomo finirà col rovinarsi – mi diceva un personaggio di un certo calibro e dal forte spirito patriottico. – Questa non è una spiegazione plausibile – gli risposi – se lui cadrà in rovina, nulla, e dico nulla, sarà andato perduto per avergli concesso ciò che chiede; avrà il castigo che si merita per la sua temerarietà o per la sua ignoranza. – Come può riuscire nel suo intento? – Poniamo il caso che il signor Sans-délai voglia solo sperperare il suo denaro e andare in rovina, qui non lo si può neanche fare, se un impiegato deve mettersi al lavoro? – Può danneggiare chi, finora, ha svolto in maniera diversa quello che questo signore straniero pretende fare. – Chi ha fatto in maniera diversa, vale a dire, peggio? – Sì, ma l’ha comunque fatto. – Sarebbe davvero un peccato se si smettesse di fare le cose male! E allora, dato che le cose si son sempre fatte nel peggiore dei modi, bisogna che i posteri seguano l’esempio? Prima bisognerebbe verificare di non essere pregiudicati dagli antichi metodi. – Così è stabilito; così s’è fatto finora e così continueremo a fare. – E per questa ragione dovrebbero continuare a darle da mangiare le pappine come quando è nato. – Insomma, signor Figaro, si tratta di uno straniero. – E perché non lo fanno i nostri connazionali? – Vengono a succhiarci il sangue come delle sanguisughe. – Mio caro signore – esclamai spazientito – lei si sbaglia. Lei é uno di quelli che hanno il brutto vizio di mettere sempre i bastoni fra le ruote a chi fa qualcosa di buono. Nel nostro Paese abbiamo la superbia di non sapere nulla e di pretendere di indovinare tutto e di non riconoscere i maestri. Le nazioni che hanno avuto, non tanto il sapere, ma per lo meno il desiderio di sapere, non hanno trovato altra soluzione che quella di affidarsi a chi ne sapeva di più. – Uno straniero – continuai – che va in un paese che non conosce, per scommettere lì tutto il suo patrimonio, mette in circolo nuovi capitali, contribuisce alla crescita della società, a cui fa un gran bene con il proprio talento e il proprio denaro; se perde tutto, sarà comunque un eroe; se vince è più che giusto che venga premiato per il suo lavoro, perché ci fornisce dei vantaggi che non riusciremmo ad ottenere da soli. Questo straniero, che si trasferisce in questo Paese, non viene a portar via denaro, come pensa lei; vi si stabilisce e, necessariamente, mette radici e, nel giro di cinque o sei anni, non è più straniero, né lo sarà mai più; i suoi maggiori interessi e i suoi affetti lo legano al nuovo Paese di adozione; si è affezionato alla terra in cui ha fatto fortuna, al popolo in cui ha trovato la compagna della sua vita; i suoi figli sono spagnoli e lo saranno anche i suoi nipoti; invece di “estrarre” denaro è venuto a “seminare” un capitale proprio che portava con sé, investendolo e facendolo fruttare; ha portato anche il proprio talento, che vale tanto quanto il denaro; ha dato da vivere ai nostri connazionali, di cui si è dovuto necessariamente avvalere; ha apportato delle migliorie e ha contribuito persino ad aumentare la popolazione con la sua nuova famiglia. Convinti dell’importanza di tutto ciò, tutti i governi saggi e prudenti hanno chiamato a sé gli stranieri: la Francia deve il suo alto grado di splendore alla sua grande ospitalità; la Russia deve agli stranieri di tutto il mondo il fatto di essere diventata una delle prime nazioni in un tempo più breve rispetto a quello che hanno impiegato altre nazioni per diventare ultime; agli stranieri, gli Stati Uniti devono… Ma a quanto pare – conclusi, interrompendo opportunamente il mio discorso – è molto difficile convincere del contrario chi non sente ragioni. Certo, se solo lei cambiasse idea, potremmo riporre in lei grandi speranze! Dopo questa predica, mi misi alla ricerca del mio caro Sans-délai. – Me ne vado, signor Figaro – mi disse – . In questo paese ‹‹non c’è tempo›› di fare niente; mi limiterò a visitare quanto di meglio offre la capitale. – Ah, amico mio! – risposi – che il buon Dio l’accompagni, e non perda la pazienza; stia ben attento perché la maggior parte delle nostre cose non si vedono. – È mai possibile? – Non mi vuole credere neanche questa volta? Si ricordi dei famosi quindici giorni… Dall’espressione del signor Sans-délai capii che il ricordo non gli faceva piacere. – Torni domani – ci dicevano da ogni parte – oggi non è possibile visitare… – Scriva due righe affinché le concedano un permesso speciale. Bisognava proprio vedere la faccia del mio amico quando gli dissero di scrivere “due righe”: gli passarono davanti agli occhi tutte le trafile per la documentazione, tutti gli affanni, i sei mesi passati e… Si limitò a dire: – Sono straniero. Che bella raccomandazione per i miei cari compatrioti! Il mo amico rimaneva ogni volta più sbalordito e comprendeva sempre meno il nostro modo di fare. Impiegammo giorni e giorni per visitare le poche rarità che teniamo nascoste. Alla fine, dopo sei lunghi mesi, ammesso che vi siano mesi più lunghi di altri, il mio protetto tornò in patria, maledicendo questa nostra terra e dandomi la ragione che già sapevo di avere; esportò fantastiche notizie sui nostri usi e costumi, ma soprattutto disse che in sei mesi non aveva fatto altro che ‹‹tornare sempre domani›› e dopo tanti ed eterni ‹‹domani›› la cosa migliore da fare, o per meglio dire l’unica, era stata quella di andarsene. Avrà ragione, pigro lettore (sempre che tu sia arrivato a questo punto della lettura), avrà ragione il signor Sans-délai a parlar male di noi e della nostra pigrizia? Tornerà con piacere un domani a visitare il nostro paese? Rimandiamo a domani questo quesito, perché per oggi sarai già stanco di leggere: se domani o qualche altro giorno non ti farà fatica, come al solito, tornare in libreria, e non ti farà fatica tirare fuori il portafogli e non ti farà fatica aprire bene gli occhi per sfogliare le pagine che ti devo ancora consegnare, ti racconterò di come molte volte io stesso, che tutto ciò vedo, conosco e soprattutto taccio, ho perso, perché mi faceva fatica, più di una conquista amorosa, influenzato da questa tendenza, figlia di questo clima di negligenza e non solo; ho abbandonato più d’una aspirazione, le speranze di più di un lavoro che, con un po’ più di sforzo, forse, sarebbe stato accessibile; infine, ho rinunciato a fare una visita giusta e necessaria a persone che nella vita mi sarebbero state d’aiuto; ti confesserò anche che non c’è nulla che non posso fare oggi che mi lasci per domani; per di più ti dirò che mi alzo alle undici e faccio sempre la siesta dopo pranzo; come ogni spagnolo che si rispetti, non rinuncio alle mie giornate di almeno sette, otto ore al bar in cui sonnecchio o faccio quattro chiacchiere; a questo aggiungerò che quando il bar chiude mi trascino lentamente verso i salotti (questo perché di momenti di pigrizia ne ho più d’uno) e, una sigaretta dopo l’altra, rimango inchiodato su una poltrona, a sbadigliare senza tregua, fino a mezzanotte, l’una; molte volte per pigrizia non ceno e per pigrizia non vado a letto; insomma, mio amatissimo lettore, ti confiderò che in questa vita sono stato disperato tante volte e se non mi sono impiccato è stato solo per pigrizia. E concludo, per oggi, confessandoti che il titolo di questo articolo, che ho chiamato ‹‹Torni domani››, lo tenevo appuntato da più di tre mesi; tutte le sere e in molti dei miei pomeriggi, ho sentito il desiderio di scrivere qualcosa, ma tutte le sere spegnevo la luce e, confidando in me stesso, con candore puerile, mi dicevo: ‹‹Ma domani lo scriverò!››. Per fortuna questo “domani” è arrivato e non è così male: ah, ma che dire di quel domani che non arriverà mai! | Gran persona debió de ser el primero que llamó pecado mortal a la pereza; nosotros, que ya en uno de nuestros artículos anteriores estuvimos más serios de lo que nunca nos habíamos propuesto, no entraremos ahora en largas y profundas investigaciones acerca de la historia de este pecado, por más que conozcamos que hay pecados que pican en historia, y que la historia de los pecados sería un tanto cuanto divertida. Convengamos solamente en que esta institución ha cerrado y cerrará las puertas del cielo a más de un cristiano. Estas reflexiones hacía yo casualmente no hace muchos días, cuando se presentó en mi casa un extranjero de estos que, en buena o en mala parte, han de tener siempre de nuestro país una idea exagerada e hiperbólica, de estos que, o creen que los hombres aquí son todavía los espléndidos, francos, generosos y caballerescos seres de hace dos siglos, o que son aún las tribus nómadas del otro lado del Atlante: en el primer caso vienen imaginando que nuestro carácter se conserva intacto como nuestra ruina; en el segundo vienen temblando por esos caminos, y pregunta si son los ladrones que los han de despojar los individuos de algún cuerpo de guardia establecido precisamente para defenderlos de los azares de un camino, comunes a todos los países. Verdad es que nuestro país no es de aquellos que se conocen a primera ni a segunda vista, y si no temiéramos que nos llamasen atrevidos, lo compararíamos de buena gana a esos juegos de manos sorprendentes e inescrutables para el que ignora su artificio, que estribando en una grandísima bagatela, suelen después de sabidos dejar asombrado de su poca perspicacia al mismo que se devanó los sesos por buscarles causas extrañas. Muchas veces la falta de una causa determinante en las cosas nos hace creer que debe de haberlas profundas para mantenerlas al abrigo de nuestra penetración. Tal es el orgullo del hombre, que más quiere declarar en alta voz que las cosas son incomprensibles cuando no las comprende él, que confesar que el ignorarlas puede depender de su torpeza. Esto no obstante, como quiera que entre nosotros mismos se hallen muchos en esta ignorancia de los verdaderos resortes que nos mueven, no tendremos derecho para extrañar que los extranjeros no los puedan tan fácilmente penetrar. Un extranjero de estos fue el que se presentó en mi casa, provisto de competentes cartas de recomendación para mi persona. Asuntos intrincados de familia, reclamaciones futuras, y aun proyectos vastos concebidos en París de invertir aquí sus cuantiosos caudales en tal cual especulación industrial o mercantil, eran los motivos que a nuestra patria le conducían. Acostumbrado a la actividad en que viven nuestros vecinos, me aseguró formalmente que pensaba permanecer aquí muy poco tiempo, sobre todo si no encontraba pronto objeto seguro en que invertir su capital. Pareciome el extranjero digno de alguna consideración, trabé presto amistad con él, y lleno de lástima traté de persuadirle a que se volviese a su casa cuanto antes, siempre que seriamente trajese otro fin que no fuese el de pasearse. Admirole la proposición, y fue preciso explicarme más claro. -Mirad -le dije-, monsieur Sans-délai -que así se llamaba-; vos venís decidido a pasar quince días, y a solventar en ellos vuestros asuntos. -Ciertamente -me contestó-. Quince días, y es mucho. Mañana por la mañana buscamos un genealogista para mis asuntos de familia; por la tarde revuelve sus libros, busca mis ascendientes, y por la noche ya sé quién soy. En cuanto a mis reclamaciones, pasado mañana las presento fundadas en los datos que aquél me dé, legalizadas en debida forma; y como será una cosa clara y de justicia innegable (pues sólo en este caso haré valer mis derechos), al tercer día se juzga el caso y soy dueño de lo mío. En cuanto a mis especulaciones, en que pienso invertir mis caudales, al cuarto día ya habré presentado mis proposiciones. Serán buenas o malas, y admitidas o desechadas en el acto, y son cinco días; en el sexto, séptimo y octavo, veo lo que hay que ver en Madrid; descanso el noveno; el décimo tomo mi asiento en la diligencia, si no me conviene estar más tiempo aquí, y me vuelvo a mi casa; aún me sobran de los quince cinco días. Al llegar aquí monsieur Sans-délai traté de reprimir una carcajada que me andaba retozando ya hacía rato en el cuerpo, y si mi educación logró sofocar mi inoportuna jovialidad, no fue bastante a impedir que se asomase a mis labios una suave sonrisa de asombro y de lástima que sus planes ejecutivos me sacaban al rostro mal de mi grado. -Permitidme, monsieur Sans-délai -le dije entre socarrón y formal-, permitidme que os convide a comer para el día en que llevéis quince meses de estancia en Madrid. -¿Cómo? -Dentro de quince meses estáis aquí todavía. -¿Os burláis? -No por cierto. -¿No me podré marchar cuando quiera? ¡Cierto que la idea es graciosa! -Sabed que no estáis en vuestro país activo y trabajador. -¡Oh!, los españoles que han viajado por el extranjero han adquirido la costumbre de hablar mal siempre de su país por hacerse superiores a sus compatriotas. -Os aseguro que en los quince días con que contáis, no habréis podido hablar siquiera a una sola de las personas cuya cooperación necesitáis. -¡Hipérboles! Yo les comunicaré a todos mi actividad. -Todos os comunicarán su inercia. Conocí que no estaba el señor de Sans-délai muy dispuesto a dejarse convencer sino por la experiencia, y callé por entonces, bien seguro de que no tardarían mucho los hechos en hablar por mí. Amaneció el día siguiente, y salimos entrambos a buscar un genealogista, lo cual sólo se pudo hacer preguntando de amigo en amigo y de conocido en conocido: encontrámosle por fin, y el buen señor, aturdido de ver nuestra precipitación, declaró francamente que necesitaba tomarse algún tiempo; instósele, y por mucho favor nos dijo definitivamente que nos diéramos una vuelta por allí dentro de unos días. Sonreíme y marchámonos. Pasaron tres días; fuimos. -Vuelva usted mañana -nos respondió la criada-, porque el señor no se ha levantado todavía. -Vuelva usted mañana -nos dijo al siguiente día-, porque el amo acaba de salir. -Vuelva usted mañana -nos respondió al otro-, porque el amo está durmiendo la siesta. -Vuelva usted mañana -nos respondió el lunes siguiente-, porque hoy ha ido a los toros. -¿Qué día, a qué hora se ve a un español? Vímosle por fin, y «Vuelva usted mañana -nos dijo-, porque se me ha olvidado. Vuelva usted mañana, porque no está en limpio». A los quince días ya estuvo; pero mi amigo le había pedido una noticia del apellido Díez, y él había entendido Díaz, y la noticia no servía. Esperando nuevas pruebas, nada dije a mi amigo, desesperado ya de dar jamás con sus abuelos. Es claro que faltando este principio no tuvieron lugar las reclamaciones. Para las proposiciones que acerca de varios establecimientos y empresas utilísimas pensaba hacer, había sido preciso buscar un traductor; por los mismos pasos que el genealogista nos hizo pasar el traductor; de mañana en mañana nos llevó hasta el fin del mes. Averiguamos que necesitaba dinero diariamente para comer, con la mayor urgencia; sin embargo, nunca encontraba momento oportuno para trabajar. El escribiente hizo después otro tanto con las copias, sobre llenarlas de mentiras, porque un escribiente que sepa escribir no le hay en este país. No paró aquí; un sastre tardó veinte días en hacerle un frac, que le había mandado llevarle en veinticuatro horas; el zapatero le obligó con su tardanza a comprar botas hechas; la planchadora necesitó quince días para plancharle una camisola; y el sombrerero a quien le había enviado su sombrero a variar el ala, le tuvo dos días con la cabeza al aire y sin salir de casa. Sus conocidos y amigos no le asistían a una sola cita, ni avisaban cuando faltaban, ni respondían a sus esquelas. ¡Qué formalidad y qué exactitud! -¿Qué os parece de esta tierra, monsieur Sans-délai? -le dije al llegar a estas pruebas. -Me parece que son hombres singulares... -Pues así son todos. No comerán por no llevar la comida a la boca. Presentose con todo, yendo y viniendo días, una proposición de mejoras para un ramo que no citaré, quedando recomendada eficacísimamente. A los cuatro días volvimos a saber el éxito de nuestra pretensión. -Vuelva usted mañana -nos dijo el portero-. El oficial de la mesa no ha venido hoy. «Grande causa le habrá detenido», dije yo entre mí. Fuímonos a dar un paseo, y nos encontramos, ¡qué casualidad!, al oficial de la mesa en el Retiro, ocupadísimo en dar una vuelta con su señora al hermoso sol de los inviernos claros de Madrid. Martes era el día siguiente, y nos dijo el portero: -Vuelva usted mañana, porque el señor oficial de la mesa no da audiencia hoy. -Grandes negocios habrán cargado sobre él -dije yo. Como soy el diablo y aun he sido duende, busqué ocasión de echar una ojeada por el agujero de una cerradura. Su señoría estaba echando un cigarrito al brasero, y con una charada del Correo entre manos que le debía costar trabajo el acertar. -Es imposible verle hoy -le dije a mi compañero-; su señoría está en efecto ocupadísimo. Dionos audiencia el miércoles inmediato, y, ¡qué fatalidad!, el expediente había pasado a informe, por desgracia, a la única persona enemiga indispensable de monsieur y de su plan, porque era quien debía salir en él perjudicado. Vivió el expediente dos meses en informe, y vino tan informado como era de esperar. Verdad es que nosotros no habíamos podido encontrar empeño para una persona muy amiga del informante. Esta persona tenía unos ojos muy hermosos, los cuales sin duda alguna le hubieran convencido en sus ratos perdidos de la justicia de nuestra causa. Vuelto de informe se cayó en la cuenta en la sección de nuestra bendita oficina de que el tal expediente no correspondía a aquel ramo; era preciso rectificar este pequeño error; pasose al ramo, establecimiento y mesa correspondiente, y hétenos caminando después de tres meses a la cola siempre de nuestro expediente, como hurón que busca el conejo, y sin poderlo sacar muerto ni vivo de la huronera. Fue el caso al llegar aquí que el expediente salió del primer establecimiento y nunca llegó al otro. -De aquí se remitió con fecha de tantos -decían en uno. -Aquí no ha llegado nada -decían en otro. -¡Voto va! -dije yo a monsieur Sans-délai, ¿sabéis que nuestro expediente se ha quedado en el aire como el alma de Garibay, y que debe de estar ahora posado como una paloma sobre algún tejado de esta activa población? Hubo que hacer otro. ¡Vuelta a los empeños! ¡Vuelta a la prisa! ¡Qué delirio! -Es indispensable -dijo el oficial con voz campanuda-, que esas cosas vayan por sus trámites regulares. Es decir, que el toque estaba, como el toque del ejercicio militar, en llevar nuestro expediente tantos o cuantos años de servicio. Por último, después de cerca de medio año de subir y bajar, y estar a la firma o al informe, o a la aprobación o al despacho, o debajo de la mesa, y de volver siempre mañana, salió con una notita al margen que decía: «A pesar de la justicia y utilidad del plan del exponente, negado.» -¡Ah, ah!, monsieur Sans-délai -exclamé riéndome a carcajadas-; éste es nuestro negocio. Pero monsieur Sans-délai se daba a todos diablos. -¿Para esto he echado yo mi viaje tan largo? ¿Después de seis meses no habré conseguido sino que me digan en todas partes diariamente: «Vuelva usted mañana», y cuando este dichoso «mañana» llega en fin, nos dicen redondamente que «no»? ¿Y vengo a darles dinero? ¿Y vengo a hacerles favor? Preciso es que la intriga más enredada se haya fraguado para oponerse a nuestras miras. -¿Intriga, monsieur Sans-délai? No hay hombre capaz de seguir dos horas una intriga. La pereza es la verdadera intriga; os juro que no hay otra; ésa es la gran causa oculta: es más fácil negar las cosas que enterarse de ellas. Al llegar aquí, no quiero pasar en silencio algunas razones de las que me dieron para la anterior negativa, aunque sea una pequeña digresión. -Ese hombre se va a perder -me decía un personaje muy grave y muy patriótico. -Esa no es una razón -le repuse-: si él se arruina, nada, nada se habrá perdido en concederle lo que pide; él llevará el castigo de su osadía o de su ignorancia. -¿Cómo ha de salir con su intención? -Y suponga usted que quiere tirar su dinero y perderse, ¿no puede uno aquí morirse siquiera, sin tener un empeño para el oficial de la mesa? -Puede perjudicar a los que hasta ahora han hecho de otra manera eso mismo que ese señor extranjero quiere. -¿A los que lo han hecho de otra manera, es decir, peor? -Sí, pero lo han hecho. -Sería lástima que se acabara el modo de hacer mal las cosas. ¿Conque, porque siempre se han hecho las cosas del modo peor posible, será preciso tener consideraciones con los perpetuadores del mal? Antes se debiera mirar si podrían perjudicar los antiguos al moderno. -Así está establecido; así se ha hecho hasta aquí; así lo seguiremos haciendo. -Por esa razón deberían darle a usted papilla todavía como cuando nació. -En fin, señor Fígaro, es un extranjero. -¿Y por qué no lo hacen los naturales del país? -Con esas socaliñas vienen a sacarnos la sangre. -Señor mío -exclamé, sin llevar más adelante mi paciencia-, está usted en un error harto general. Usted es como muchos que tienen la diabólica manía de empezar siempre por poner obstáculos a todo lo bueno, y el que pueda que los venza. Aquí tenemos el loco orgullo de no saber nada, de quererlo adivinar todo y no reconocer maestros. Las naciones que han tenido, ya que no el saber, deseos de él, no han encontrado otro remedio que el de recurrir a los que sabían más que ellas. »Un extranjero -seguí- que corre a un país que le es desconocido, para arriesgar en él sus caudales, pone en circulación un capital nuevo, contribuye a la sociedad, a quien hace un inmenso beneficio con su talento y su dinero, si pierde es un héroe; si gana es muy justo que logre el premio de su trabajo, pues nos proporciona ventajas que no podíamos acarrearnos solos. Ese extranjero que se establece en este país, no viene a sacar de él el dinero, como usted supone; necesariamente se establece y se arraiga en él, y a la vuelta de media docena de años, ni es extranjero ya ni puede serlo; sus más caros intereses y su familia le ligan al nuevo país que ha adoptado; toma cariño al suelo donde ha hecho su fortuna, al pueblo donde ha escogido una compañera; sus hijos son españoles, y sus nietos lo serán; en vez de extraer el dinero, ha venido a dejar un capital suyo que traía, invirtiéndole y haciéndole producir; ha dejado otro capital de talento, que vale por lo menos tanto como el del dinero; ha dado de comer a los pocos o muchos naturales de quien ha tenido necesariamente que valerse; ha hecho una mejora, y hasta ha contribuido al aumento de la población con su nueva familia. Convencidos de estas importantes verdades, todos los Gobiernos sabios y prudentes han llamado a sí a los extranjeros: a su grande hospitalidad ha debido siempre la Francia su alto grado de esplendor; a los extranjeros de todo el mundo que ha llamado la Rusia, ha debido el llegar a ser una de las primeras naciones en muchísimo menos tiempo que el que han tardado otras en llegar a ser las últimas; a los extranjeros han debido los Estados Unidos... Pero veo por sus gestos de usted -concluí interrumpiéndome oportunamente a mí mismo- que es muy difícil convencer al que está persuadido de que no se debe convencer. ¡Por cierto, si usted mandara, podríamos fundar en usted grandes esperanzas! Concluida esta filípica, fuime en busca de mi Sans-délai. -Me marcho, señor Fígaro -me dijo-. En este país «no hay tiempo» para hacer nada; sólo me limitaré a ver lo que haya en la capital de más notable. -¡Ay, mi amigo! -le dije-, idos en paz, y no queráis acabar con vuestra poca paciencia; mirad que la mayor parte de nuestras cosas no se ven. -¿Es posible? -¿Nunca me habéis de creer? Acordaos de los quince días... Un gesto de monsieur Sans-délai me indicó que no le había gustado el recuerdo. -Vuelva usted mañana -nos decían en todas partes-, porque hoy no se ve... -Ponga usted un memorialito para que le den a usted permiso especial. Era cosa de ver la cara de mi amigo al oír lo del memorialito: representábasele en la imaginación el informe, y el empeño, y los seis meses, y... Contentose con decir: -Soy extranjero. ¡Buena recomendación entre los amables compatriotas míos! Aturdíase mi amigo cada vez más, y cada vez nos comprendía menos. Días y días tardamos en ver las pocas rarezas que tenemos guardadas. Finalmente, después de medio año largo, si es que puede haber un medio año más largo que otro, se restituyó mi recomendado a su patria maldiciendo de esta tierra, y dándome la razón que yo ya antes me tenía, y llevando al extranjero noticias excelentes de nuestras costumbres; diciendo sobre todo que en seis meses no había podido hacer otra cosa sino «volver siempre mañana», y que a la vuelta de tanto «mañana», eternamente futuro, lo mejor, o más bien lo único que había podido hacer bueno, había sido marcharse. ¿Tendrá razón, perezoso lector (si es que has llegado ya a esto que estoy escribiendo), tendrá razón el buen monsieur Sans-délai en hablar mal de nosotros y de nuestra pereza? ¿Será cosa de que vuelva el día de mañana con gusto a visitar nuestros hogares? Dejemos esta cuestión para mañana, porque ya estarás cansado de leer hoy: si mañana u otro día no tienes, como sueles, pereza de volver a la librería, pereza de sacar tu bolsillo, y pereza de abrir los ojos para hojear las hojas que tengo que darte todavía, te contaré cómo a mí mismo, que todo esto veo y conozco y callo mucho más, me ha sucedido muchas veces, llevado de esta influencia, hija del clima y de otras causas, perder de pereza más de una conquista amorosa; abandonar más de una pretensión empezada, y las esperanzas de más de un empleo, que me hubiera sido acaso, con más actividad, poco menos que asequible; renunciar, en fin, por pereza de hacer una visita justa o necesaria, a relaciones sociales que hubieran podido valerme de mucho en el transcurso de mi vida; te confesaré que no hay negocio que no pueda hacer hoy que no deje para mañana; te referiré que me levanto a las once, y duermo siesta; que paso haciendo el quinto pie de la mesa de un café, hablando o roncando, como buen español, las siete y las ocho horas seguidas; te añadiré que cuando cierran el café, me arrastro lentamente a mi tertulia diaria (porque de pereza tengo más que una), y un cigarrito tras otro me alcanzan clavado en un sitial, y bostezando sin cesar, las doce o la una de la madrugada; que muchas noches no ceno de pereza, y de pereza no me acuesto; en fin, lector de mi alma, te declararé que de tantas veces como estuve en esta vida desesperado, ninguna me ahorqué y siempre fue de pereza. Y concluyo por hoy confesándote que ha más de tres meses que tengo, como la primera entre mis apuntaciones, el título de este artículo, que llamé «Vuelva usted mañana»; que todas las noches y muchas tardes he querido durante ese tiempo escribir algo en él, y todas las noches apagaba mi luz diciéndome a mí mismo con la más pueril credulidad en mis propias resoluciones: «¡Eh!, ¡mañana le escribiré!». Da gracias a que llegó por fin este mañana que no es del todo malo: pero ¡ay de aquel mañana que no ha de llegar jamás! |
A partire dal XVIII secolo in Spagna, in risposta al moderno anelo di veridicità che in quel momento affiorava, nasce la cosiddetta mímesis costumbrista da cui, di riflesso, sorgono nuovi generi letterari portatori di una rinnovata concezione della letteratura nella quale si esprime un’aspirazione, che predominerà fra gli scrittori di questi due secoli, e condivisa dai lettori: l’ideale della rappresentazione fedele della realtà.
L’idea fondamentale, ribadita dagli autori del diciottesimo secolo nelle loro critiche letterarie, è che imitare consiste nel ricopiare con la massima verosimiglianza possibile il modello che si osserva, così come si dipinge un quadro con l’intenzione di riprodurre esattamente la realtà osservata dall’artista. Nuovo oggetto di mimesis è,dunque, la vida civil e la sociedad civil, vale a dire, la realtà circoscritta nel tempo e nello spazio. La vita civile diventa il referente culturale e idiologico della letteratura sorta sotto la protezione istituzionale della vita pubblica borghese, che si manifesta in luoghi di riunione come i caffè, las tertulias, i salotti ecc., che diventano vere e proprie “istituzioni ideologiche”. Nella critica letteraria si stabilisce, inoltre, l’equivalenza tra vida civil e costumbres come obbiettivo primario della rappresentazione letteraria. Ciò che lo scrittore vede e cerca di riprodurre nei suoi quadri è quanto gli spettatori di Madrid hanno già avuto davanti agli occhi: la chiesa di S. Isidro, il Rastro, La Plaza Mayor, ecc.
Larra, seguendo queste idee portanti, e sempre attento alle esigenze della sua epoca, si dedica alla scrittura di articulos di giornale in cui dà una visione della realtà a lui più vicina. Con saggezza ma senza ostentazione, evitando la pedanteria, ma non rinunciando alla profondità, Larra, lancia quotidianamente “invettive” contro la società, con la sua satira pungente, talvolta anche ridendo, ma di rabbia, dell’ignoranza e dell’inettitudine degli uomini della sua epoca, e introduce nel suo paese un genere letterario, in seguito molto imitato.
La collezione di articoli di Larra, che spesso celava la sua identità sotto lo pseudonimo di Figaro, apparirono per lungo tempo nel Pobrecito Hablador, la Revista Española, l’Observador, la Revista, il Mensajero e l’ Español.
Nel caso di Torni domani, l’autore si sofferma inizialmente sulla pigrizia: dall’enunciazione di un difetto dell’uomo, dalle origini ancestrali, si procede all’esposizione di un accadimento reale, in cui l’autore si è visto coinvolto in prima persona, per passare, poi, al momento della denuncia della negligenza e dell’inettitudine di molti; è questo il momento della satira mordace, che indurrebbe quasi alla formulazione, da parte del lettore, di buoni e saldi propositi di miglioramento. Ma i buoni propositi possono attendere, si possono sempre rimandare all’indomani, a … aquel mañana que no ha de llegar jamás!, come recitano le ultime parole con cui si conclude l’articolo e che, soprattutto, fanno da filo conduttore. Ma i toni forti, con cui l’intellettuale giornalista aveva in un primo momento additato una società intera, si vanno via via smorzando nel momento in cui si ritorna all’esperienza personale, alla propria quotidianità, in cui lunghi momenti di poltroneria e di sonnolenza, il conversare fatuo, e più in generale l’ozio, fanno da protagonisti.
La pigrizia denunciata da Larra, è il male di un’epoca, di più classi sociali, un vizio diffuso tra burocrati, impiegati, ma anche fra sarti, stiratrici, traduttori e cappellai e fra quei borghesi che, come lui, non vantano un solo momento al giorno di pigrizia, ma svariati… (porque de pereza tengo más que una). Larra polemizza, in un primo momento, soprattutto contro chi ostacola i piani imprenditoriali dell’amico francese, vittima per eccellenza della negligenza altrui, adducendo, peraltro, banalissime giustificazioni di matrice nazionalistica; in realtà, l’autore stesso incarna un forte senso di contraddizione. Da un lato prende posizione contro gli ostili compatrioti e si fa portavoce di una cultura straniera che inneggia al progresso, dall’altra è emblematica la sua l’assoluta mancanza di dinamismo, manifestata apertamente e giustificata in quanto atteggiamento diffuso fra i contemporanei.
Nel complesso, Torni domani non presenta, per il lettore italiano, particolari difficoltà di comprensione. Si tratta di un articolo di piacevole e scorrevole lettura, scritto in prima persona in uno stile talmente diretto che sembra quasi che l’autore si stia riferendo ad un lettore amico, che in qualche modo conosce bene. E, infatti, lo chiama in causa più volte con un linguaggio quasi intimo (ti confiderò o concludo confessandoti), lo interpella in qualità di mio lettore amatissimo, gli rivolge domande retoriche a sostegno delle proprie argomentazioni, …avrà ragione il signor Sans-délai a parlar male di noi e della nostra negligenza? Tornerà con piacere a visitare il nostro paese?
In sede di traduzione, la sintassi rappresenta, probabilmente, l’aspetto più complicato da risolvere; il testo è caratterizzato, infatti, da periodi spesso lunghi e articolati, anche se non necessariamente complessi da capire. Dinnanzi a casi di questo genere la soluzione adottata è stata sciogliere i grovigli di proposizioni; generalmente si è trattato di stabilire l’ordine più adeguato e corretto in italiano, al fine di ottenere una traduzione più chiara possibile.
Il problema della traduzione delle espressioni idiomatiche ricorre spesso in questo articolo. Il primo in ordine di comparizione è en buena o en mala parte tradotto come a ragione o a torto; in questo caso non è stato intaccato né il significato, né il significante originale (si è passati unicamente da un codice linguistico ad un altro), dal momento che l’operazione messa in atto è stata di ricerca dell’ equivalente italiano alla forma spagnola.
Più difficoltosa è stata la resa in italiano delle espressioni: Como soy el diablo y aun he sido duende...; mentre, infatti, la figura del diavolo è di grande dominio sia nel linguaggio più informale che in quello strettamente letterario, il duende, ossia il folletto malizioso, non appartiene molto alla nostra tradizione. Pertanto, ritenendo che il lettore italiano non avrebbe, con molta probabilità, riconosciuto i connotati propri del duende, ho preferito eclissarlo, omettendolo del tutto; ma al suo posto, quasi a voler mettere in atto un meccanismo di compensazione e lasciarne una minima traccia, ho messo in evidenza con una comparativa l’aggettivo sospettoso, che richiama la “qualità” del folletto, scomparso nella traduzione, e anticipa al lettore le azioni che seguono nel testo.
Ritornando a quanto detto precedentemente in tema di diablos, e andando avanti nel testo, scopriamo l’uso di un altro modismo che afferisce allo stesso campo semantico: se daba a todos diablos, che si è facilmente tradotta con faceva il diavolo a quattro. Sembrerebbe, anche se lo dico solo sulla base di osservazione personali in merito, che per quanto concerne alcuni elementi legati alla metafisica, ma soprattutto alla religione, la cultura popolare spagnola e quella italiana, e il senso comune, che stanno alla base della creazione di questi strumenti della lingua, hanno diversi punti di incontro e talvolta combaciano perfettamente, tanto da dar vita a modi di dire così speculari fra loro.
Un’altra difficoltà, che questo testo riserva al traduttore, risiede nel lessico, spesso ricercato, e nella presenza di inversioni sintattiche, che hanno il fine di conferire eleganza e raffinatezza ad una prosa giornalistica apparentemente semplice.
Il riscontro di quanto si è appena affermato si può avere a partire dalle primissime battute d’inizio dell’articolo.
Gran persona debió de ser el primero que llamó pecado mortal a la pereza; nosotros, que ya en uno de nuestros artículos anteriores estuvimos más serios de lo que nunca nos habíamos propuesto, no entraremos ahora en largas y profundas investigaciones acerca de la historia de este pecado, por más que conozcamos que hay pecados que pican en historia, y que la historia de los pecados sería un tanto cuanto divertida. Convengamos solamente en que esta institución ha cerrado y cerrará las puertas del cielo a más de un cristiano.
Come è comprensibile, affinché la resa in italiano fosse migliore e il testo risultasse più fluido, è stato necessario stabilire un ordine diverso dalla prima all’ultima frase e questo procedimento è stato, probabilmente, il più ricorrente nelle prime fasi del lavoro.
L’uso del pluralia maiestatis (...nosotros... no entraremos ahora... Convengamos solamente...) è volutamente stato omesso, così come la lunga relativa… que ya en uno de nuestros artículos anteriores estuvimos más serios de lo que nunca nos habíamos propuesto... sostituita da una incidentale più breve (come in un articolo precedente). La proposizione relativa, posta in posizione iniziale, a mio avviso, rallentava inevitabilmente la lettura, conferendo una certa pesantezza all’intero periodo; di qui la scelta di ridurre la relativa a pochi elementi lessicali, senza però rinunciare al significato che conteneva nell’originale.
Vorrei concludere quest’analisi con un commento sull’evidente e meraviglioso talento di Larra nel trovare il lato ridicolo degli uomini e delle cose in generale; credo sia davvero innegabile la sua capacità di mettere in risalto ogni genere di contraddizione attraverso uno stile tanto grave quanto leggero e gradevole, come lo richiede la satira sociale del suo e di ogni tempo.
©inTRAlinea & Valentina Monaca (2008).
"Torni domani". Translation from the work of Mariano José de Larra.
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