Mia Madre
Translated by: Riccardo Moratto (Fu Jen Catholic University, Taiwan)
我的母親 by 胡適 (Hú Shì)
Tratto da 胡適文存•二集, Shanghai, 1924. (亞東圖書館)
Mia Madre
Da piccolo ero di corporatura gracile e non potevo giocare assieme agli altri bambini scapestrati[1], d’altrocanto mia madre non mi avrebbe mai permesso di correre e saltare assieme a loro. Nella mia infanzia non ero abituato a fare giochi vivaci, indipendentemente da dove mi trovassi, mi comportavo sempre in modo elegante e raffinato. Per questo motivo, gli anziani del villaggio dicevano che “sembravo proprio un signorotto” e uno dopo l’altro cominciarono a chiamarmi “Signor Cervo Muschiato[2]”. Non appena questo nomignolo si diffuse, tutti vennero a conoscenza del fatto che il figlioletto del signor San veniva soprannominato “Signor Cervo Muschiato”. Giacchè venivo chiamato con l’appellativo di “Signor”, dovevo anche comportarmi come tale quindi a maggior ragione non potevo correre a scavezzacollo con gli altri bambini. Un giorno, di fronte alla porta strombata[3] dell’entrata di casa, stavo giocando con altri bambini al “lancio della monetina”[4], quando una persona anziana passò di lì e dopo avermi visto, disse sorridendo: “anche il Signor Cervo Muschiato gioca al lancio della monetina?”. Io diventai tutto rosso dalla vergogna, perché con quelle parole pensavo di aver perso il mio status di “Signor”!
I grandi mi spronavano ad agire da gentleman e da parte mia non avevo né le capacità né l’abitudine di giocare. Se a questo aggiungiamo che amavo molto leggere e studiare, posso ben dire di non aver mai goduto appieno dei giochi propri dell’infanzia. Ogni anno d’autunno, quando mi recavo con mio nonno[5] nei campi per controllare la situazione e per il processo di raccolta mi mettevo sempre seduto sotto a un albero a leggere un bel romanzo. All’età di undici o dodici anni divenni leggermente più vivace, al punto da metter su una piccola troupe di teatro con alcuni compagni di scuola. Ci costruimmo coltelli di legno e pistole di bambù, prendemmo in prestito delle barbe e dei baffi finti e inscenammo uno spettacolino recitando nei campi all’entrata del villaggio. Io di solito facevo la parte di personaggi storici quali Zhūgĕ Liàng[6] o Liú Bèi[7]; solo una volta recitai la parte di Shĭ Wén Gōng[8], il quale colpito da un dardo scagliato da Huā Róng cadde dalla sedia su cui si trovava: questo può essere considerato il gioco più vivace a cui avessi mai giocato nella mia vita.
Nei nove anni che intercorsero tra il 1895 e il 1904 imparai soltanto a leggere e a scrivere. Per quanto concerne la letteratura e la filosofia, non potevo non dire di avere acquisito delle solide fondamenta, tuttavia non avevo avuto modo di sviluppare le mie abilità nelle altre cose. Un anno, quando toccò al nostro villaggio ospitare la cerimonia in onore della divinità Nezha[9] (nella contea di Badu erano presenti cinque villaggi che ogni anno ospitavano la cerimonia a turno), qualcuno propose di farmi entrare nella compagnia dell’opera di Kunqu[10] al fine di imparare a suonare lo shēng[11] o il flauto. Tuttavia, gli adulti si opposero a questa decisione sostenendo che fossi troppo piccolo e che non potessi seguire la divinità Nezha nel suo percorso tra i cinque villaggi. E fu così che persi anche l’unica opportunità che mi si presentò di studiare musica. In trent’anni non ho mai preso uno strumento in mano e non capisco un’acca di musica; ad oggi però non posso neanche dire di sapere con certezza se fossi dotato o meno per quell’arte. E men che mai so se fossi portato per lo studio del disegno. Spesso con della carta di bambù ricoprivo le litografie sulle copertine dei romanzi e ricopiavo gli eroi e le altre figure che erano disegnate sul libro. Un giorno, quando venni scoperto, ricevetti una sonora sgridata e tutti i disegni che tenevo nei cassetti vennero confiscati e strappati. Ecco come vidi sfumare anche l’opportunità di divenire un pittore.
Tuttavia, in quei nove anni trascorsi sui libri, imparai molto anche su come essere un uomo. Su questo versante, la mia premurosa madre fu il mio più grande insegnante.
Ogni giorno al sorgere del sole, mia madre mi svegliava a voce alta dicendomi di vestirmi alla svelta e di mettermi seduto. Non sapevo mai da quanto si fosse svegliata e da quanto tempo se ne stesse lì seduta. Mi guardava mentre cercavo di aprire gli occhi e al contempo mi diceva che cosa avessi sbagliato il giorno prima o che cosa avessi detto che non andava. Voleva che ammettessi i miei errori e che mi impegnassi nello studio diligentemente. Spesso mi elencava i lati positivi di mio padre, dicendomi: “devi seguire le orme di tuo padre. Nella mia vita non ho mai conosciuto persona altrettanto completa e perfetta, devi imparare da lui, non lo deludere e non dargli ragione di vergogna.” Parlava fino a provare dolore nei meandri più profondi del cuore, e finiva anche col versare lacrime. Solo quando il sole era già alto nel cielo, mi sistemava i vestiti ben bene e mi sollecitava ad andare alle lezioni del mattino. Le chiavi del lucchetto del cancello della scuola si trovavano nella residenza dell’insegnante; allora io prima mi recavo al cancello a dare un’occhiata e poi di corsa andavo a bussare alla porta di casa dell’insegnante, dove qualcuno mi passava le chiavi attraverso una fessura della porta, dopo averle prese, di corsa tornavo a scuola, aprivo il cancello, mi sedevo e mi mettevo a studiare. Otto o nove giorni su dieci ero sempre il primo ad arrivare nonché quello che apriva il cancello. Soltanto dopo l’arrivo dell’insegnante e dopo aver imparato a memoria le parole nuove, potevo tornare a casa e fare una bella colazione.
Mia madre era molto severa con me. Svolgeva sia la funzione di madre amorevole che quella di padre severo, tuttavia non mi ha mai sgridato né dato un ceffone davanti agli altri. Se sbagliavo qualcosa, mi lanciava un’occhiata la cui severità era sufficiente a terrorizzarmi. Se l’errore non era grossolano, aspettava il giorno dopo quando al mio risveglio mi impartiva una lezione. Ma quando avevo commesso un errore particolarmente grave attendeva la sera quando tutto era in silenzio. Prima chiudeva la porta della mia stanza, poi mi rimproverava ed infine mi puniva facendomi inginocchiare o dandomi dei pizzicotti. A prescindere dalla gravità della punizione, non mi era permesso piangere. Quando mia madre mi dava delle lezioni non era certo per sfogarsi o per farlo sentire agli altri.
Una sera al crepuscolo, agli inizi di autunno, dopo cena, mi misi a giocare sull’uscio di casa, con addosso solo una canottiera. A quel tempo, la sorella più giovane di mia madre, zia Yù Yīng abitava con noi. Temeva che avessi freddo, così prese una camicietta e voleva farmela indossare. Io non ne avevo la minima intenzione, al che lei disse: “Dai su, mettitela, che fa freddo!”. Io su due piedi risposi: “Freddo un corno! Sono grande, grosso e vaccinato[12].” Non appena pronunciai queste parole, alzando la testa vidi mia madre fare capolino dalla porta così mi sbrigai a indossare la camicietta, ma ormai era troppo tardi: aveva sentito la mia frivola osservazione. Quella sera, calato il silenzio, mi ingiunse di inginocchiarmi e mi rimproverò molto duramente. Disse: “Tuo padre non c’è più e tu ti comporti in questo modo! Ma non ti vergogni![13]” Si era adirata al punto tale che se ne stava lì seduta tutta tremante, e non mi permise nemmeno di coricarmi sul letto per dormire. In ginocchio piansi a lungo, asciugandomi le lacrime con le mani; a forza di strofinarmi gli occhi, non so quale microbo o germe vi fosse entrato, fatto sta che dopo quella sera ebbi la vista annebbiata per un anno. Nessuno dei medici che consultammo riuscì a curare la mia malattia. Mia madre, che oltre a sentirsi sia in colpa, era anche in apprensione, avendo sentito dire che l’offuscamento visivo poteva esser curato con la saliva, una notte mi svegliò e con la lingua si prese cura dei miei occhi malati. Questo fu il mio temibile mentore, la mia amorevole madre.
Mia madre divenne vedova all’età di 23 anni, dovendo così prendere in mano le redini della famiglia. La mia penna non riesce a trasmettere un millesimo del dolore e della sofferenza della sua vita. In famiglia non è che fossimo particolarmente ricchi, così si contava sugli introiti dell’impresa del secondogenito che si trovava a Shanghai. Il primogenito, invece, sin da piccolo era sempre stato un disgraziato, fumava oppio, giocava d’azzardo, aveva le mani bucate, ma non appena aveva bisogno di soldi tornava subito a casa a batter cassa; non appena adocchiava un bruciatore d’incenso lo andava di corsa a vendere e se metteva le mani su una teiera d’acciaio la portava al banco dei pegni. Mia madre invitò più volte i nostri nonni a dargli una somma fissa di denaro una volta al mese. Ma sembrava non bastargli mai. Ovunque aveva debiti per il fumo e per il gioco d’azzardo. Ogni anno giunti alla vigilia del nuovo anno lunare, molti creditori venivano a batter cassa sedendosi nel salotto, senza la minima intenzione di andarsene. Il fratello maggiore, proprio per evitarli, aveva già tagliato la corda da un pezzo. Le due file di sedie disposte lungo la sala erano piene di lanterne e creditori. Mia madre entrava e usciva, affaccendata nei preparativi del cenone di Capodanno, porgeva ringraziamenti al dio della cucina, e regalava dei soldi ai bambini per celebrare la venuta dell’anno nuovo[14], ignorando tutti coloro che la stavano aspettando in salotto. Giunti alla mezzanotte, all’ora di chiudere porte e portoni, mia madre usciva dalla porta sul retro, implorando i vicini[15] di venire da noi, e ogni debitore sborsava un pò di soldi.Volenti o nolenti, tutti i creditori uno a uno prendevano le loro lanterne e se ne andavano. Dopo un pò, anche mio fratello maggiore bussava alla porta e riappariva. Mia madre non lo rimproverava neanche lontanamente. Al contrario, essendo Capodanno, dal volto non faceva trapelare neanche un filo di rabbia. Passai sei o sette Capodanni in questo modo.
La moglie di mio fratello maggiore era una donna assolutamente incompetente ed incapace. Al contrario, la moglie del secondogenito era una donna molto competente e poco tollerante. Spesso capitava che le due avessero divergenze di opinione, soltanto grazie all’armonioso savoir-faire di mia madre non si erano ancora vituperate, insultate e picchiate pubblicamente. Quando bisticciavano, smettevano di parlarsi e mettevano il muso, uno spettacolo di dubbio gusto. Quando la moglie del mio secondo fratello si adirava, il suo volto cambiava colore, divenendo ancor più terrificante. Lo stesso accadeva anche quando si adiravano con mia madre. All’inizio, non riuscivo ad afferrare bene l’importanza delle espressioni del volto, poi, piano piano finii col comprenderne tutta l’essenza. Mi fu chiaro che la cosa più terrificante al mondo è un volto in collera e la cosa più oscena e meschina è mostrarsi agli altri con volto collerico. Ė mille volte peggio di botte e insulti.
Mia madre è sempre stata una persona di grande cuore e dal buon temperamento, inoltre in virtù del suo trascorso di vita era solita prestare molta attenzione a ogni piccolo dettaglio mostrando grande tolleranza nei confronti di tutto. La figlia di mio fratello maggiore aveva solo un anno meno di me e il suo regime alimentare così come il suo abbigliamento era sempre identico al mio. A volte avevamo delle piccole controversie, dalle quali uscivo sempre perdente. Venivo sempre sgridato da mia madre la quale mi esortava a dargliela vinta. In seguito, sia la moglie di mio fratello maggiore, che del secondogenito, partorirono figli maschi. Quando quelle due si adiravano, non ci pensavano due volte a percuotere ed insultare i figli per sfogarsi. Mentre li picchiavano, cercavano di usare le parole più pungenti e penetranti che trovassero per farle sentire agli altri. Mia madre faceva finta di niente. A volte, quando proprio non ne poteva più, se ne usciva tutta in silenzio oppure se ne andava a casa di qualche vicino a parlare o a sedere un pò, giusto per calmare i bollenti spiriti. Non l’ho mai sentita bisticciare neanche una volta con le due nuore.
Quando una delle mie due cognate si adirava, restava inquieta anche per dieci giorni o due settimane, entrava e usciva di casa ogni giorno tenendo sempre il broncio, si mordeva le labbra e picchiava i figli di tanto in tanto, giusto per sfogarsi. Mia madre portava pazienza fino al giorno in cui non ce la faceva proprio più e agiva di conseguenza. Quel giorno, all’alba, non si alzava neppure dal letto, rimaneva coricata a piangere. Non insultava nessuno, piangeva per la perdita del marito, piangeva per come fosse ridotta la sua misera vita e per non esser riuscita a trattenerlo in modo tale che si prendesse cura di lei. Piangeva in un crescendo di emozioni che da un sussurro diveniva pian piano sempre più percepibile. Io mi alzavo per cercare di consolarla, ma non sembrava avere alcuna intenzione di smettere. A quel punto, di solito sentivo aprirsi la porta della residenza della moglie del secondogenito che si trovava nell’ala orientale della parte anteriore di casa nostra o quella della moglie di mio fratello maggiore che si trovava, invece, nell’ala occidentale della parte posteriore. Sentivo i passi della cognata, che usciva dalla cucina e si incamminava verso me e mia madre. Poco dopo, la sentivo bussare alla porta. Io andavo ad aprire e lei entrava con una tazza di tè caldo. La offriva a mia madre cercando di convincerla a smettere di piangere e a bere un pò di te caldo. Piano piano, mia madre smetteva di piangere e allungava la mano per prendere la tazza di tè. Dopo averla consolata un altro po’, la cognata e ne andava. In queste situazioni, nessuno pronunciava mezza parola su quello che era successo nei dieci giorni precedenti, né un minimo riferimento alle arrabbiature. Non era necessario, perché sapevamo bene che colei che era entrata con la tazza di tè era proprio quella che era andata fuori dai gangheri e aveva portato il broncio per due settimane. La cosa strana è che per almeno uno o due mesi dopo questo pianto, si poteva vivere in santa pace.
Mia madre ha sempre avuto una grande umanità nei confronti del prossimo. Benevola e calorosa. Non ha mai offeso verbalmente una singola persona. Ma al contempo è sempre stata risoluta e determinata a non essere moralmente insultata o umiliata a sua volta. Uno dei miei zii, per la precisione il quintogenito fratello minore di mio padre, era un mezzo vagabondo senza né arte né parte. Un giorno nella fumeria si mise a lamentarsi del fatto che a casa di mia madre c’erano sempre delle cose da fare, e disse che chiunque avesse prestato il proprio aiuto, era stato ben ricompensato. Non appena questa voce giunse alle orecchie di mia madre, dalla rabbia esplose in un violento pianto di rabbia. Fece convocare lo zio e davanti a tutti gli chiese di quale diavolo di “ricompensa” stesse parlando, finché egli fu costretto ad assumersi le responsabilità di quello che aveva detto e a scusarsi davanti a tutti.
Vissi, così, per nove anni sotto la guida di mia madre essendone ampiamente e profondamente influenzato. A quattordici anni (in realtà avevo dodici anni e qualche mese) andai via di casa. Continuai a vivere da solo in un vasto e immane oceano di persone per più di vent’anni, senza nessuno che mi controllasse e guidasse. Se ho imparato qualcosa sul buon temperamento o sulla cordialità nel trattare il prossimo, se sono in grado di perdonare e provar compassione nei confronti degli esseri umani – lo devo solo e soltanto all’amore di mia madre.
[1] Nell’originale “selvaggi, barbari”. In Italiano, la collocazione bambino scapestrato sembra più opportuna.
[2] Il carattere cinese 麇 (Jūn) che significa cervo moschiato, altresì detto mosco moschifero, è un mammifero di dimensioni ridotte rispetto al cervo e non è dotato di corna. Per questo motivo, sembra essere più fragile ed indifeso. Al contrario, il termine “Signor” è un appellattivo di rispetto nei confronti di qualcuno nato prima di noi, con uno status sociale superiore, una cultura e un sapere più ampi. Sotto queste premesse, possiamo capire che l’espressione dialettale “Signor Cervo Muschiato” è in un qualche modo derisoria o provocatoria nella misura in cui è volta a sottolineare il fatto che l’autore da piccolo fosse più piccolo e gracile degli altri bambini, ma al contempo più intellettualmente raffinato.
[3] 八字門 (bā zì mén). Tipica struttura archettonica delle porte nella Cina a fine 900.
[4] Gioco di gruppo di moda negli anni ’50 e ’60 nelle province del Guangdong e Guangxi.
[5] In passato i caratteri cinesi庶祖母 (shù zŭmŭ), nel sistema patriarcale della famiglia, erano una forma di rispetto con cui i nipoti si rivolgevano al nonno paterno
[6] Zhūgĕ Liàng (181-234), consigliere di Liu Bei, conosciuto anche con il nome di Kongming.
[7] Liú Bèi (161-223), fondatore del regno Han nell’era dei Tre Regni.
[8] Personaggio storico-leggendario dalle elevatissime capacità militari e marziali.
[9]Nel Taoismo, No-Tcha o Nézhā 哪吒, chiamato altresì San Taizi 三太子 (terzo principe), è il terzo figlio e assistente di Li Jing, generale della dinastia Tang, deificato e capo dell’esercito celeste incaricato di far ragionare gli spiriti maligni che tormentano gli esseri umani. No-Tcha comanda lui stesso una parte di quest’esercito. Ha l’aspetto e il temperamento capriccioso di un bambino e si sposta nell’aria grazie a due ruote di fuoco poste sotto i suoi piedi.
[10] L’opera Kunqu è una delle più antiche forme di opera cinese. Evoluzione del genere musicale Kunshan, dominò il teatro cinese dal XVI al XVIII secolo.
[11] Lo Sheng è un antico strumento musicale a fiato cinese ed anche il primo strumento al mondo ad aver utilizzato l’ancia libera, svolgendo un positivo ruolo propulsivo per lo sviluppo degli strumenti musicali occidentali.
[12] In originale c’e’ un gioco di parole, impossibile da tradurre in italiano, per cui ho preferito adattare il verso alla nostra cultura. In cinese liáng che significa freddo, fresco è pressoché omofono con niáng (soprattutto in alcuni dialetti in cui non vi è distinzione fonologica tra le due consonanti n e l) che è sia un appellativo per rivolgersi alla propria madre o alla propria zia, ma al contempo è anche un aggettivo che significa effemminato.
[13] Continuando il gioco di parole, l’adattamento ancora una volta è in linea con la scelta traduttiva spiegata in nota 13.
[14] Nell’antica Cina, il soldi regalati in occasione dell’anno nuovo si presentavano nella forma di cento monetine di rame legate assieme da un filo rosso volto a simboleggiare la speranza che uno potesse vivere fino a cent’anni. Oggi, invece, il denaro viene messo in delle buste di carta rosse che vengono considerate d’auspicio e rappresentano la fortuna e il benessere.
[15] Da notare che in passato in Cina, le persone con lo stesso cognome (本家) vivevano assieme o erano vicine di casa.
我的母親 胡適
我小時身體弱,不能跟著野蠻的孩子們一塊兒玩。我母親也不准我和他們亂跑亂跳。小時不曾養成活潑遊戲的習慣,無論在甚麼地方,我總是文謅謅地。所以家鄉老輩都說我「像個先生樣子」,遂叫我做「麇先生」。這個綽號叫出去之後,人都知道三先生的小兒子叫做麇先生了。既有「先生」之名,我不能不裝出點「先生」樣子,更不能跟著頑童們「野」了。有一天,我在我家八字門口和一班孩子「擲銅錢」,一位老輩走過,見了我,笑道:「麇先生也擲銅錢嗎?」我聽了羞愧的面紅耳熱,覺得太失了「先生」的身分!
大人們鼓勵我裝先生樣 子,我也沒有嬉戲的能力和習慣,又因為我確是喜歡看書,故我一生可算是不曾享過兒童遊戲的生活。每年秋天,我的庶祖母同我到田裡去「監割」,我總是坐在小樹下看小說。十一二歲時,我稍活潑一點,居然和一班同學組織了一個戲劇班, 做了一些木刀竹槍,借得了幾副假鬍鬚,就在村口田裡做戲。我做的往往是諸葛亮、劉備一類的文角兒;只有一次我做史文恭,被花榮一箭從椅子上射倒下去,這算是我最活潑的玩藝兒了。
我在這九年(一八九五── 一九零四)之中,只學得了讀書寫字兩件事。在文字和思想的方面,不能不算是打了一點底子。但別的方面都沒有發展的機會。有一次我們村裡「當朋」(八都凡五村,稱為「五朋」,每年一村輪著做太子會,名為「當朋」)籌備太子會,有人提議要派我加入前村的崑腔隊裡學習吹笙或吹笛。族裡長輩反對,說我年紀太小,不能跟著太子會走遍五朋。 於是我便失掉了這學習音樂的唯一機會。三十年來,我不曾拿過樂器,也全不懂音樂;究竟我有沒有一點學音樂的天資,我至今還不知道。至於學圖畫,更是不可能 的事。我常常用竹紙蒙在小說書的石印繪像上,摹畫書上的英雄美人。有一天,被先生看見了,挨了一頓大罵,抽屜裡的圖畫都被搜出撕毀了。於是我又失掉了學做 畫家的機會。
但這九年的生活,除了讀書看書之外,究竟給了我一點做人的訓練。在這一點上,我的恩師便是我的慈母。
每天天剛亮時,我母親便 把我喊醒,叫我披衣坐起。我從不知道她醒來坐了多久了。她看我清醒了,便對我說昨天我做錯了甚麼事,說錯了甚麼話,要我認錯,要我用功讀書。有時候她對我 說父親的種種好處,她說:「你總要踏上你老子的腳步。我一生只曉得這一個完全的人,你要學他,不要跌他的股。」(跌股便是丟臉,出醜。)她說到傷心處,往 往掉下淚來。到天大明時,她才把我的衣服穿好,催我去上早學。學堂門上的鎖匙放在先生家裡;我先到學堂門口一望,便跑到先生家裡去敲門。先生家裡有人把鎖 匙從門縫裡遞出來,我拿了跑回去,開了門,坐下唸生書。十天之中,總有八九天我是第一個去開學堂門的。等到先生來了,我背了生書,才回家吃早飯。
我母親管束我最嚴。她是 慈母兼任嚴父。但她從來不在別人面前罵我一句,打我一下。我做錯了事,她只對我一望,我看見了她的嚴厲眼光,便嚇住了。犯的事小,她等到第二天早晨我眠醒 時才教訓我。犯的事大,她等到晚上人靜時,關了房門,先責備我,然後行罰,或罰跪,或擰我的肉。無論怎樣重罰,總不許我哭出聲音來。她教訓兒子不是藉此出氣叫別人聽的。
有一個初秋的傍晚,我吃了晚飯,在門口玩,身上只穿著一件單背心。這時候我母親的妹子玉英姨 母在我家住,她怕我冷了,拿了一件小衫出來叫我穿上。我不肯穿,她說:「穿上吧,涼了。」我隨口回答:「娘(涼)甚麼!老子都不老子呀。」我剛說了這一 句,一抬頭,看見母親從家裡走出,我趕快把小衫穿上。但她已聽見這句輕薄的話了。晚上人靜後,她罰我跪下,重重的責罰了一頓。她說:「你沒了老子,是多麼 得意的事!好用來說嘴!」她氣的坐著發抖,也不許我上床去睡。我跪著哭,用手擦眼淚,不知擦進了甚麼微菌,後來足足害了一年多的眼翳病。醫來醫去,總醫不好。我母親心裡又悔又急,聽說眼翳可以用舌頭舔去,有一夜她把我叫醒,真用舌頭舔我的病眼。這是我的嚴師,我的慈母。
我母親二十三歲做了寡婦,又是當家的後母。這種生活的痛苦,我的笨筆寫不出一萬分之一二。家中財政本不寬裕,全靠二哥在上海經營調度。大哥從小便是敗子,吸鴉片煙,賭博,錢到手就光,光了便回家打主意,見了香爐便拿出去賣,撈著錫 茶壺便拿出去押。我母親幾次邀了本家長輩來,給他定下每月用費的數目。但他總不夠用,到處都欠下煙債賭債。每年除夕我家中總有一大群討債的,每人一盞燈 籠,坐在大廳上不肯去。大哥早已避出去了。大廳的兩排椅子上滿滿的都是燈籠和債主。我母親走進走出,料理年夜飯,謝搻神,壓歲錢等事,只當做不曾看見這一 群人。到了近半夜,快要「封門」了,我母親才走後門出去,央一位鄰舍本家到我家來,每一家債戶開發一點錢。做好做歹的,這一群討債的才一個一個提著燈籠走出去。一會兒,大哥敲門回來了。我母親從不罵他一句。並且因為是新年,她臉上從不露出一點怒色。這樣的過年,我過了六七次。
大嫂是個最無能而又最不 懂事的人,二嫂是個很能幹而氣量很窄小的人。她們常常鬧意見,只因為我母親的和氣榜樣,她們還不曾有公然相罵相打的事。她們鬧事時,只是不說話,不答話, 把臉放下來,叫人難看;二嫂生氣時,臉色變青,更是怕人。她們對我母親鬧氣時,也是如此。我起初全不懂得這一套,後來也漸漸懂得看人的臉色了。我漸漸明 白,世間最可厭惡的事莫如一張生氣的臉;世間最下流的事莫如把生氣的臉擺給旁人看。這比打罵還難受。
我母親的氣量大,性子 好,又因為做了後母後婆,她更事事留心,事事格外容忍。大哥的女兒比我只小一歲,她的飲食衣服總是和我的一樣。我和她有小爭執,總是我吃虧,母親總是責備 我,要我事事讓她。後來大嫂二嫂都生了兒子了,她們生氣時便打罵孩子來出氣,一面打,一面用尖刻有刺的話罵給別人聽。我母親只裝做不聽見。有時候,她實在 忍不住了,便悄悄走出門去,或到左鄰立大嫂家去坐一會,或走後門到後鄰度嫂家去閒談。她從不和兩個嫂子吵一句嘴。
每個嫂子一生氣,往往十天半個月不歇,天天走進走出,板著臉,咬著嘴,打罵小孩子出氣。我母親只忍耐著, 忍到實在不可再忍的一天,她也有她的法子。這一天的天明時,她便不起床,輕輕的哭一場。她不罵一個人,只哭她的丈夫,哭她自己苦命,留不住她丈夫來照管 她。她先哭時,聲音很低,漸漸哭出聲來。我醒了起來勸她,她不肯住。這時候,我總聽得見前堂(二嫂住前堂東房)或後堂(大嫂住後堂西房)有一扇房門開了, 一個嫂子走出房向廚房走去。不多一會,那位嫂子來敲我們的房門了。我開了房門,她走進來,捧著一碗熱茶,送到我母親床前,勸她止哭,請她喝口熱茶。我母親慢慢停住哭聲,伸手接了茶碗。那位嫂子站著勸一會,才退出去。沒有一句話提到甚麼人,也沒有一個字提到這十天半個月來的氣臉,然而各人心裡明白,泡茶進來的嫂子總是那十天半個月來鬧氣的人。奇怪的很,這一哭之後,至少有一兩個月的太平清靜日子。
我母親待人最仁慈,最溫 和,從來沒有一句傷人感情的話。但她有時候也很有剛氣,不受一點人格上的侮辱。我家五叔是個無正業的浪人,有一天在煙館裡發牢騷,說我母親家中有事總請某 人幫忙,大概總有甚麼好處給他。這句話傳到了我母親耳朵裡,她氣的大哭,請了幾位本家來,把五叔喊來,她當面質問他,她給了某人甚麼好處。直到五叔當眾認 錯賠罪,她才罷休。
我在我母親的教訓之下住了九年,受了她的極大極深的影響。我十四歲(其實只有十二歲零兩三個月)便離開她了,在這廣漠的人海裡獨自混了二十多年,沒有一個人管束過我。如果我學得了一絲一毫的好脾氣,如果我學得了一點點待人接物的和氣,如果我能寬恕人,體諒人,──我都得感謝我的慈母。
Mia MadreDa piccolo ero di corporatura gracile e non potevo giocare assieme agli altri bambini scapestrati[1], d’altrocanto mia madre non mi avrebbe mai permesso di correre e saltare assieme a loro. Nella mia infanzia non ero abituato a fare giochi vivaci, indipendentemente da dove mi trovassi, mi comportavo sempre in modo elegante e raffinato. Per questo motivo, gli anziani del villaggio dicevano che “sembravo proprio un signorotto” e uno dopo l’altro cominciarono a chiamarmi “Signor Cervo Muschiato[2]”. Non appena questo nomignolo si diffuse, tutti vennero a conoscenza del fatto che il figlioletto del signor San veniva soprannominato “Signor Cervo Muschiato”. Giacchè venivo chiamato con l’appellativo di “Signor”, dovevo anche comportarmi come tale quindi a maggior ragione non potevo correre a scavezzacollo con gli altri bambini. Un giorno, di fronte alla porta strombata[3] dell’entrata di casa, stavo giocando con altri bambini al “lancio della monetina”[4], quando una persona anziana passò di lì e dopo avermi visto, disse sorridendo: “anche il Signor Cervo Muschiato gioca al lancio della monetina?”. Io diventai tutto rosso dalla vergogna, perché con quelle parole pensavo di aver perso il mio status di “Signor”! I grandi mi spronavano ad agire da gentleman e da parte mia non avevo né le capacità né l’abitudine di giocare. Se a questo aggiungiamo che amavo molto leggere e studiare, posso ben dire di non aver mai goduto appieno dei giochi propri dell’infanzia. Ogni anno d’autunno, quando mi recavo con mio nonno[5] nei campi per controllare la situazione e per il processo di raccolta mi mettevo sempre seduto sotto a un albero a leggere un bel romanzo. All’età di undici o dodici anni divenni leggermente più vivace, al punto da metter su una piccola troupe di teatro con alcuni compagni di scuola. Ci costruimmo coltelli di legno e pistole di bambù, prendemmo in prestito delle barbe e dei baffi finti e inscenammo uno spettacolino recitando nei campi all’entrata del villaggio. Io di solito facevo la parte di personaggi storici quali Zhūgĕ Liàng[6] o Liú Bèi[7]; solo una volta recitai la parte di Shĭ Wén Gōng[8], il quale colpito da un dardo scagliato da Huā Róng cadde dalla sedia su cui si trovava: questo può essere considerato il gioco più vivace a cui avessi mai giocato nella mia vita. Nei nove anni che intercorsero tra il 1895 e il 1904 imparai soltanto a leggere e a scrivere. Per quanto concerne la letteratura e la filosofia, non potevo non dire di avere acquisito delle solide fondamenta, tuttavia non avevo avuto modo di sviluppare le mie abilità nelle altre cose. Un anno, quando toccò al nostro villaggio ospitare la cerimonia in onore della divinità Nezha[9] (nella contea di Badu erano presenti cinque villaggi che ogni anno ospitavano la cerimonia a turno), qualcuno propose di farmi entrare nella compagnia dell’opera di Kunqu[10] al fine di imparare a suonare lo shēng[11] o il flauto. Tuttavia, gli adulti si opposero a questa decisione sostenendo che fossi troppo piccolo e che non potessi seguire la divinità Nezha nel suo percorso tra i cinque villaggi. E fu così che persi anche l’unica opportunità che mi si presentò di studiare musica. In trent’anni non ho mai preso uno strumento in mano e non capisco un’acca di musica; ad oggi però non posso neanche dire di sapere con certezza se fossi dotato o meno per quell’arte. E men che mai so se fossi portato per lo studio del disegno. Spesso con della carta di bambù ricoprivo le litografie sulle copertine dei romanzi e ricopiavo gli eroi e le altre figure che erano disegnate sul libro. Un giorno, quando venni scoperto, ricevetti una sonora sgridata e tutti i disegni che tenevo nei cassetti vennero confiscati e strappati. Ecco come vidi sfumare anche l’opportunità di divenire un pittore. Tuttavia, in quei nove anni trascorsi sui libri, imparai molto anche su come essere un uomo. Su questo versante, la mia premurosa madre fu il mio più grande insegnante. Ogni giorno al sorgere del sole, mia madre mi svegliava a voce alta dicendomi di vestirmi alla svelta e di mettermi seduto. Non sapevo mai da quanto si fosse svegliata e da quanto tempo se ne stesse lì seduta. Mi guardava mentre cercavo di aprire gli occhi e al contempo mi diceva che cosa avessi sbagliato il giorno prima o che cosa avessi detto che non andava. Voleva che ammettessi i miei errori e che mi impegnassi nello studio diligentemente. Spesso mi elencava i lati positivi di mio padre, dicendomi: “devi seguire le orme di tuo padre. Nella mia vita non ho mai conosciuto persona altrettanto completa e perfetta, devi imparare da lui, non lo deludere e non dargli ragione di vergogna.” Parlava fino a provare dolore nei meandri più profondi del cuore, e finiva anche col versare lacrime. Solo quando il sole era già alto nel cielo, mi sistemava i vestiti ben bene e mi sollecitava ad andare alle lezioni del mattino. Le chiavi del lucchetto del cancello della scuola si trovavano nella residenza dell’insegnante; allora io prima mi recavo al cancello a dare un’occhiata e poi di corsa andavo a bussare alla porta di casa dell’insegnante, dove qualcuno mi passava le chiavi attraverso una fessura della porta, dopo averle prese, di corsa tornavo a scuola, aprivo il cancello, mi sedevo e mi mettevo a studiare. Otto o nove giorni su dieci ero sempre il primo ad arrivare nonché quello che apriva il cancello. Soltanto dopo l’arrivo dell’insegnante e dopo aver imparato a memoria le parole nuove, potevo tornare a casa e fare una bella colazione. Mia madre era molto severa con me. Svolgeva sia la funzione di madre amorevole che quella di padre severo, tuttavia non mi ha mai sgridato né dato un ceffone davanti agli altri. Se sbagliavo qualcosa, mi lanciava un’occhiata la cui severità era sufficiente a terrorizzarmi. Se l’errore non era grossolano, aspettava il giorno dopo quando al mio risveglio mi impartiva una lezione. Ma quando avevo commesso un errore particolarmente grave attendeva la sera quando tutto era in silenzio. Prima chiudeva la porta della mia stanza, poi mi rimproverava ed infine mi puniva facendomi inginocchiare o dandomi dei pizzicotti. A prescindere dalla gravità della punizione, non mi era permesso piangere. Quando mia madre mi dava delle lezioni non era certo per sfogarsi o per farlo sentire agli altri. Una sera al crepuscolo, agli inizi di autunno, dopo cena, mi misi a giocare sull’uscio di casa, con addosso solo una canottiera. A quel tempo, la sorella più giovane di mia madre, zia Yù Yīng abitava con noi. Temeva che avessi freddo, così prese una camicietta e voleva farmela indossare. Io non ne avevo la minima intenzione, al che lei disse: “Dai su, mettitela, che fa freddo!”. Io su due piedi risposi: “Freddo un corno! Sono grande, grosso e vaccinato[12].” Non appena pronunciai queste parole, alzando la testa vidi mia madre fare capolino dalla porta così mi sbrigai a indossare la camicietta, ma ormai era troppo tardi: aveva sentito la mia frivola osservazione. Quella sera, calato il silenzio, mi ingiunse di inginocchiarmi e mi rimproverò molto duramente. Disse: “Tuo padre non c’è più e tu ti comporti in questo modo! Ma non ti vergogni![13]” Si era adirata al punto tale che se ne stava lì seduta tutta tremante, e non mi permise nemmeno di coricarmi sul letto per dormire. In ginocchio piansi a lungo, asciugandomi le lacrime con le mani; a forza di strofinarmi gli occhi, non so quale microbo o germe vi fosse entrato, fatto sta che dopo quella sera ebbi la vista annebbiata per un anno. Nessuno dei medici che consultammo riuscì a curare la mia malattia. Mia madre, che oltre a sentirsi sia in colpa, era anche in apprensione, avendo sentito dire che l’offuscamento visivo poteva esser curato con la saliva, una notte mi svegliò e con la lingua si prese cura dei miei occhi malati. Questo fu il mio temibile mentore, la mia amorevole madre. Mia madre divenne vedova all’età di 23 anni, dovendo così prendere in mano le redini della famiglia. La mia penna non riesce a trasmettere un millesimo del dolore e della sofferenza della sua vita. In famiglia non è che fossimo particolarmente ricchi, così si contava sugli introiti dell’impresa del secondogenito che si trovava a Shanghai. Il primogenito, invece, sin da piccolo era sempre stato un disgraziato, fumava oppio, giocava d’azzardo, aveva le mani bucate, ma non appena aveva bisogno di soldi tornava subito a casa a batter cassa; non appena adocchiava un bruciatore d’incenso lo andava di corsa a vendere e se metteva le mani su una teiera d’acciaio la portava al banco dei pegni. Mia madre invitò più volte i nostri nonni a dargli una somma fissa di denaro una volta al mese. Ma sembrava non bastargli mai. Ovunque aveva debiti per il fumo e per il gioco d’azzardo. Ogni anno giunti alla vigilia del nuovo anno lunare, molti creditori venivano a batter cassa sedendosi nel salotto, senza la minima intenzione di andarsene. Il fratello maggiore, proprio per evitarli, aveva già tagliato la corda da un pezzo. Le due file di sedie disposte lungo la sala erano piene di lanterne e creditori. Mia madre entrava e usciva, affaccendata nei preparativi del cenone di Capodanno, porgeva ringraziamenti al dio della cucina, e regalava dei soldi ai bambini per celebrare la venuta dell’anno nuovo[14], ignorando tutti coloro che la stavano aspettando in salotto. Giunti alla mezzanotte, all’ora di chiudere porte e portoni, mia madre usciva dalla porta sul retro, implorando i vicini[15] di venire da noi, e ogni debitore sborsava un pò di soldi.Volenti o nolenti, tutti i creditori uno a uno prendevano le loro lanterne e se ne andavano. Dopo un pò, anche mio fratello maggiore bussava alla porta e riappariva. Mia madre non lo rimproverava neanche lontanamente. Al contrario, essendo Capodanno, dal volto non faceva trapelare neanche un filo di rabbia. Passai sei o sette Capodanni in questo modo. La moglie di mio fratello maggiore era una donna assolutamente incompetente ed incapace. Al contrario, la moglie del secondogenito era una donna molto competente e poco tollerante. Spesso capitava che le due avessero divergenze di opinione, soltanto grazie all’armonioso savoir-faire di mia madre non si erano ancora vituperate, insultate e picchiate pubblicamente. Quando bisticciavano, smettevano di parlarsi e mettevano il muso, uno spettacolo di dubbio gusto. Quando la moglie del mio secondo fratello si adirava, il suo volto cambiava colore, divenendo ancor più terrificante. Lo stesso accadeva anche quando si adiravano con mia madre. All’inizio, non riuscivo ad afferrare bene l’importanza delle espressioni del volto, poi, piano piano finii col comprenderne tutta l’essenza. Mi fu chiaro che la cosa più terrificante al mondo è un volto in collera e la cosa più oscena e meschina è mostrarsi agli altri con volto collerico. Ė mille volte peggio di botte e insulti. Mia madre è sempre stata una persona di grande cuore e dal buon temperamento, inoltre in virtù del suo trascorso di vita era solita prestare molta attenzione a ogni piccolo dettaglio mostrando grande tolleranza nei confronti di tutto. La figlia di mio fratello maggiore aveva solo un anno meno di me e il suo regime alimentare così come il suo abbigliamento era sempre identico al mio. A volte avevamo delle piccole controversie, dalle quali uscivo sempre perdente. Venivo sempre sgridato da mia madre la quale mi esortava a dargliela vinta. In seguito, sia la moglie di mio fratello maggiore, che del secondogenito, partorirono figli maschi. Quando quelle due si adiravano, non ci pensavano due volte a percuotere ed insultare i figli per sfogarsi. Mentre li picchiavano, cercavano di usare le parole più pungenti e penetranti che trovassero per farle sentire agli altri. Mia madre faceva finta di niente. A volte, quando proprio non ne poteva più, se ne usciva tutta in silenzio oppure se ne andava a casa di qualche vicino a parlare o a sedere un pò, giusto per calmare i bollenti spiriti. Non l’ho mai sentita bisticciare neanche una volta con le due nuore. Quando una delle mie due cognate si adirava, restava inquieta anche per dieci giorni o due settimane, entrava e usciva di casa ogni giorno tenendo sempre il broncio, si mordeva le labbra e picchiava i figli di tanto in tanto, giusto per sfogarsi. Mia madre portava pazienza fino al giorno in cui non ce la faceva proprio più e agiva di conseguenza. Quel giorno, all’alba, non si alzava neppure dal letto, rimaneva coricata a piangere. Non insultava nessuno, piangeva per la perdita del marito, piangeva per come fosse ridotta la sua misera vita e per non esser riuscita a trattenerlo in modo tale che si prendesse cura di lei. Piangeva in un crescendo di emozioni che da un sussurro diveniva pian piano sempre più percepibile. Io mi alzavo per cercare di consolarla, ma non sembrava avere alcuna intenzione di smettere. A quel punto, di solito sentivo aprirsi la porta della residenza della moglie del secondogenito che si trovava nell’ala orientale della parte anteriore di casa nostra o quella della moglie di mio fratello maggiore che si trovava, invece, nell’ala occidentale della parte posteriore. Sentivo i passi della cognata, che usciva dalla cucina e si incamminava verso me e mia madre. Poco dopo, la sentivo bussare alla porta. Io andavo ad aprire e lei entrava con una tazza di tè caldo. La offriva a mia madre cercando di convincerla a smettere di piangere e a bere un pò di te caldo. Piano piano, mia madre smetteva di piangere e allungava la mano per prendere la tazza di tè. Dopo averla consolata un altro po’, la cognata e ne andava. In queste situazioni, nessuno pronunciava mezza parola su quello che era successo nei dieci giorni precedenti, né un minimo riferimento alle arrabbiature. Non era necessario, perché sapevamo bene che colei che era entrata con la tazza di tè era proprio quella che era andata fuori dai gangheri e aveva portato il broncio per due settimane. La cosa strana è che per almeno uno o due mesi dopo questo pianto, si poteva vivere in santa pace. Mia madre ha sempre avuto una grande umanità nei confronti del prossimo. Benevola e calorosa. Non ha mai offeso verbalmente una singola persona. Ma al contempo è sempre stata risoluta e determinata a non essere moralmente insultata o umiliata a sua volta. Uno dei miei zii, per la precisione il quintogenito fratello minore di mio padre, era un mezzo vagabondo senza né arte né parte. Un giorno nella fumeria si mise a lamentarsi del fatto che a casa di mia madre c’erano sempre delle cose da fare, e disse che chiunque avesse prestato il proprio aiuto, era stato ben ricompensato. Non appena questa voce giunse alle orecchie di mia madre, dalla rabbia esplose in un violento pianto di rabbia. Fece convocare lo zio e davanti a tutti gli chiese di quale diavolo di “ricompensa” stesse parlando, finché egli fu costretto ad assumersi le responsabilità di quello che aveva detto e a scusarsi davanti a tutti. Vissi, così, per nove anni sotto la guida di mia madre essendone ampiamente e profondamente influenzato. A quattordici anni (in realtà avevo dodici anni e qualche mese) andai via di casa. Continuai a vivere da solo in un vasto e immane oceano di persone per più di vent’anni, senza nessuno che mi controllasse e guidasse. Se ho imparato qualcosa sul buon temperamento o sulla cordialità nel trattare il prossimo, se sono in grado di perdonare e provar compassione nei confronti degli esseri umani – lo devo solo e soltanto all’amore di mia madre. [1] Nell’originale “selvaggi, barbari”. In Italiano, la collocazione bambino scapestrato sembra più opportuna. [2] Il carattere cinese 麇 (Jūn) che significa cervo moschiato, altresì detto mosco moschifero, è un mammifero di dimensioni ridotte rispetto al cervo e non è dotato di corna. Per questo motivo, sembra essere più fragile ed indifeso. Al contrario, il termine “Signor” è un appellattivo di rispetto nei confronti di qualcuno nato prima di noi, con uno status sociale superiore, una cultura e un sapere più ampi. Sotto queste premesse, possiamo capire che l’espressione dialettale “Signor Cervo Muschiato” è in un qualche modo derisoria o provocatoria nella misura in cui è volta a sottolineare il fatto che l’autore da piccolo fosse più piccolo e gracile degli altri bambini, ma al contempo più intellettualmente raffinato. [3] 八字門 (bā zì mén). Tipica struttura archettonica delle porte nella Cina a fine 900. [4] Gioco di gruppo di moda negli anni ’50 e ’60 nelle province del Guangdong e Guangxi. [5] In passato i caratteri cinesi庶祖母 (shù zŭmŭ), nel sistema patriarcale della famiglia, erano una forma di rispetto con cui i nipoti si rivolgevano al nonno paterno [6] Zhūgĕ Liàng (181-234), consigliere di Liu Bei, conosciuto anche con il nome di Kongming. [7] Liú Bèi (161-223), fondatore del regno Han nell’era dei Tre Regni. [8] Personaggio storico-leggendario dalle elevatissime capacità militari e marziali. [9]Nel Taoismo, No-Tcha o Nézhā 哪吒, chiamato altresì San Taizi 三太子 (terzo principe), è il terzo figlio e assistente di Li Jing, generale della dinastia Tang, deificato e capo dell’esercito celeste incaricato di far ragionare gli spiriti maligni che tormentano gli esseri umani. No-Tcha comanda lui stesso una parte di quest’esercito. Ha l’aspetto e il temperamento capriccioso di un bambino e si sposta nell’aria grazie a due ruote di fuoco poste sotto i suoi piedi. [10] L’opera Kunqu è una delle più antiche forme di opera cinese. Evoluzione del genere musicale Kunshan, dominò il teatro cinese dal XVI al XVIII secolo. [11] Lo Sheng è un antico strumento musicale a fiato cinese ed anche il primo strumento al mondo ad aver utilizzato l’ancia libera, svolgendo un positivo ruolo propulsivo per lo sviluppo degli strumenti musicali occidentali. [12] In originale c’e’ un gioco di parole, impossibile da tradurre in italiano, per cui ho preferito adattare il verso alla nostra cultura. In cinese liáng che significa freddo, fresco è pressoché omofono con niáng (soprattutto in alcuni dialetti in cui non vi è distinzione fonologica tra le due consonanti n e l) che è sia un appellativo per rivolgersi alla propria madre o alla propria zia, ma al contempo è anche un aggettivo che significa effemminato. [13] Continuando il gioco di parole, l’adattamento ancora una volta è in linea con la scelta traduttiva spiegata in nota 13. [14] Nell’antica Cina, il soldi regalati in occasione dell’anno nuovo si presentavano nella forma di cento monetine di rame legate assieme da un filo rosso volto a simboleggiare la speranza che uno potesse vivere fino a cent’anni. Oggi, invece, il denaro viene messo in delle buste di carta rosse che vengono considerate d’auspicio e rappresentano la fortuna e il benessere. [15] Da notare che in passato in Cina, le persone con lo stesso cognome (本家) vivevano assieme o erano vicine di casa. |
我的母親 胡適我小時身體弱,不能跟著野蠻的孩子們一塊兒玩。我母親也不准我和他們亂跑亂跳。小時不曾養成活潑遊戲的習慣,無論在甚麼地方,我總是文謅謅地。所以家鄉老輩都說我「像個先生樣子」,遂叫我做「麇先生」。這個綽號叫出去之後,人都知道三先生的小兒子叫做麇先生了。既有「先生」之名,我不能不裝出點「先生」樣子,更不能跟著頑童們「野」了。有一天,我在我家八字門口和一班孩子「擲銅錢」,一位老輩走過,見了我,笑道:「麇先生也擲銅錢嗎?」我聽了羞愧的面紅耳熱,覺得太失了「先生」的身分! 大人們鼓勵我裝先生樣 子,我也沒有嬉戲的能力和習慣,又因為我確是喜歡看書,故我一生可算是不曾享過兒童遊戲的生活。每年秋天,我的庶祖母同我到田裡去「監割」,我總是坐在小樹下看小說。十一二歲時,我稍活潑一點,居然和一班同學組織了一個戲劇班, 做了一些木刀竹槍,借得了幾副假鬍鬚,就在村口田裡做戲。我做的往往是諸葛亮、劉備一類的文角兒;只有一次我做史文恭,被花榮一箭從椅子上射倒下去,這算是我最活潑的玩藝兒了。 我在這九年(一八九五── 一九零四)之中,只學得了讀書寫字兩件事。在文字和思想的方面,不能不算是打了一點底子。但別的方面都沒有發展的機會。有一次我們村裡「當朋」(八都凡五村,稱為「五朋」,每年一村輪著做太子會,名為「當朋」)籌備太子會,有人提議要派我加入前村的崑腔隊裡學習吹笙或吹笛。族裡長輩反對,說我年紀太小,不能跟著太子會走遍五朋。 於是我便失掉了這學習音樂的唯一機會。三十年來,我不曾拿過樂器,也全不懂音樂;究竟我有沒有一點學音樂的天資,我至今還不知道。至於學圖畫,更是不可能 的事。我常常用竹紙蒙在小說書的石印繪像上,摹畫書上的英雄美人。有一天,被先生看見了,挨了一頓大罵,抽屜裡的圖畫都被搜出撕毀了。於是我又失掉了學做 畫家的機會。 但這九年的生活,除了讀書看書之外,究竟給了我一點做人的訓練。在這一點上,我的恩師便是我的慈母。 每天天剛亮時,我母親便 把我喊醒,叫我披衣坐起。我從不知道她醒來坐了多久了。她看我清醒了,便對我說昨天我做錯了甚麼事,說錯了甚麼話,要我認錯,要我用功讀書。有時候她對我 說父親的種種好處,她說:「你總要踏上你老子的腳步。我一生只曉得這一個完全的人,你要學他,不要跌他的股。」(跌股便是丟臉,出醜。)她說到傷心處,往 往掉下淚來。到天大明時,她才把我的衣服穿好,催我去上早學。學堂門上的鎖匙放在先生家裡;我先到學堂門口一望,便跑到先生家裡去敲門。先生家裡有人把鎖 匙從門縫裡遞出來,我拿了跑回去,開了門,坐下唸生書。十天之中,總有八九天我是第一個去開學堂門的。等到先生來了,我背了生書,才回家吃早飯。 我母親管束我最嚴。她是 慈母兼任嚴父。但她從來不在別人面前罵我一句,打我一下。我做錯了事,她只對我一望,我看見了她的嚴厲眼光,便嚇住了。犯的事小,她等到第二天早晨我眠醒 時才教訓我。犯的事大,她等到晚上人靜時,關了房門,先責備我,然後行罰,或罰跪,或擰我的肉。無論怎樣重罰,總不許我哭出聲音來。她教訓兒子不是藉此出氣叫別人聽的。 有一個初秋的傍晚,我吃了晚飯,在門口玩,身上只穿著一件單背心。這時候我母親的妹子玉英姨 母在我家住,她怕我冷了,拿了一件小衫出來叫我穿上。我不肯穿,她說:「穿上吧,涼了。」我隨口回答:「娘(涼)甚麼!老子都不老子呀。」我剛說了這一 句,一抬頭,看見母親從家裡走出,我趕快把小衫穿上。但她已聽見這句輕薄的話了。晚上人靜後,她罰我跪下,重重的責罰了一頓。她說:「你沒了老子,是多麼 得意的事!好用來說嘴!」她氣的坐著發抖,也不許我上床去睡。我跪著哭,用手擦眼淚,不知擦進了甚麼微菌,後來足足害了一年多的眼翳病。醫來醫去,總醫不好。我母親心裡又悔又急,聽說眼翳可以用舌頭舔去,有一夜她把我叫醒,真用舌頭舔我的病眼。這是我的嚴師,我的慈母。 我母親二十三歲做了寡婦,又是當家的後母。這種生活的痛苦,我的笨筆寫不出一萬分之一二。家中財政本不寬裕,全靠二哥在上海經營調度。大哥從小便是敗子,吸鴉片煙,賭博,錢到手就光,光了便回家打主意,見了香爐便拿出去賣,撈著錫 茶壺便拿出去押。我母親幾次邀了本家長輩來,給他定下每月用費的數目。但他總不夠用,到處都欠下煙債賭債。每年除夕我家中總有一大群討債的,每人一盞燈 籠,坐在大廳上不肯去。大哥早已避出去了。大廳的兩排椅子上滿滿的都是燈籠和債主。我母親走進走出,料理年夜飯,謝搻神,壓歲錢等事,只當做不曾看見這一 群人。到了近半夜,快要「封門」了,我母親才走後門出去,央一位鄰舍本家到我家來,每一家債戶開發一點錢。做好做歹的,這一群討債的才一個一個提著燈籠走出去。一會兒,大哥敲門回來了。我母親從不罵他一句。並且因為是新年,她臉上從不露出一點怒色。這樣的過年,我過了六七次。 大嫂是個最無能而又最不 懂事的人,二嫂是個很能幹而氣量很窄小的人。她們常常鬧意見,只因為我母親的和氣榜樣,她們還不曾有公然相罵相打的事。她們鬧事時,只是不說話,不答話, 把臉放下來,叫人難看;二嫂生氣時,臉色變青,更是怕人。她們對我母親鬧氣時,也是如此。我起初全不懂得這一套,後來也漸漸懂得看人的臉色了。我漸漸明 白,世間最可厭惡的事莫如一張生氣的臉;世間最下流的事莫如把生氣的臉擺給旁人看。這比打罵還難受。 我母親的氣量大,性子 好,又因為做了後母後婆,她更事事留心,事事格外容忍。大哥的女兒比我只小一歲,她的飲食衣服總是和我的一樣。我和她有小爭執,總是我吃虧,母親總是責備 我,要我事事讓她。後來大嫂二嫂都生了兒子了,她們生氣時便打罵孩子來出氣,一面打,一面用尖刻有刺的話罵給別人聽。我母親只裝做不聽見。有時候,她實在 忍不住了,便悄悄走出門去,或到左鄰立大嫂家去坐一會,或走後門到後鄰度嫂家去閒談。她從不和兩個嫂子吵一句嘴。 每個嫂子一生氣,往往十天半個月不歇,天天走進走出,板著臉,咬著嘴,打罵小孩子出氣。我母親只忍耐著, 忍到實在不可再忍的一天,她也有她的法子。這一天的天明時,她便不起床,輕輕的哭一場。她不罵一個人,只哭她的丈夫,哭她自己苦命,留不住她丈夫來照管 她。她先哭時,聲音很低,漸漸哭出聲來。我醒了起來勸她,她不肯住。這時候,我總聽得見前堂(二嫂住前堂東房)或後堂(大嫂住後堂西房)有一扇房門開了, 一個嫂子走出房向廚房走去。不多一會,那位嫂子來敲我們的房門了。我開了房門,她走進來,捧著一碗熱茶,送到我母親床前,勸她止哭,請她喝口熱茶。我母親慢慢停住哭聲,伸手接了茶碗。那位嫂子站著勸一會,才退出去。沒有一句話提到甚麼人,也沒有一個字提到這十天半個月來的氣臉,然而各人心裡明白,泡茶進來的嫂子總是那十天半個月來鬧氣的人。奇怪的很,這一哭之後,至少有一兩個月的太平清靜日子。 我母親待人最仁慈,最溫 和,從來沒有一句傷人感情的話。但她有時候也很有剛氣,不受一點人格上的侮辱。我家五叔是個無正業的浪人,有一天在煙館裡發牢騷,說我母親家中有事總請某 人幫忙,大概總有甚麼好處給他。這句話傳到了我母親耳朵裡,她氣的大哭,請了幾位本家來,把五叔喊來,她當面質問他,她給了某人甚麼好處。直到五叔當眾認 錯賠罪,她才罷休。 我在我母親的教訓之下住了九年,受了她的極大極深的影響。我十四歲(其實只有十二歲零兩三個月)便離開她了,在這廣漠的人海裡獨自混了二十多年,沒有一個人管束過我。如果我學得了一絲一毫的好脾氣,如果我學得了一點點待人接物的和氣,如果我能寬恕人,體諒人,──我都得感謝我的慈母。 |
Notizie Biobibliografiche
Hu Shi nasce nasce a Shanghai il 17/12/1891 e muore il 12/2/1962. Fu un intellettuale, poeta, storico, letterato e filosofo nonchè figura di spicco del Movimento di Nuova Cultura. Oggi, è considerato un personaggio chiave nel pensiero liberista cinese del Novecento; a lui viene riconosciuto un ruolo centrale soprattutto nella riforma linguistica che ha portato alla valorizzazione dell’uso dello stile vernacolare (白話文) nella letteratura, a scapito della forma letteraria classica (文言文), che all’inizio del novecento era diventata incomprensibile per la maggioranza della popolazione cinese. Fu anche critico letterario, assieme a Yu Pingbo, de “Il Sogno Della Camera Rossa”, uno dei quattro classici nonché capolavoro della letteratura cinese.
In virtù della sua ideologia liberale e anticomunista, prese le distanze da altri intellettuali cinesi membri del Partito Comunista, rimanendo leale al governo del Guomindang. Durante la seconda Guerra Sino-giapponese (1937-1945) fu ambasciatore della Repubblica di Cina presso gli Stati Uniti e più tardi a partire dal 1949, si trasferì a Taiwan, accanto al governo nazionalista di Chiang Kai-shek. Per questo motivo, l’importanza di questo intellettuale fu per molto tempo trascurata nella Repubblica Popolare Cinese a causa del suo anticomunismo e della sua ferrea lealtà al governo Taiwanese. Ad oggi, la lapide funeraria di Hu Shi si trova presso l’Academia Sinica a Taiwan.
Stile
Hu Shi fu uno dei primi promotori della rivoluzione letteraria in termini linguistici, cercando di sostituire al cinese classico proprio della lingua scritta una forma che richiamasse più da vicino la lingua che veniva parlata dalla popolazione, vernacolare o colloquiale che dir si voglia. Al contempo, cercava di promuovere nuove forme di letteratura. In un articolo pubblicato nel 1917 su “Gioventù Nuova” dal titolo "Discussione Preliminare sulla Riforma Letteraria”, l’autore scrisse otto principi guida da seguire nella scrittura letteraria:
- Scrivere la sostanza, ovvero tralasciare le espressioni proprie del linguaggio classico caratterizzate da rime e frasi fatte, vuote per l’autore.
- Non imitare lo o gli stili propri del cinese classico.
- Rispetta la grammatica, al contrario di come avveniva in certe poesie dell’età classica.
- Rifiutare ogni qual forma di malinconia letteraria. Evitare argomenti macabri visti come non utili alla risoluzione dei problemi dell’età moderna. Questo punto è in perfetta linea con il pragmatismo di cui l’autore fu un forte sostenitore.
- Eliminare vecchi stereotipi e frasi fatte.
- Non ricorrere ad allusioni.
- Non usare distici o parallelismi.
- Non evitare espressioni popolari o colloquiali.
Un anno dopo, nell’aprile del 1918, gli otto principi vennero riformulati dall’autore e ridotti a quattro in una nuova versione dell’articolo dal titolo "Rivoluzione Letteraria Costruttiva – Una Letteratura della Lingua Nazionale”:
- Parlate solo quando avete qualcosa da dire.
- Dite quello che dovete dire nel modo in cui lo volete dire.
- Parlate con le vostre parole e non con quelle di terzi.
- Parlate nella lingua propria del tempo in cui vivete.
Mia Madre
L’estratto sovrariportato è un ricordo dell’infanzia da parte dell’autore, con particolare enfasi sul ruolo svolto e il modello rappresentato dalla madre. La novità (per l’epoca) e l’importanza di questo racconto sta nella lingua usata, una lingua semplice, diretta e concreta; ben diversa dallo stile classico a cui i lettori cinesi erano stati abituati sino ad allora. Si tratta della lingua del popolo e del potenziale lettore che in questa nuova era letteraria si accingeva a leggere un racconto, che per le qualità stilistico-letterarie poteva benissimo essere un resoconto fatto dal lettore stesso e non da uno scrittore così come veniva percepito nell’accezione classica del termine.
Il presente racconto, mai tradotto in lingue occidentali, rappresenta inoltre il primo contributo in prosa dal cinese per Intralinea.
©inTRAlinea & Riccardo Moratto (2012).
"Mia Madre". Translation from the work of 胡適 (Hú Shì).
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
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